Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Io, il giovane monaco e la Bhagavad-Gita – Parte seconda

Ci ho ripensato, a quello che ci siamo detti la volta scorsa (qui)…Avevo capito bene?

Il giovane monaco è nuovamente seduto davanti a me, il capo reclinato, la guancia accolta da una mano incredibilmente grande, le dita lunghe e brune, le unghie perfette, del tutto diverse dalle mie, che ancora recano traccia del bambino nervoso che le divorava fino alla carne viva…sorride, senza rispondere.

Le azioni, le buone azioni, ripagano di per se stesse. Le buone azioni sono fatte senza badare ai loro frutti, poiché la ricerca di questi avvelena la vita e le relazioni, perché incatenano al giudizio, proprio e altrui, giusto?

Non sto dicendo nulla. Sei tu a parlare. E per un istante o due – possono esserci più di un istante? – stacca gli occhi dai miei e lascia andare lo sguardo oltre il vetro macchiato del finestrino. Oltre un bianco indistinto. Chi è mancare di vera immaginazione? Lui o io?

Quanto prodotto e realizzato secondo spontaneità e passione è di per sé compiuto e non attende altro per essere perfetto. E quanto segue, se c’è, avviene di conseguenza, senza essere cercato, forzato, preteso o bramato. Nessuno sforzo, dunque. Viene naturalmente?

Parlavi di quel collega di lavoro, no? Avevi detto di aver capito, giusto?

Sì…sono commosso da quello che mi ha detto il capo…così mi aveva detto, le guance paonazze, gli occhi sgranati, eccitato, davanti al distributore automatico, la tasca dei pantaloni gonfia di monetine. Lo so, bisogna fare attenzione a non prendere mai le mosse dal successo delle nostre azioni per determinare l’agire futuro. Aggrapparsi ad un risultato positivo, nella volontà di replicare, così convinti di poter nuovamente ottenere il medesimo beneficio, la medesima ricompensa, lo stesso applauso…ecco, tutto questo distorcerebbe l’agire, rendendolo assurdo, e noi falsi, ridicoli e menzogneri. Bisogna guardarsi dall’esser disposti a tutto pur di strappare un brandello di approvazione. Come farlo? Come riconoscere questo rischio?

Sfoglio il grande volume che mi ritrovo fra le mani. Si parla di assenza di paura, di conoscenza spirituale, di carità e controllo di sé…di austerità e semplicità, di non violenza e rinuncia e modestia, di ferma determinazione e vigore, perdono, forza morale, libertà dalla collera, dalla cupidigia e dall’invidia…ma chi può vivere così? Ed è giusto? Chi lo ha detto?

Tu lo pensi?

Non lo so.

Bene.

Sfoglio. Non sopporto questa cosa dell’agire senza sforzo.

Il giovane monaco sorride e sempre più fatico a sopportarlo. O non la capisci?

Riprendo a leggere…L’azione compiuta con grande sforzo allo scopo di appagare i propri desideri proviene dalla passione…vado alla pagina successiva…Chi compie il proprio dovere senza essere turbato dall’influenza della natura materiale e libero dal falso ego, risoluto ed entusiasta, equanime nel successo come nel fallimento, è persona guidata dalla virtù.

Mi fermo. Lo guardo. Il vociare intorno a noi è brusio indistinto. Il monaco mi guarda, nel suo silenzio risuona una domanda cui io rispondo.

No, io non sono così. Neppure lontanamente.

Nel suo silenzio persistente credo di cogliere una domanda ancora, cui rispondo.

Io non sono ancora in grado di distinguere lo sforzo buono da quello cattivo. Io, ancora oggi…e passo una mano sulla barba in più punti bianca, io, ancora oggi, non so chi sono, cosa voglio, inseguo mia moglie e le chiedo cosa è giusto, cosa sbagliato…e non capisco cosa sia questa spontaneità di cui parlate, dell’assenza di sforzo e di condizionamenti. Ancora oggi guardo i miei figli e, in loro, spero di trovare un qualche indizio su di me, su chi veramente sono, su quale possa essere il mio talento, perché uno dovrò pure averlo, o no? Ma non trovo nulla. Sono alla continua ricerca d’un trattamento speciale, di un occhio di riguardo…anelo a molte cose, ma non sapendo chi sono, lascio tutto in sospeso. La maggior parte delle cose che faccio rimane incompiuta. Molto del mio tempo va perduto e di molte delle mie giornate non saprei offrirti alcun resoconto, tanto sono vuote. Le mie energie si perdono in mille rivoli, futili entusiasmi, fredde disillusioni. Provo avversione per moltissime cose e ad altrettante sono ferocemente attaccato…non riesco a moderarmi nel cibo e non disciplino il corpo, ma soprattutto mi sfugge la potenza di questa mia lingua che non la smette di parlare, giudicare, mentire, allisciare, alludere…sempre in cerca di consenso. Sottile, malvagia e vigliacca…questa lingua mi rende petulante. Ne parlo così perché la sento, da sempre, come una forza estranea, da fronteggiare. E spesso cedo all’ira, io che voglio parere tanto gentile e cortese…le parole, ecco, sono il mio problema. Leggerle, scriverle, pronunciarle, pensarle…le parole sono un problema persino adesso: al tempo stesso pensate, scritte e pronunciate a te, che mi ascolti e non mi ascolti, che sei e non sei, che tutto comprendi e ignori…tu che ancora non mi hai spiegato chi sei, da dove vieni e, su tutto, cosa vuoi da me e perché sei ancora qui…

Si alza in piedi, sistemando la veste scivolata dalla spalla bruna e magra. Fa per andarsene lungo il corridoio stretto fra le file di sedili. Il treno adesso è vuoto. Quando sono scesi tutti? E la mia fermata? L’ho perduta o ha ancora da venire?

Ti rivedrò?

Ne hai veramente bisogno?

Mi sveglio e apro gli occhi. Sono sul divano, ancora vestito, in piena notte, fuori soffia un vento forte che mi spaventa. Sta piovendo.

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Questa voce è stata pubblicata il aprile 15, 2023 da con tag , .

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