Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Caro Ian,
ne ero certo e, a dirla tutta, non mi aspettavo altro che questo: un tuo cenno. Hai risposto alla mia lettera senza esitazione, come nulla fosse accaduto. E, di fatto, come potrebbe accadere qualcosa fra me e te? Impossibile. Mi chiedi, come mi aspettavo, di quei sogni che mi avrebbero spinto a scriverti e io ti rispondo.
Il primo risale a qualche settimana fa, e, ti assicuro, mi ha lasciato per tutto il giorno un senso di grande stupore. Sono in cucina, in piedi davanti ad un vecchio tavolo al cui centro sta poggiata una semplice boccia, una sfera di vetro, di quelle a tutti note, piena d’acqua fino all’orlo e, dentro, un pesciolino rosso. Mentre penso che quell’acqua va assolutamente cambiata, tanto è torbida, grigia, vecchia, viziata, il pesciolino che era nell’ampolla decide di schizzarne fuori. Ed effettivamente lo vedo disegnare un piccolo arco e poi cadere a terra, sul pavimento. Mi sveglio. Non ricordo che fine abbia fatto il pesciolino, se sia riuscito o meno a sopravvivere fuori dal proprio elemento, ma per l’intera giornata sono stato catturato dall’immagine. Un pesciolino era uscito dal proprio mondo.
Qualche giorno dopo ho sognato di essere una sorta di rifugiato, fuggito da chissà dove. Vivevo nelle fogne di una città non meglio identificata e lì mi aggiravo, nel buio, nella melma, fra topi e puzza di piscio ed escrementi, fuori legge e reietti d’ogni tipo – proprio come me. E poi polizia ovunque, e stretti varchi e corridoi e cunicoli. Mi muovo lentamente, circospetto, fino ad arrivare in un enorme ambiente al cui centro una scala, altissima, porta in alto, verso un tombino che apre al mondo di sopra. Penso, nel sogno – Come nel mito della caverna…questa scala è sorvegliata da una donna dai modi, vestiti e tratti che hanno del militaresco. È qualcosa come un soldato o un guardiano. A lei mi presento vestito di stracci. E lei, che sembra intenzionata a lasciarmi salire su, mi lancia un maglione usato, logoro: “Beh, meglio di niente”, mi dice. Il sogno qui si conclude.
L’ultimo sogno è quello più mi ha colpito, spaventato e infine spinto a scriverti. Ero in una grande casa – e negli ultimi tempi spesso sogno di trovarmi in case sconosciute, perso in viaggi sconclusionati e senza una vera meta – insomma, questa casa è luminosa e accogliente, cinta da un grande giardino e arredata con mobili antichi che vorrei proprio acquistare. Mentre mi muovo nella grande sala centrale, vedo un corridoio cui prima non avevo fatto caso: “Ecco” esclamo “in questa casa ci sono la porta e le stanze che spesso appaiono nei miei sogni…quelli che non sapevo facessero parte della mia casa. Finalmente posso andarci e vedere cosa nascondono”. Mi muovo, anzi, ci muoviamo. Non ricordo con chi, ma ero in compagnia. Altre persone erano con me. Ma appena mi avvicino alla porta chiusa, in fondo al corridoio, una terribile inquietudine mi assale. Con me si agitano le persone che mi seguivano. Mi volto per allontanarmi da quella porta in fondo al corridoio e più mi allontano, più la paura sale. Mi ritrovo a correre, diretto all’altra parte della casa, quella da cui venivo. Chiudo la porta che dà sul lungo corridoio. Ma non a chiave. Non ne sento il bisogno: “Chi può venire da laggiù? Se io non vado, nessuno verrà fino a qui”. Il sogno finisce.
Ed ecco qui a scriverti dei sogni che tanto mi hanno turbato, che mi hanno spinto a mettermi all’opera e, per prima cosa, rivolgermi a te. Ho paura. Perché se è vero che nei sogni siamo i personaggi di una storia scritta da qualcun altro, allora non voglio essere colui che scappa per non sapere cosa c’è, cosa si cela in fondo a quel corridoio; perché voglio rimanere ancora in quella fogna e vedere come stanno le cose, lì sotto; perché voglio far mio il coraggio di quel pesce che trova la forza per lasciare quella piccola e soffocante ampolla, lasciandosi alle spalle una falsa e asfissiante sicurezza. Poiché se è vero che quel pesce poteva perdere tutto e trovare la morte, abbandonando la boccia di vetro, altrettanto lo è se fosse rimasto lì, in un quieto vivere che è agonia e morte.
Capisci dunque, Ian, la forma che hanno le mie giornate? Vivo il giorno nell’attesa della sera, della notte, del sonno. Sono tornato a essere, come da ragazzo, un amante dei sogni. Lo ricordi, vero? E tu, Ian, li ami ancora?
Il tuo amico,
T
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
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