Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
La Cicala che imprudente
tutta estate al sol cantò,
provveduta di niente
nell’inverno si trovò,
senza più un granello e senza
una mosca in la credenza.
Affamata e piagnolosa
va a cercar della Formica
e le chiede qualche cosa,
qualche cosa in cortesia,
per poter fino alla prossima
primavera tirar via:
promettendo per l’agosto,
in coscienza d’animale,
interessi e capitale.
La Formica che ha il difetto
di prestar malvolentieri,
le dimanda chiaro e netto
– Che hai tu fatto fino a ieri?
– Cara amica, a dire il giusto
non ho fatto che cantare
tutto il tempo. – Brava, ho gusto;
balla adesso, se ti pare.
Versione di Jean de La Fontaine, La cicala e la formica, in Favole
Qualche giorno fa passeggiavo in uno dei tanti parchi di Roma, attento al tempo che scorreva veloce e pareva non passare mai. Le cicale frinivano e ai miei piedi le formiche operose furiosamente cercavano di trascinare un insetto nel loro formicaio. Un colpo di vento aveva fatto fremere le foglie degli alberi, intorno a me. Attratto da un tronco particolarmente possente mi sono avvicinato per osservarne da vicino i molteplici solchi nella corteccia. Mi sono ritrovato davanti a innumerevoli mute di cicala. Erano inquietanti. Più su, le cicale continuavano il loro inesauribile cicaleggio, in basso le formiche continuavano nel loro lavoro, instancabili. Tornato a casa ho cercato fra i libri, trovando qualcosa – non tutto quello che avevo in mente. Va bene così.
Non ho mai amato, fin da bambino, la Formica di questa breve fiaba (che da Esopo, passando per Fedro, arriva a J. de La Fontaine – solo per citare i nomi più noti). E, lo ricordo bene, non mi piaceva il tono censorio con cui La cicala e la formica mi è sempre stata letta e raccontata. Era troppo smaccato il senso minaccioso della fiaba, il suo capito l’antifona?; il suo: da che parte starai tu, quando crescerai? Che fine farai, quella della Formica o della Cicala? Non so, forse, ero solo uno dei tanti bambini estremamente suggestionabili, ma (lontane dal ben più umano Gianni Rodari, che, ho scoperto di recente, rivoluziona la versione originale e dà la sveglia alla Formica, umanizzandola) nelle grandi pagine del mio libro illustrato c’era la Formica al riparo, nel calduccio della sua cassetta, con la dispensa piena, mentre la Cicala, al freddo, piegata dal vento, bussava alla sua casa, affamata e infreddolita, prima d’esser cacciata via, a mani vuote. La storia non va oltre, perché subito si affretta a consegnarci la morale: la Cicala sta dalla parte sbagliata della strada, la Formica dalla parte buona. Eppure il seguito è facilmente immaginabile e io, da bambino, lo vedevo benissimo: la Cicala muore di stenti, di fame, di freddo e solitudine.
Non mi piaceva la morale che ne tiravano fuori i grandi, a casa, a scuola, su quel libro illustrato. Anche se capivo solo in parte – una cosa era certa – e da tutti ben accetta: era una bene che Cicala facesse una brutta fine, mentre Formica era un buon modello da imitare, anche se era evidentemente senza umanità. Strideva con tutti gli altri messaggi che i grandi, gli adulti mi impartivano: condividere, donare, aiutare chi fosse in difficoltà. Qualcosa non quadrava. Non quadra.
Rileggendola oggi, quell’impressione rimane la stessa. Non mi piace Formica. Non mi piace per niente. Non mi piace il suo punto di vista, la sua ottica o visione del mondo. La cosa si fa più precisa – non bisogna aver pietà di chi sbaglia. Per la Formica non è ammissibile commettere errori. E la pena, a quanto pare, è (deve essere) sempre pena capitale.
Magari si sarà pure salvata, la Cicala. Ma ne dubito profondamente. Nelle fiabe, il mondo è diviso in buoni e cattivi – rare le sfumature. O Cicala o Formica. Punto. Si tratta di capire da che parte stare.
Per i grandi (anche per i grandi che avevano confezionato il libro illustrato) non c’era appello. Lo accetto: il lavoro e l’impegno – di cui Formica è portatrice – sono cosa buona; non ho obiezioni: il divertimento fine a se stesso e canzonatorio di cui Cicala è rappresentante non può che portare guai e fastidio:
La cicala vide la formica e criticò il lavoro della bestiola così: “Stolta formica, perché sprechi la tua vita nel lavoro? Io invece mi rilasso all’ombra, trascorro una vita lieta e senza preoccupazioni e porto allegria ai contadini” (Fedro)
E si può, a tratti, addirittura simpatizzare con la Formica che tiene duro, anche se già qualcosa di poco sereno, qualcosa di rabbioso emerge, in lei:
Ma la formica diligente disprezzò la pigrizia della cicala, non badò alla sua insolenza ma insistette nel suo lavoro (Fedro)
Ma da questo si deve necessariamente arrivare ad una fine senza scampo per Cicala (perché ne ero e ne sono certo: Cicala muore), e a Formica che si erge a giudice spietato, disumano? Non si discute l’atteggiamento di Cicala. È chiaro che il suo modo di prendere la vita non è accettabile e che la sua spensieratezza – che alletta e genera simpatia – alla fine ha in serbo brutte sorprese. Però la sua fine, anzi l’ineluttabilità della sua fine sembra eccessiva.
A rileggerla adesso, mi chiedo, non può esser trovata una via alternativa? Adesso, nell’estate della vita, si può aver presente l’inverno che necessariamente arriverà, senza correre il rischio di dimenticare il presente e indurire il cuore? Come può esser superata la visione violenta (ossia unilaterale) del tempo, delle cose, del lavoro, della felicità, del piacere e del dovere di cui Cicala e Formica sono portatrici?
A rileggerla adesso la Formica non pare tanto diversa dalla Cicala. Entrambe attaccate alle cose, anche se da due diverse prospettive – la Formica tutta impegnata nell’accumulare in vista del futuro – già, perché nel lavoro di Formica c’è lo spettro dell’avarizia, dell’arrivismo, lei “che ha il difetto di prestar malvolentieri” (Fontaine), ha lavorato per sé e per sé sola, nella modalità del tutti contro tutti, accaparrando il più possibile; mentre Cicala manifesta il medesimo, speculare attaccamento: ha goduto, consumato, bruciato tanto le cose, quanto il senso del tempo, persa com’era nel deserto di un presente senza prospettive e profondità, forse perché ritenuto eterno.
Due forme di materialismo, di segno opposto – quello di chi accumula credendo di salvare se stesso godendo dell’errore e del fallimento altrui; quello di chi deride gli sgobboni ritrovandosi poi in pericolo, imbrigliato nelle conseguenze delle proprie azioni. Non mi piace l’estate della Formica, così come non mi piace quella di Cicala. E non mi piace il loro inverno, gonfio di rabbiosa (e illusoria) rivincita (ride bene chi ride ultimo) e persa in una sofferenza senza conforto.
Mi domando come stia procedendo questa estate. Lo chiesto a me, ma nella forma del Tu. E tu, come passerai, come stai passando l’estate? Stai lavorando freneticamente per mettere – per quanto è nelle tue forze – al sicuro il tuo inverno? Sei la Cicala? O sei la Formica? Sei schiacciato su di un presente acefalo fatto di piaceri immediati? O stai, magari rabbiosamente e pieno di livore, lavorando per il futuro, guardando storto chi ti sta attorno ed è diverso da te? Sei piegato su di una visione muscolare (in fondo impaurita) della vita, rabbiosa, forse inaridendo il tuo presente? Pensi solo al futuro, a quando le cose potrebbero mettersi male, dimenticando il presente? O come la Cicala credi di nuotare felice nelle sabbie mobili di un presente spensierato, senza curarti del futuro?
Sei pronto a lasciar morire la Cicala che non sei stato? Il tuo lavoro, in questa estate, nell’estate della tua vita, è furioso? O è un lavoro gentile e fruttuoso? Il tuo sguardo parla le parole della Formica di La Fontaine?
– Che hai tu fatto fino a ieri?
– Cara amica, a dire il giusto
non ho fatto che cantare
tutto il tempo. – Brava, ho gusto;
balla adesso, se ti pare.
In contro-luce, nelle tue azioni, si possono già intravedere il brusco risveglio e l’umiliante preghiera della Cicala?
La cicala […] a causa della sua negligenza non ha cibo ed vive nella miseria. Implora dunque la formica: “Per favore, dammi poche briciole, perché sono affamata” (Fedro)
Ti stai preparando all’inverno senza disprezzare la Cicala indolente che vive accanto a te? Ti stai preparando all’inverno senza deridere la Formica che si illude di poter mettere al sicuro la propria vita? E se sì, come? In altre parole, è una gioiosa estate, questa? E se non sei Cicala, né Formica, allora, che insetto sei?
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Bello!
E sai bene il paradosso di una risposta. La domanda, è da tener aperta. Mai da chiudere.
Eh bien, dansez maintenant! Antipatica, la formica…
Antipatica, senza ombra di dubbio!
Io sono una falena. Non sono una farfalla che tutti vedo arrivare e posarsi sul fiore. Io arrivo di sera, sulle lampadine accese, entro a casa, mi poso sul muro, mi guardo in giro e rimango lí. L’indomani svanisco. Non si sa dove. A volte qualcuno mi ha notata e si è avvicinato alle mie ali dai colori fantasma. Altre volte mi han lasciata lì sul muro a far tappezzeria.
Non è male far da tappezzeria. Esserci nella modalità del non esserci. Grazie per il commento.