Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Qualcosa di troppo…

Non dice niente, Internet. Rari casi. Uno dei primi, fra quelli documentati, risale al Settecento. Settecento? Un certo dottore, un chirurgo, tale Jean-Joseph Sue, nel 1785, racconta di esser stato costretto, pistola alla tempia, ad aaa…aamp…amppt…ampuutaare la gamba di un facoltoso inglese. L’uomo, il riccone svitato, dopo l’intervento, era così felice e sollevato per l’amputazione, da offrire al chirurgo – sconcertato – una ricca ricompensa, nonché imperitura riconoscenza. Rari casi. Internet dovrebbe contenere tutto, sapere tutto, dire tutto. Perché altrimenti i figli starebbero sempre attaccati a quel maledetto cellulare? E perché Ivana, la moglie, ci si era addirittura trovata un amante, lì, dentro al telefonino, schiacciato nelle due dimensioni, del tutto presente-assente? Ma non c’è tutto, evidentemente…

Nessuno ne sa niente, o quasi, di quello che è toccato a lui in sorte. Quasi non se ne parla. Eppure dei cervelloni, sparsi qua e là nelle varie università e centri di ricerca del mondo, ci stanno lavorando su, sul suo problema. Non tanti a dire il vero, perché il gioco non vale la candela, i soldi o altro, ma quei pochi, quelli che vedono in lui e in quella manciata di matti come lui, un vero fenomeno da circo, da baraccone, uno scherzo niente male della natura…quelli sì che studiano, cercano e misurano…hanno il prurito al naso per l’eccitazione tanto bizzarro, sconcertante, urtante, terrificante e tragico è il loro sintomo, perché così lo chiamano, sintomo. Sono neurologi, neuropsicologi, neuropsichiatri e altri neuro di ogni tipo e genere, ma nessuno di loro ci capisce niente, di tutta questa storia.

Casistica…uomini di mezza età, un arto specifico, uno in particolare, sempre lo stesso, o quasi…e lui, nel leggerlo, stacca gli occhi dal monitor e guarda in basso, verso sinistra, sotto il piano lucido del tavolo. È sotto una montagna di coperte di pile, lui sa che è lì, pulsante, opprimente, di troppo. Come era potuto accadere? Con quella gamba ci aveva fatto un mucchio di cose. Ci aveva camminato, giocato a pallone, era andato in bicicletta e, ancora rabbrividisce al solo pensiero, preso a calci in culo una volta il figlio, in un impeto di rabbia…l’aveva detto ad uno psicologo o come diavolo si chiamava, e quello non era riuscito a trattenere un lieve sorriso, come a dire ci siamo arrivati, al punto, eccola la leva, la ragione, il trauma, la X sul terreno – e aveva voluto scavare, grattandosi la folta barba biancastra…ma non ne era venuto fuori niente, se non altri farmaci dal nome impronunciabile che avevano abbattuto un’altra propaggine del suo corpo e non quella che lo disgustava per la sua sfacciataggine, per la sua presenza oppressiva, di troppo.

Sente la porta cigolare e grattare al pavimento, alle spalle. Olio ai cardini, rondelle nuove. Comprati. Da sostituire, tutto. Poi. A suo tempo. La moglie prima lo scruta, ferma sulla soglia, quindi entra. Uno sguardo rapido attraversa la cucina, il piano del tavolo, il lavello, accanto ai fornelli.

Non ci sono, abbozza lui.

Cosa? finge lei, che è brava a fingere. Dovrebbe pensare a quello che nascondeva, o ancora nasconde lei. A non farlo più, o a farlo meglio. Ma lui adesso non può stare a pensare a queste stronzate.

Torna allo schermo del computer. Nella sua mente tuona una sola parola – Coltelli, coltelli, coltelli. Scuote la testa, per scacciare via pensieri assurdi. Amputare può essere completare? Amputare non significa togliere? O forse rendere completo, integro significa diminuire, estirpare, sradicare? Il meno è più, il più è meno…

Non dice niente, Internet. Casi sporadici…nel tentativo individuale di risolvere il problema gli esiti tragici sono quasi certi. Quanti casi l’anno? Cinque, dieci, venti, cento, duecento, mille? Su otto miliardi persone. Tentare il calcolo gli fa girare la testa. Quanti modi ci sono per morire? Innumerevoli. Passare all’atto, per lui, significherebbe morire d’una morte quasi unica. Morire come altri quattro o cinque, tutti come te, bastano le dita di una mano. Vale? Può farlo? Deve farlo? Basta. Chiude gli occhi. Si sente attraversare da un calore insopportabile, al solo pensiero della stampella, di dover infilare una sola scarpa. Basta. Scatta in piedi. La moglie, dietro di lui, non riesce a trattenere un gridolino. Ne aveva rimosso la presenza.

Vai a dormire. È tardi.

Si, risponde lei, vieni anche tu?

Ha paura. Ha sempre paura, Fra un po’. Voglio prima stendermi sul divano.

Lei fa cenno di sì con il capo e scompare nel lungo corridoio gonfio di oscurità. O vuoto di luce?

Con gli occhi chiusi per non vedere, a tentoni, tutte le luci spente, le coperte in spalla, entra in salone. Deve fare attenzione, perché quella parte è grande e potente, spigolosa e incontrollabile, potrebbe distruggere tutto, pareti, piastrelle, parquet…un disastro, un vero tormento. Arriva a destinazione e si stende sul lungo divano a tre posti. Sistema, sempre al buio, le coperte sulla parte inferiore, sinistra, fino all’anca – come lui solo un pugno di uomini, sparsi nel vasto mondo, un pugno di disperati fra miliardi di persone…cinquant’anni, sano, bello, forte, vasta cultura…cristo, come è potuto accadere.

Accende il faretto alle sue spalle. Lo orienta verso l’enorme televisore spento. Coglie il proprio riflesso incerto. Trova il coraggio per spostare lo sguardo. Lì, davanti a lui, subito sotto il ventre piatto, avvolto nelle coperte e in parte nelle tenebre, qualcosa vive. Sovversivo. Chiude gli occhi. Respira lentamente. Il pensiero monta, montano scosse elettriche per tutto il corpo. La parte cresce e diventa lentamente il tutto, mentre il tutto – il resto del suo corpo, lui – progressivamente viene ridotto a nulla, come divorato, inglobato. Dovrebbe, ma non resiste, scatta su, a sedere, lancia le coperte a terra e balza in piedi…per l’ennesima volta…

È soprattutto di notte che perde la testa. La notte. Saltella, zoppica, ringhia e graffia e prende a pugni e cinghiate lì dove qualcosa eccede. E non c’è sera che sia certo che rivedrà il sole sorgere. Non una volta, da un mese o più…


Nota a margine. Questo schizzo nasce da una chiacchierata con un vecchio amico che di queste cose se ne intende e, guarda un po’ la sincronicità, dalla lettura – qualche tempo dopo, del breve, denso, interessante (a tratti unilaterale, e quindi eccessivo) saggio di Arnaldo Benini intitolato Neurobiologia della volontà (Raffaello Cortina Editore), che al suo interno contiene alcune pagine dedicate alla Xenomelia: “sensazione opprimente che uno degli arti (di regola la gamba sinistra) non appartenga al corpo” (p. 89). I riferimenti ai numeri e al caso riferito dal chirurgo Jean-Joseph Sue li riprendo (sia pur con qualche intenzionale distorsione) tutti dal saggio in questione. Tutto il resto non viene da niente altro che da un pomeriggio uggioso…da una giornata persa…

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Questa voce è stata pubblicata il marzo 3, 2023 da con tag , , , , , .

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