Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Volevo scrivere di Q – Luther Blissett

Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio osservandissimo, il servitore più fidato di Vostra Signoria si accinge a dare conto di quanto accade in questa sperduta landa, che da un anno a questa parte sembra esser divenuta il focolaio d’ogni diatriba. Da quando otto mesi fa il monaco agostiniano Martin Lutero ha affisso le sue famigerate tesi al portale della Cattedrale, il nome di Wittenberg ha viaggiato in lungo e in largo sulla bocca di tutti. Giovani studenti dagli stati limitrofi affluiscono in questa città per ascoltare dalla viva voce del predicatore quelle incredibili teorie.

Volevo scrivere di Q perché questo romanzo riesce a rendere con forza l’evento epocale che è stata la Riforma protestante; una forza ed evidenza che è quella Storia con la esse maiuscola che, nel suo presentarsi nella molteplicità dei destini individuali, prende carne e ossa e passione. Come è difficile, al contrario, fra una campanella e l’altra, offrire almeno l’idea dell’importanza di tale evento, ora che la religione, la fede, non muovono più le coscienze,i cui contenuti e urgenze sono così diverse da quelle dei “giovani studenti” che animano questo libro. Presentare quelle vite significa farne rivivere le motivazioni profonde, vitali, e quindi dare ad intendere che per certe idee e rivendicazioni uomini e donne hanno sacrificato la vita e, im molti casi, compiuto atti atroci.

Volevo scrivere di Q non tanto per la figura di Lutero, ma per lo sguardo che su di lui avevano i suoi contemporanei – e non mi riferisco ai potenti, ossia ai principi tedeschi, alla Curia romana o all’imperatore Carlo V, ma alla prospettiva dei contadini tedeschi – quelli a cui nei manuali di storia vengono dedicate più o meno cinque o sei righe – e magari un qualche estratto dai feroci scritti di Lutero stesso – no, quello che emerge è il racconto degli sfruttati, degli ultimi, di quelli che finalmente trovano voce, idee nuove, una speranza; quello che mi interessava era il tanfo e l’aria spessa delle birrerie, i contadini che trasformano in armi gli strumenti del lavoro sfruttato, i bambini ridotti a pelle e ossa – il loro punto di vista, quello di chi aveva sperato e poi era stato tradito dal monaco agostiniano. Sono gli occhi degli ultimi che si levano in alto per incontrare la maestosa figura di Thomas Müntzer, il Magister, colui che offriva nuova speranza agli ultimi, dando alla Riforma una curvatura nuova, reale, materiale, insomma: rivoluzionaria.

Thomas Müntzer avanza un poco, al centro della scalinata. Nessuno lo nota. Il suo primo grido satura la piazza, già strabordante di almeno quattromila persone e viene sommerso da un’onda di voci sussultanti: Popolo di Mühlhausen, ascolta, la battaglia finale è prossima![…] Nulla è impossibile a coloro che hanno fede…il Signore ha scelto i suoi, gli eletti: chi non ha il cuore gonfio del coraggio della fede, non ostacoli i progetti di Dio…rivolgo lo sguardo di fronte, di nuovo il Magister, fiero, trattiene il cavallo, fissa l’orizzonte, la resa dei conti, il castigo degli empi. Mi infonde forza, il tempo è giunto, si deve andare.

Volevo scrivere di Q per i legami fra potere politico e religioso, nonché per le questioni teologico-politiche in senso stretto: per le battaglie a suon di citazioni bibliche che ne sono al tempo stesso premessa e conseguenza di una prassi sconvolgente – ma qui non c’è tempo per Spinoza e certe questioni aperte da studi accademici. Volevo parlarne perché questa estate, per motivi che non sto a dire, l’ho portato con me – Q – a Venezia e perché ho (spesso e invano) cercato di muovermi e perdermi fra ponti vicoli e rivivere lo spaesamento del camaleontico protagonista, che perde e prende in prestito nomi sempre nuovi, ogni volta specchio della causa del momento, del nemico che si trova a combattere. Venezia: città fusa con il mare.

Dalla finestrella scorgo le grandi cupole della Cattedrale e il campanile. Dunque è laggiù che sono sbarcato. E in qualche modo ho attraversato il labirinto di questa città bizzarra che adesso mi separa da San Marco. Non saprei da dove incominciare se volessi percorrere la strada a ritroso. Rischierei di trovarmi a pochi passi dall’enorme chiesa senza riuscire a scorgerla, finendo chissà dove. Ed è proprio questa la sensazione che prevale: di poter continuare a camminare all’infinito senza giungere da nessuna parte, oppure in luoghi mai nemmeno immaginati, nascosti. La meraviglia ti aspetta dietro ogni angolo, in fondo a ogni vicolo.

Volevo scrivere di Q perché esalta l’importanza della stampa e la virulenza con cui si diffondono le grandi idee rivoluzionarie; per le figure di stampatori-editori che, per vendere e far soldi, differentemente da oggi, stampano libri pericolosi, messi all’Indice e non la solita poltiglia che viene spacciata in libreria, come in edicola (chissà se riuscirò a trovare, in contraddizione con me stesso, la forza per scrivere del fascino eterno delle edicole)…

Perna allarga le piccole braccia: – Proprio perché ci sono buone probabilità che venga proibito. Un libro clandestino lo vendi al prezzo che vuoi, capito?, e sul contenuto montano le aspettative. Lo daremo via come il pane! Savonaroliani, antitrinitari, sacramentisti, cripto-luterani e in più tutti i curiosi.

Lasciando da parte il perfezionamento delle tecniche di stampa, Gutenberg, le stamperie e le librerie di Venezia…sarebbe stato interessante scrivere per davvero di Q per come rappresenta la triangolazione fra l’espansione turca, la Francia e l’Impero di Carlo V. E poi le trame della Chiesa, le alterne vicende degli ebrei veneziani (e torna il problema teologico-politico, una certa passione per Spinoza, e tutti i riferimenti alla tolleranza appena accennata in alcuni territori europei lontani da Roma e dal centro dell’impero…e poi le conversioni forzate e i riti, le letture sottratti alla luce del sole)…e poi volevo scrivere dell’astuzia di chi detiene il potere, e dei legami – o dipendenza – con i grandi banchieri dell’apoca, i Fugger, che decidono delle sorti dell’Impero, delle grandi rotte commerciali e delle più grandi famiglie veneziane, europee.

Indica la banca: – Avrai certo sentito nominare i Fugger di Augusta: i banchieri dell’impero. Non c’è porto in Europa dove non ci sia una loro filiale. Non c’è commercio in cui non ci sia una loro anche minima partecipazione. I nostri mercanti sarebbero persi senza il denaro che i Fugger mettono a disposizione per finanziare i loro viaggi. Carlo V non sposterebbe un solo soldato se non avesse un credito illimitato presso i loro forzieri. Del resto, l’Imperatore deve ai Fugger la sua corona, la guerra contro la Francia, la crociata contro i Turchi e il mantenimento di tutte le sue puttane…

Q è anche e soprattutto un libro sul potere, su chi lo detiene, come lo raggiunge e, soprattutto, su come riesce a preservarlo e a mantenerlo, facendo la guerra a chi vuole rovesciare l’ordinamento sociale, economico, politico e religioso – è un testo sul legame che intercorre fra chi vuole il potere e la sua legittimazione – su chi si sente al servizio di una Razionalità superiore che deve realizzarsi, o manifestarsi (sempre in modo dialettico, per mezzo dello scontro, della guerra, del pólemos) nella Realtà o Storia…di qui la catena incessante di istituzioni e figure che si avvicendano: Papi, Vescovi, Concili, Inquisizione, Anabattisti, Contadini, Principi, Banchieri, Calvinisti, tutti in lotta per imporre un ordine al mondo. Su tutto, però, campeggia, “il piano” di Giampiero Carafa…

Il piano. Quello a cui Carafa sta lavorando da tutta una vita…Imporre un ordine al mondo. Concedere alla Chiesa di Pietro di rimanere l’arbitro indiscusso del destino degli uomini e dei popoli. Più di ogni altro Carafa ha capito su cosa si fonda un potere millenario. Un messaggio semplice: il timore di Dio. Un apparato gigantesco e complesso che lo inculchi nei costumi e nelle coscienze. Diffondere il messaggio, gestire il sapere, osservare e vagliare l’animo degli uomini, inquisire ogni spinta che osi oltrepassare quel timore.

Ma poi tutte queste cose – sarà ormai chiaro – non sono riuscito a metterle insieme per tirarne fuori un discorso coerente e capace di restituire il senso dell’opera – quella spinta che, oltre il timore di Dio e contro di qualsivoglia autorità, mira alla liberazione – leggetelo. Si fa prima. Qualcuno mi dirà se e fino a che punto sbaglio.

3 commenti su “Volevo scrivere di Q – Luther Blissett

  1. Ivana Daccò
    settembre 5, 2022

    Ci sei riuscito, a tirar fuori un discorso coerente. E difficile trovarci errori.
    Dopodiché, è un libro che deve venir letto. E riletto. In ogni tempo di questa nostra civiltà. In questo nostro tempo.

    • tommasoaramaico
      settembre 5, 2022

      Che piacere “risentirti”, Ivana. Ammetto di essere piuttosto disorientato, proprio qui dove dovrei sentirmi come a casa. Il post è uscito fuori solo per dire che non riuscivo a scriverlo, così come è stato letteralmente impossibile, negli ultimi mesi, andare oltre un magma di appunti presi su agende di compagnie assicurative regalate da anziani genitori che non sanno più che farsene.
      Ma per tornare a “Q” – letto tanti anni fa, non ha perso in nulla il suo fascino, la potenza espressiva, la capacità di restituire la spinta alla rivolta contro le ingiustizie – elementi che, come giustamente scrivi, sono più che mai necessari “in questo nostro tempo”…a presto.

  2. Ivana Daccò
    settembre 10, 2022

    Il tempo è divenuto tiranno – si invecchia – e, come vedi, ritardo a rispondere. Ma, come sai bene, ti seguo sempre.
    Ho trascurato, ultimamente, di seguire l’attività di Wu Ming.
    Q è e resta un caposaldo. E ti ringrazio di averlo recuperato.

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Questa voce è stata pubblicata il settembre 4, 2022 da con tag , .

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