Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Il tempo ha in sé una regola. Passa. E passando passa al setaccio le azioni, i pensieri, i desideri. Il tempo discrimina, separa, porta a compimento. (Masa e Lian – Parte prima)
Una sera, dopo che Lian aveva duramente lavorato e aveva appena indossato vesti pulite, qualcuno bussò alla sua porta. Dopo due anni, fuori dall’uscio, consegnato alle strade polverose del mondo, ritrovava il fratello maggiore, Misa.
Lo fece entrare e sedere alla propria tavola, senza nulla chiedere, invitandolo a scacciare via la fame e la sete. Misa mangiava con voracità, sotto gli occhi limpidi della moglie di Lian e dei suoi tre figli. Poté prima lavarsi, dunque, presi in prestito i vestiti puliti del fratello, quando tutti dormivano nei propri letti, raccontare della propria sorte. Di come avesse perduto tutto. Quella notte, Misa poté dormire nella stanza degli ospiti.
Se i tuoi ospiti fossero d’alto rango non dormirebbero mai in questa che è poco più che una stamberga.
È pulita, le lenzuola fresche di bucato, il materasso non ospita insetti. Quella finestra affaccia sulle colline.
Ho alloggiato in ben altri appartamenti.
Qui puoi trovare solo il necessario.
Il tempo passava, ma Misa non lasciava quella stanza che faceva mostra di disprezzare. Una donna, spesso, si nascondeva sotto il suo letto. Entrava e usciva dalla finestra, come una ladra, di notte. Lian si alzava presto al mattino, come ogni giorno da quando il padre, anni prima, per la prima volta aveva aperto l’uscio della sua stanzetta, trovandolo già sveglio. Più volte Lian aveva aveva proposto al fratello di presentarsi al suo cantiere, poiché negli anni era riuscito a farlo proprio. Il fratello maggiore aveva molte volte risposto di no, ma poi un giorno, tardi al mattino, si era presentato. Portava con sé dei grandi fogli su cui aveva tracciato ambiziosi progetti.
Lian li aveva guardati, Un buon progetto deve essere realizzabile. Aveva sentenziato.
Tu ti accontenti di posare un mattone al giorno, giorno dopo giorno.
A fine giornata quel mattone è stato posato, qualcosa prende forma.
Io ho altro per la mente. Grandi progetti che tu non sei in grado neppure di immaginare. Nostro padre lo sapeva, per questo ha sempre preferito me a te.
Lian non rispondeva alle parole del fratello, quando queste sgorgavano dalla malevolenza. Misa lo sapeva e questo sentimento esacerbava il suo spirito. Quanto era nella sua mente non lasciava traccia nel mondo e ogni suo progetto svaniva nel nulla, superato da idee sempre più ambiziose e sempre meno realizzabili.
Lian continuava a dargli ospitalità. Misa non sopportava la generosità del fratello.
Un giorno Lian venne fatto chiamare dalla madre. Vecchia e cieca, dal suo letto, gli comunicava la fine imminente.
Se Dio vorrà, andrò a riposare accanto a tuo padre.
Lian taceva.
Tutto quello che ho, compresa questa casa, andrà a tuo fratello, che più di te ne ha bisogno. Per te solo questo, perché non vada perso o dato in pegno o venduto. E a fatica sfilò gli anelli nuziali, il suo e quello del defunto marito, per assicurarli alla mano del figlio.
Lian baciò la mano della madre e fece ritorno a casa.
Il tempo, passando, portò via anche la vita dell’anziana madre. Come una candela si spegne alla sera, quando al tramonto il vento soffia con più animo, la vecchia chiese prima da bere alla ragazza che Lian aveva messo al suo fianco, quindi domandò che le venisse sistemato il cuscino dietro la testa. La ragazza sentì sul collo l’ultimo respiro della donna. Dolce e tiepido restituiva il soffio vitale. Finalmente, chissà, poteva realizzare l’unico pensiero. Tornare accanto al marito, per rassicurarlo.
Dopo i funerali, Misa, senza proferire parola, lasciava la casa del fratello per trasferirsi in quella che era stata dei genitori. La donna che si intrufolava in casa di Lian era riuscita a farsi sposare. Misa non era lucido. Poco tempo passava dal funerale della madre alle nozze del primogenito, nuovamente ricco e con una casa. Presto la casa fu svuotata. Alcune cose vennero portate via da straccioni e nullatenenti, il resto venne dato alle fiamme, in una grande fossa ai confini della città. Lian chiedeva a Misa di presentarsi a lavoro. Le sue conoscenze potevano tornare utili. Avrebbe avuto la giusta paga. Il suo corpo e la sua mente ne avrebbero tratto giovamento. Misa aveva riso del fratello.
Adesso, diceva, posso realizzare i miei progetti.
Ma il tempo passa e passando, fra le molte cose, il tempo pone le cose vere come vere e le false come false. Misa perse la casa dei genitori, il denaro avuto in eredità. La donna che si era fatta sposare era svanita nel nulla, una notte come tante altre. E ancora una volta Lian dovette aprire la porta di casa al fratello, dividere con lui la propria cena, far preparare il letto nella stanza tanto disprezzata. Misa era precocemente invecchiato, così come ingialliti erano i fogli arrotolati che custodivano idee che non avevano mai preso carne. Nuovamente, prima di andare a stendersi accanto alla propria moglie, Lian diceva al fratello di lavorare insieme. Ancora una volta Misa guardava sprezzante il fratello.
Quella notte Lian, forse per la prima volta nella sua vita, non aveva dormito il giusto sonno. Gli occhi del fratello avevano brillato nel buio della notte, proiettati dalla sua mente contro il soffitto. Per questo aveva abbandonato il lavoro per tornare a casa. Lo avrebbe fatto alzare dal letto, nel caso l’avesse trovato ancora sotto le coperte; l’avrebbe spinto a lavarsi e vestirsi, nel caso non fosse stato presentabile; l’avrebbe obbligato ad uscire di casa, nel caso avesse protestato per rimanervi, come bestia in una tana.
Non dormiva. Aveva trovato Misa nella sua cucina, in piedi. Lian aveva incrociato gli occhi terrorizzati della moglie, che stringeva uno strofinaccio, la schiena contro un angolo, come in trappola. Misa, nel vederlo, aveva provato ad uscire dalla stanza, ma Lian lo aveva bloccato, il corpo muscoloso fermo sulla soglia.
Devi lasciare questa casa. Adesso.
Il tempo distingue le cose. Alcuni uomini li rende liberi, altri schiavi. Il tempo rovescia e poi ancora rovescia quanto ha già rovesciato. È nella sua natura. Chi conosce questo sa perdonare. Chi conosce questo sa che ogni rovesciamento implica un nuovo inizio. Il tempo strappa via atomi dal corpo, riduce a brandelli vecchi pensieri da tempo impolverati, stana antichi risentimenti che, come topi, se ne stanno rintanati nelle cantine dell’anima, diventando via via sempre più spaventosi.
Ancora una volta, ma questa ridotto a mendicante e senza i suoi rotoli di carta, Misa bussava alla porta del fratello.
Ho fame.
Avrai di che sfamarti.
Ho sonno e freddo.
Avrai un letto e delle coperte.
Ho bisogno, io ho bisogno e le mani sporche che non portavano traccia della vera fatica, tremavano tra i due fratelli, come non fossero di nessuno, come attendessero di avere finalmente un destino, perché non l’avevano mai avuto o, peggio, quello che era stato per loro deciso s’era rivelato falso.
Domani mattina, presto.
L’uomo che un tempo, sotto le fronde di un leccio, gli aveva offerto un tozzo di pane, era ormai diventato un vecchio. L’uomo che un tempo Misa, ancora ragazzo, aveva osato umiliare, protetto dal padre, era ancora lì. Lo guardava con le palpebre gonfie di tempo e polvere, in assoluta presenza, Sai posare un mattone?
Misa fece cenno di no.
Da qui bisogna iniziare, altrimenti…e qui indicava la maestosa costruzione che anche Misa, finalmente, osava riconoscere, altrimenti questo non sarebbe possibile.
Misa si piegò sulle ginocchia, pronto al lavoro. Serrò le labbra, pronto allo sforzo e al silenzio. Tese le orecchie, pronto all’ascolto. Gli occhi fissi sulle grandi mani del vecchio, in tutto simili a quelle che erano state del padre, mani che il padre aveva creduto di potergli risparmiare.
I suoi stinchi nudi e resi glabri dal tempo, erano lucenti sotto al sole che si alzava in cielo. Erano in tutto e per tutto identici a quelli di Lian, del fratello.
Fine
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
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Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
Bella storia.
Grazie Ivana.