Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Caro Ian,
è solo una scusa, questa del nuovo anno. Una scusa per poterti scrivere. Auguri di questa specie non ce ne siamo mai fatti, non ce ne facciamo, non ce ne faremo. Però una cosa è accaduta e ha a che fare con certe questioni su cui sto da tempo ragionando e di cui presto, se sarò capace, ti scriverò. Vivere. Cosa significa vivere, veramente? Ho rubato qua e là non meno di una decina di definizioni e, guarda un po’, sono tutte convincenti, anche se inconciliabili l’una con l’altra. Sto cercando di metterle insieme, come i tasselli di un puzzle, ma ancora non sono venuto a capo di questo piccolo, grande enigma. Chissà se e quando troverò la risposta giusta per una domanda sbagliata. Comunque sia, è di questo nuovo anno che voglio scriverti.
Questo, da che ricordo, è il primo anno in cui non ho tirato giù la mia solita, inutile e lunghissima lista di – vani – propositi. Ho attraversato la mezzanotte con un’alzata di spalle, stappando lo spumante, come sempre, allo zero spaccato, alla mezzanotte, ora delle streghe, mentre intorno a me c’era una grande allegria. Ho mangiato – poco – e parlato – meno che mangiato, se possibile – e ascoltato – molto – soprattutto i miei fratelli e le rispettive mogli. Tutti intenti a ricapitolare, un occhio rivolto a passato, e a progettare, l’altro al futuro. Persi nel loro gioioso e ingenuo strabismo, mangiavano, bevevano, ridevano. E io, te lo devo confidare, ero lieto per loro e quasi non sentivo il peso che da molto, troppo tempo mi affligge. Nulla di strano o eccezionale, mi dirai, e te lo concedo…e del resto, come ben sai, raramente qualcosa di degno di nota attraversa le mie giornate…eppure…mentre uno dei miei fratelli si rivolgeva a me, chiedendomi di progetti o propositi, grandi o piccoli che fossero, ecco che mi sorprendevo mentre alzavo le spalle per liquidare la domanda e la questione…e così mi è tornata alla mente una storiella zen che molti conoscono, che anche tu, Ian, conosci di certo, perché già ai tempi, ricordi?, saltavamo da Seneca a Confucio, passando per storielle Zen e I Ching con la nostra bizzarra e spregiudicata volontà di vaticinare. La storia che mi è passata per la mente la si può trovare veramente ovunque, comunque sia cercherò di riassumerla…
C’era una volta un vecchio saggio che se ne stava seduto ai bordi di un’oasi, subito fuori una città. Un giorno gli si avvicina un giovane straniero, chiedendogli come fosse la gente del luogo. Allora il vecchio gli chiese come fosse la gente della città di provenienza del giovane e quello rispose che era egoisti e cattivi e che per quel motivo era fuggito via. Il vecchio gli disse allora che anche la gente di quella città era egoista e cattiva. Subito dopo si presentò dal vecchio un altro giovane e anche questo gli chiese informazioni sulla gente del posto. Anche a questo ragazzo il vecchio chiese come fosse la gente della sua città di origine e quando il ragazzo gli rispose che erano persone buone, generose e ospitali, allora il vecchio gli disse che anche le persone in questa città lo erano. Un mercante che aveva portato i suoi cammelli ad abbeverarsi nell’oasi e che aveva udito entrambe le conversazioni, gli chiese perché avesse risposto in due modi totalmente opposti alla medesima domanda, e allora il vecchio gli spiegò che chi non aveva trovato nulla di buono in passato, difficilmente lo avrebbe trovato semplicemente cambiando città; così come chi aveva trovato bontà, ospitalità e generosità in passato le avrebbe trovate ovunque fosse andato.
Insomma, il mondo – nella stragrande maggioranza dei casi – ci offre quello che siamo capaci e pronti a offrire e restituisce quello che siamo disposti a seminare. Cosa porterà a me questo nuovo anno se io lo accolgo con una semplice alzata di spalle? Quello mi son chiesto l’altra sera, subito dopo la mezzanotte. Mi viene da sorridere, mio caro amico. Ho forse iniziato inciampando già al primo passo?
Eppure, adesso che ci penso, questo mio scriverti non è forse portatore di un’intenzione verace? Non ha la forma del passo leggero e fermo al tempo stesso? Cosa potevo rispondere alla domanda di mio fratello? Intrappolato da anni nei miei schematismi e spinto da pensieri automatici, ho sempre confuso il vivere con il fare. E questo fare è stato un realizzare qualcosa da sottoporre agli altri, metro di giudizio di ogni mia azione e giornata. Se ciò che non produce nulla, non è nulla, allora è nulla anche chi non produce nulla. Troppo a lungo, schiacciato da timore di questo nulla, ho tentato di fare qualcosa, scambiandolo per essere qualcosa, o qualcuno.
Sono partito dalla questione del vivere, giusto? Anche se in modo contorto, ci sto tornando. Perché ho alzato le spalle? L’anno nuovo porterà, come è stato negli ultimi venti, ciò che gli offrirò…fare, fare, fare. Il gioco, però, non funziona più. Non so più far nulla, nulla ho voglia di fare. Sbarrata la via del vivere, del semplice essere, molte delle energie sono andare perdute in vani progetti. Cosa risponderebbe a me il vecchio della storiella Zen? Neanche una parola, credo, giusto un’alzata di spalle.
Ho purtroppo perso il filo del ragionamento, quindi meglio chiudere e rimandare a un momento di maggiore lucidità. Scrivevo del primo passo falso del nuovo anno, ricordi Lao Tzu? Lo leggevamo insieme, ad alta voce.
Un albero il cui tronco si può a malapena abbracciare nasce da un minuscolo germoglio. Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra. Un lungo viaggio di mille miglia si comincia col muovere il piede.
Non ho mai capito nulla, io, di queste cose. Ho sempre mirato all’albero il cui tronco non si può abbracciare, alla torre alta nove piani, al viaggio di mille miglia. Non ho mai prestato attenzione al germoglio, al mucchietto di terra, al singolo passo. Ho sempre mirato all’applauso, a quanto appare, al risultato finale, grandioso, al successo, alla brutale fatica del fare, all’exploit – inorridendo di fronte alla semplicità dell’essere, all’azione presente. Questa distorsione ha prosciugato le mie energie, avvelenato le mie giornate. Ecco cosa posso dirti, Ian: ho capito cosa significa e come si fa a non vivere. Intuisco appena, purtroppo, cosa significa vivere veramente. Di quel poco che ho compreso ti scriverò presto, spero. Per adesso mi limiterò a dirti che questa lettera è un germoglio, un mucchietto di terra, un passo del piede. Forse che il vecchio saggio sorriderebbe. E a te, Ian, dimmi un po’, cosa direbbe a te quel vecchio? Eh? Sii sincero, però, come io lo sono con te…
Il tuo amico,
T
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Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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