Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Che fine hanno fatto tutti quei pensieri che sembravano tanto importanti? E il bruciore allo stomaco del mattino? E quelle lunghe, interminabili notti insonni? E i litigi e le interminabili discussioni iniziate in cucina o nei corridoi dell’ufficio e poi, interminabili, portate avanti nel buio della mente solitaria? L’astio e il rancore, dove sono i motivi e tutte quelle ore ed energie? E quella sete di vendetta che era un digrignare di denti e pugni serrati? Dove hanno portato? Cosa, in realtà, è stato conquistato? Cosa è andato perduto? Cosa, in realtà, si stava difendendo con tanto furore?
Questa è una storia antica. È la storia di un contadino cinese. Non era ricco, ma aveva uno splendido cavallo cui era affezionato. Un giorno questo cavallo era scappato dalla stalla senza fare ritorno, la sera. Tutti parlano di disgrazia, ma il contadino, senza esprimersi a riguardo, senza dare giudizi, lascia che il tempo passi. Saranno le cose stesse, i fatti, a dire se quanto accaduto è un bene o un male.
Possibile che tutto quello che aveva cercato e così intensamente desiderato o detestato avesse fino a tal punto cambiato forma e pelle e consistenza, nel tempo? Il lavoro per cui aveva sacrificato il sonno e la serenità, e quelle giornate rubate alla moglie e ai figli, tutti scacciati via per non togliergli tempo…possibile che quel lavoro che sembrava la via verso la felicità si fosse tramutato in una gabbia? Che il nutrimento delle medagliette, degli incarichi, del suo essere indispensabile, che tutto si fosse risolto nella delusione? Nella perdita di forze, energie, motivazione, vitalità?
I giorni passano e il cavallo che sembrava perduto, invece torna inaspettatamente indietro, portando con sé una mandria di cavalli selvatici. Il figlio del contadino, così come tutti nel vicinato, ecco, tutti esultano per dire che la fortuna lo aveva carezzato. Ma anche questa volta il contadino, senza scomporsi, non si affretta a dare giudizi. Una fortuna? Forse sì, forse no. Sarà il tempo, anche questa volta, ad aver l’ultima parola.
E quella donna che aveva promesso, per il solo fatto d’essere, la redenzione nel corpo e nell’anima? Dove erano finite la gelosia, le liti, la smania di controllare e i piccoli ricatti e sotterfugi? Possibile che tutto si sia risolto in un lasciar andare? Come poteva esser venuto a noia e diventato del tutto indifferente quanto lo aveva scosso fin nelle viscere? Perché quella casa palpitante, era diventata grigia e silenziosa e piena di ragnatele? Perché nulla assolveva più al proprio compito? I quadri alle pareti, la musica dalle casse dello stereo, i pentolini frementi sui fornelli, i divani costosi…perché nulla più aveva colore, sapore, melodia, morbidezza, fragranza? Come era possibile? Come è possibile che adesso, lontano di chilometri e chilometri, proprio adesso, le campane della chiesa suonino a morto per l’ennesima volta?
Qualche giorno dopo, il figlio del contadino, nel tentativo di addomesticare uno dei cavalli selvaggi, veniva disarcionato, cadendo a terra e fratturandosi una gamba. Ed ecco lì tutti a dire che gran disgrazia fosse accaduta. I vicini lo compativano, il figlio piangeva la propria sorte, perso in un lamento senza confini. Ma anche questa volta il contadino non si era lasciato andare a giudizi affrettati. Una disgrazia? Forse sì, forse no. Sarà il tempo ad aver l’ultima parola.
E mentre per lui il tempo passava, stranamente si sentiva ringiovanire e tornar le forze. Come era possibile? Lasciata ormai la casa in cui anni prima aveva fondato la sua famiglia, il suo nuovo appartamento stava prendendo vita e la vicinanza che un tempo lo aveva allontanato da tutto e tutti, si trasformava in una lontananza che finalmente lo rendeva prossimo al mondo. I figli crescevano e le loro voci erano cambiate. Erano più profonde, così come profondi erano i loro sguardi e tesi i loro corpi. Dopo le reciproche e necessarie delusioni che si erano inflitti, si erano finalmente umanizzati. La loro unicità non esigeva l’esser speciali. Il padre, finalmente, può mostrarsi come uomo fra gli uomini. I figli possono accoglierne la mortalità e perdonarlo.
Qualche tempo dopo, passarono per il villaggio dei soldati per reclutare tutti i giovani da inviare in guerra. A casa del contadino, una volta entrati, i soldati si trovano di fronte ad un giovane storpio, inabile alla guerra.
Qualche tempo dopo scoppiò la guerra e molti giovani morirono nel campo di battaglia, e mentre molti giovani perdevano la vita, il figlio del contadino si salvava a causa dell’incidente…
Si dice che Ian fosse stato un bambino difficile, particolarmente vorace, forse aggressivo – in ogni caso tormentato, non sereno. Piangeva e piangeva, fin dai primissimi giorni di vita. E più piangeva più veniva imbottito di cibo. Più veniva riempito di cibo, più smaniava. Spesso veniva preso per le caviglie, messo a testa in giù e scrollato per fargli vomitare tutto quello che aveva ingurgitato e svuotarsi. E svuotato, smetteva di piangere. Forse il suo pianto era d’altro genere e cercava altro genere di nutrimento. Poteva forse vivere di solo latte, come tutti credevano?
Quanto aveva ingurgitato Ian nel tempo? Quante volte aveva risposto all’inquietudine nell’unico modo che aveva appreso fin da quando era in fasce? Riempirsi di cose, di parole, di impegni, di medagliette, obiettivi. Ma più aveva gettato dentro, più il vuoto si era allargato e più questo si era allargato più lui si era affannato per riempirlo, perdendo sempre più se stesso.
Non si tratta forse, per Ian, di lasciarsi andare ad un ultimo grande conato di vomito? Mettersi a testa in giù e vuotare senza buttarsi subito alla ricerca di chissà cosa? Aspettare. Pazientare. Mollare la presa. Non si tratta forse di far silenzio una volta e per tutte? Di smettere di reclamare, parlare, divorare, imbrattare carte? Lasciando finalmente tempo alle cose, lasciandole essere? Proprio come il contadino cinese. Vedere la piega che prendono. Guardare ma non toccare. A digiuno. Pensare senza parlare. In silenzio.
Non aver voce in capitolo.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Quanto è facile perdersi in questa vita, e quanta fatica per poi ritrovarsi e guardarsi dentro con maggiore saggezza.
Forse sì. Forse no. Forse non c’è un’unica risposta. Lo dirà il tempo, ma, sempre forse, lo dirà caso per caso. Dirà cose diverse. E’ fantasioso, il tempo.