Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
“L’autore migliore sarà quello che si vergogna di diventare scrittore”
F. W. Nietzsche, Umano, troppo umano
I fratelli sono spesso diversi, alle volte diversissimi. Nondimeno sono fratelli, quindi hanno sempre qualcosa in comune. Possono assomigliarsi nei lineamenti del volto, nel modo di sbadigliare o di accavallare le gambe. Guardate i loro stinchi. Concentrate lì la vostra attenzione. Troverete quasi sempre delle somiglianze strabilianti. Io, almeno, ne ho fatta esperienza diretta. Per il resto, dicevo, sono spesso diversissimi nel loro modo di stare nel mondo. Masa e Lian, come tutti i fratelli che si rispettino, non erano da meno. Masa, il più grande dei due, fin dal suo ingresso nel mondo sembrava destinato, e di fatto dal padre era stato eletto, a grandi imprese. Lian, al contrario, era destinato a diventare un uomo onesto e laborioso. Il destino dei figli, a insaputa di tutti, è spesso scritto con inchiostro invisibile nel loro spirito già da quando sono solo dei bambini. Solo pochi hanno la vista tanto acuta per leggere quanto è stato per loro deciso, pochi riescono a scoprire la fonte dell’infinita scontentezza che può segnare una intera vita, spesso ostinatamente volta a perseguire mete confuse che hanno i caratteri dell’orizzonte, irraggiungibili e mai veramente desiderate. Masa, che aveva molti doni, non aveva questo, il più importante: non sapeva vedere; mentre Lian, che aveva imparato tardi a proferir parola e muoveva un passo solo se necessario, era invece capace di sentire le cose. A modo suo sapeva e sentiva. Masa sempre parlava e sembrava avere un’idea su tutto. Nulla, però, poteva appagarlo o portare quiete nel suo animo. Lian, già da bambino, era maestro nel silenzio e padroneggiava l’arte dell’ascolto. Sapeva esser grato e per questo tutti lo amavano. Era destinato, dal miope oracolo paterno, alle cose di ogni giorno, ma la sua fronte serena restituiva il senso di una via ben tracciata. A lui piacevano le cose di ogni giorno. La madre lo osservava, mentre sbrigava le sue cose, e faticava a trattenere il sentimento per quel secondogenito per cui il padre aveva messo da parte meno risorse. Snello, la schiena dritta, con mano sicura stringeva un qualche oggetto e, a tratti, con occhio tagliato che tradiva antichi natali, osservava la strada polverosa fin dove era possibile arrivare con lo sguardo. Svelto nel calcolo fino al prodigio, presto il padre lo avrebbe svegliato all’alba per portarlo con sé nei cantieri; mentre Masa, che sarebbe dovuto diventare grande costruttore, avrebbe dovuto studiare ancora a lungo, anche se faticava nel tenere gli occhi sui quaderni, ed era sempre pronto a scattare dalla sedia alla minima occasione di distrazione. Le urla gonfiavano la casa, colavano dalle finestre accostate, finivano sul ciglio della strada, alla mercé di passanti curiosi. Il tempo faceva il suo lavoro, passava.
Misa terminava in suoi studi con grande difficoltà, mentre Lian già da tempo sosteneva il lavoro del padre e gentilmente impartiva ordini, indicazioni, consigli ai suoi compagni di lavoro. Con pazienza ascoltava le parole dei più anziani, prima di indicar loro la mansione necessaria, la giusta soluzione per un problema nuovo. Con il dono del sorriso otteneva ogni cosa, nessuno osava contraddirlo e persino il padre, che in vita sua non aveva mai ottenuto tanto con così poco sforzo, si era rassegnato – confuso – all’autorevolezza del suo secondogenito, mentre disperava che Misa potesse finalmente presentarsi fra la polvere, i mattoni la calce e la ferraglia, vestito con ben altre vesti, capace di parlare con ben altre parole e guardare tutti con ben altri occhi.
Questo padre, ogni sera si stendeva sul letto, la schiena rotta, e teneva gli occhi chiusi, benché sveglio, temendo che la moglie, al suo fianco, intuisse i suoi pensieri. Dove si annidava l’errore? La porta di casa si lamentava nel pieno della notte. Era Misa, inoperoso, viziato, inquieto, che faceva rientro, mentre Lian dormiva il sonno di chi aveva molto lavorato.
Dovresti riposare, domani, sussurrava sempre la donna, che aveva antenne sensibili e sentiva il dolore del marito.
Il cantiere, rispondeva ogni volta lui.
Lascia Lian, penserà lui a tutto.
L’uomo non aveva coraggio per rispondere. Fingeva di essersi addormentato. La donna, come sempre, era nel vero, ma lui, nel vero, non voleva dimorare.
Manderò Misa, al mio posto. Così si decise a rispondere, una sera che sentiva d’essere particolarmente stanco, oppresso, incerto della via che aveva ormai da molti anni intrapreso.
Ma Misa, il giorno dopo, si presentò tardi, al cantiere, e così Lian – che aveva atteso il proprio turno senza proferir parola – diresse i lavori, non appena il padre gli diede il permesso. Quando il sole era già alto e gli uomini riposavano all’ombra, dopo un semplice pasto, Misa si presentava con dei grandi fogli arrotolati stretti sotto le braccia. Il padre gli aveva chiesto dove fosse stato, ma il primogenito non aveva saputo rispondere. Lian, che vedeva il fratello provato e ne intuiva la sofferenza, gli aveva ceduto il proprio posto, sotto le fronte d’un leccio.
Un uomo che poteva essere suo padre, già seduto sotto le ricche fronde, offri parte del proprio pane al nuovo venuto, in segno di rispetto. Lo strappò con mani sicure, segnate dal tempo e dal lavoro.
Misa sputò a terra, si tirò in piedi e andò a sedersi lontano. In disparte.
L’uomo assicurò il pane spezzato in un fazzoletto e, senza dir nulla, mangiò la restante parte, che era poca cosa.
Il tempo faceva il suo lavoro, perché il tempo, si sa, non riposa, non indugia, né accelera. Inaspettatamente, ma necessariamente, il tempo si prendeva la vita del padre di Misa e Lian e a loro consegnava la cura dell’anziana madre. I beni dell’uomo, così come in vita, anche adesso, alla sua morte, venivano distribuiti in modo diseguale. La gran parte andava a Misa. Un residuo a Lian. La madre non aveva proferito parola. I figli avevano accettato.
Misa progettava di investire l’eredità per costruire un grande edificio e, così, fare affari e moltiplicare quanto gli era stato lasciato. Lian continuava a lavorare lì dove il padre, alcuni anni prima, lo aveva condotto per la prima volta, mentre il sole s’era appena scollato dall’orizzonte lacrimoso. La parte che gli era toccata in sorte era stata appena sufficiente per comprare un fazzoletto di terra ai confini della città.
Qui costruirò la mia casa, aveva detto alla madre.
Avrò bisogno del mio vecchio letto ancora per qualche anno. Nulla più di quello, però.
La madre lo aveva preso per mano, senza parlare.
Era più d’un semplice patto.
Misa, al contrario, aveva già lasciato la casa paterna per trasferirsi in un palazzo al centro della città. Non aveva mai avuto tante ricchezze a sua disposizione.
continua…
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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