Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Ian Testa – dall’essere al governare se stessi

Ian Testa si gratta la testa, mentre ci pensa su…

Si era lasciato bombardare per mesi e mesi da messaggi d’ogni genere da parte di esperti, guru e variopinti santoni…tutti gli avevano gli promesso rocamboleschi e illuminanti percorsi spirituali, il superamento di tutte le difficoltà – interne ed esterne – fino a permettergli di essere finalmente se stesso.

Ian sorride…una volta ci pensavano le religioni, le ideologie, lo stato a dire quello che bisognava fare, come bisognava essere, agire, pensare…ma adesso, almeno non per lui, queste storie non hanno più presa, o quasi. Sono svanite, anzi, andate in frantumi, e i cocci che rimangono a terra riflettono – forse distorcono – il mondo e, con esso, la sua stessa vita, che gli si presenta sotto molteplici, innumerevoli punti di vista…il menu è tanto ricco e così pieno di obiettivi allettanti e contraddittori che ogni scelta pare davvero impossibile. Fare questo è rinunciare a tutte le altre possibilità. Fino a qui nulla di nuovo. Il problema, per Ian, è che per ognuna di queste molteplici vie c’è un capoccione, un esperto, che ne sostiene la verità…e lui, Ian, è da ormai troppo tempo immobilizzato di fronte a questo oceano di possibilità dove ogni scelta di vita esclude tutte le altre, senza che nessuna possa essere completamente esclusa o in grado di convincerlo pienamente. C’è sempre un dubbio, un resto…qualcosa che non torna.

1. Questo essere se stessi, questo nocciolo, questa essenza tutta da scoprire in realtà non esiste.

2. Se questa essenza non esiste, allora non può essere né acciuffata né guadagnata e tanto meno può andare perduta.

3. Come si può perdere se stessi? Si può mai essere diversi da quello che si è? Ian, che lo aveva fermamente pensato, non lo crede più. Non essere se stessi, significherebbe poter essere qualcun altro. Ma chi? Si può essere qualcun altro? Impossibile.

4. Ma certo, obietta una vocina dentro Ian, “Io soffro“, certo, Ian fa sì sì con la testa. Ma per una parte che soffre deve essercene un’altra che gode, che se la spassa, che tu lo riconosca o meno. Tu chi? Sempre io. Ian parla con sé.

5. Ian confonde il dolore, il proprio dolore, con l’aver perso se stesso, con l’esser (diventato) qualcun altro (rispetto a chi dovrebbe essere) – infila l’indice della destra nell’orecchio…una parte che non ci piace un granché sta prendendo il sopravvento, anzi, ha preso il sopravvento e, in questo modo, sta soffocando tutte le altre (parti). Il dolore, pensa Ian, è lì dove il soggetto si indentifica con una Parte, di modo che la Parte, dimenticando di esser Parte, crede di essere il Tutto – ah, tracotanza – mortificando e soffocando tutte le altre, che si ribellano, rabbiose.

6. L’idea dell’essere/perdere se stessi prende le mosse da un errore di fondo: l’idea che siamo una unità, mentre in realtà siamo molteplici.

7. Nel conflitto fra le parti, allora, posto che si è sempre, necessariamente, inevitabilmente se stessi, bisogna lasciar cadere questa sciocchezza dell’essere/non-essere se stessi (dicotomia che non si dà), e cercare pazientemente un governo di sé.

8. Qui si apre il problema di sovranità: è possibile su se stessi? Chi governa su chi? Essere sovrani di sé, per prima cosa, non significa signoreggiare, dominare, tiranneggiare, sottomettere (altrimenti si scadrebbe nella Parte che vuol essere il Tutto – in un circolo vizioso senza fine), quanto, piuttosto, favorire, gestire, accompagnare le Parti nel loro sviluppo.

9. Il buon governo – a conti fatti – pare essere quello del daimon, del demone interiore, per come la vedevano gli antichi. Ma che significa? Ian, che ci ha sbattuto molte volte la testa, su questa storia, scuote la testa, fra se e sé…voleva far stare il ragionamento il dieci punti, ma ha già usato nove dita e gliene rimane solo una proprio quando è andato ad infilarsi in una questione che, come tutte le altre, del resto, non padroneggia neanche lontanamente…

Ian riflette…sembrerebbe esserci, in lui, deve esserci, in lui, una qualche idea o convinzione o proposizione di fondo, non meglio esplicitata, non chiaramente enunciata, tematizzata, ma costantemente all’opera…è qualcosa che, non compreso o mal-compreso, avvelena le sue giornate, qualcosa che si è mostrato capace di svuotare, svalutare qualsiasi cosa…è il senso del non-senso, del qualcosa che manca, che non torna.

Ian ha sempre dato a questo senso di vuoto, di inutilità, una interpretazione dal sapore vagamente religioso, che fa il paio con uno psicologismo ingenuo e, a ben vedere, con un essenzialismo (punto 1) dalle lacrime facili…e se rovesciasse il punto di vista?

a. Tale senso di mancanza lui lo aveva sempre interpretato come un problema soggettivo o esistenziale, come conseguenza di una condotta errata, di qualcosa, in lui, che reclamava una corsa ai ripari.

b. Secondo una prospettiva diversa – quella che sta cercando di guadagnare – questo senso di vuoto non sarebbe la traccia di qualcosa di andato perduto e che manca; non chiamerebbe in causa un Sé sepolto, bello e fatto e da disseppellire. Nessuna mitologia dell’anima, nessun territorio inesplorato e pieno di tesori…

c. Ian lo ha cercato fino allo sfinimento, questo mitico Sé, e tale ricerca non lo ha condotto se non allo sfinimento, alla disperazione di un soggetto sudaticcio che per anni si era spaccato le dita e le unghie scavando un duro terreno dove ogni zolla ne svelava un’altra…e un’altra ancora…niente tesoro, niente se stesso.

d. Vero è che tale senso di vuoto o mancanza non può/deve essere superato/colmato una volta e per tutte, poiché è il segnale che di fatto – strutturalmente – all’uomo, o perlomeno a Ian Testa, manca qualcosa…

e. Ian pensa al quadrato magico, alla casella vuota che permettere di muovere i tasselli per mettere in ordine i numeri dall’uno al quindici…senza quel vuoto lo spazio sarebbe saturo – la vita una statica, piatta distesa di terra abbandonata, lo spirito una palude, acqua stagnante.

f. Il desiderio nasce dalla mancanza…Ian ride di tutti i progetti su cui, nella prima parte della sua vita, si era gettato come fossero terra promessa…

g. Il vuoto non è – o lo è solo in parte – legato alla biografia, all’errore commesso, alla colpa da individuare e cercare mediante una vuota introspezione…tale vuoto è invito alla costruzione di qualcosa che ancora non c’è, ma per cui dovrà pur esserci un qualche modello, una qualche fonte di ispirazione…Ian sente le farfalle allo stomaco…

h. Il criterio per tale forma d’arte, poiché questo è la costruzione (si badi bene, non la scoperta) di Sé, ecco, tale criterio è il Daimon (punto 9), ossia le caratteristiche e le inclinazioni fondamentali e ricorrenti che lo hanno da sempre animato…

i. In principio non c’è la riflessione, bensì l’azione…Ian, che ha perso non si sa quanto tempo a pianificare, analizzare e a costruir edifici (tutti nella sua povera testa), quasi scoppia a ridere…

l. In principio non si riflette, vero, ma l’azione riflette, ossia manifesta – e nel manifestare forma – il soggetto stesso…

m. L’azione incanala, manifesta, forma, svela e nutre quell’inclinazione che, da principio, non è nulla di determinato, bensì una forza, un’energia che deve – la Fortuna la assista – trovare ambiente se non favorevole, almeno non troppo ostile o distruttivo.

n. Ian si gratta la testa…la vita è porsi obiettivi…già, già, non determinati, già fissati e fatalmente stabiliti obiettivi, no, no, bensì obiettivi coerenti con questo demone di cui sopra…

o. Con quanta ferocia, in passato, si era attaccato ai propri obiettivi, credendoli quasi misticamente e assolutamente veri, irrinunciabili? Per quanto tempo ne aveva fatto una questione di vita o di morte? Quante notti insonni? Quanta furia?

p. Scollarsi dai propri obiettivi, ma senza rinunciare, permette di non attaccarsi con ferocia all’agire, agli obiettivi, finalmente consapevoli di non essere quegli stessi obiettivi che pure vogliamo ancora realizzare…nel realizzarli, nel perseguirli non saremo disposti a tutto, non ci disprezzeremo in caso di fallimento, saremo capaci di mollare e magari volgerci ad altro, senza aspettare la catastrofe…non esiste nulla che a tutti i costi, contro tutto e tutti, dovremmo perseguire…mossi da verace desiderio, non saremo mai distruttivi (per realizzarli), né tracotanti nel successo o disperati nel fallimento.

10. Ian può finalmente alzare il mignolo della mano destra, per il decimo punto del suo barcollante ragionamento: mai confondere il pensiero con la realtà.

Un commento su “Ian Testa – dall’essere al governare se stessi

  1. Pingback: Un sogno, il complesso di Dio e del fare anima con Adolf Guggenbühl-Craig e James Hillman | Tommaso Aramaico

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Questa voce è stata pubblicata il aprile 27, 2023 da con tag , , .

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