Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Pollicino ha appena avuto il tempo per architettare la fuga dalla casa dell’orco che i bambini già dormono. Ian Testa indugia un attimo, prima di spegnere la lucina da campeggio con cui ha illuminato le pagine del libro illustrato. Si sofferma sul loro respiro regolare, sui tratti sereni, sulle posture: entrambi accucciati sul fianco destro. Uno schiocco di dita, il tempo di leggere una pagina ed entrambi, da che erano svegli, vigili, erano sprofondati nel sonno. Sono ancora in grado di addormentarsi in un istante. Alle spalle troppo poco da ricordare e davanti un futuro così lungo che non riescono ancora a percepirlo. Il presente è la dimensione dello spirito di questi bambini, così come il presente è la dimensione del saggio. Non di Ian Testa, però.
Spegne la lucetta e, insieme al libro, sistema tutto sullo scaffale. In corridoio attacca alla presa una lucina a led. Luce nelle tenebre. Consolazione per chi si trovasse a svegliarsi nel cuore della notte.
Ian va a stendersi sul divano. Dovrebbe dormire, riposare. Ma riposare non è mai riposarsi in generale, ma sempre riposarsi da qualche cosa. Del mondo, di sé. Stanco del mondo fatto di lavoro, obblighi famigliari. Stanco di sé, Ian è stanco di esser stanco del mondo. Stanco di esser stanco della moglie, dei colleghi e, a tratti, dei figli. Stanco di esser stanco senza trovar nulla che sia capace di tirarlo fuori da questo stallo. Nulla che sia antidoto a tale stanchezza o capace di ristorarlo, almeno in parte. Il mondo incalza, dall’esterno, così come dall’interno. Sotto forma di fatti, pensieri, mal di stomaco. Insonnia.
Sistema una copertina sulle gambe e chiude gli occhi. Stare qui, adesso. Fermo. Solo, alle dieci di un mercoledì sera come tanti altri. Pochi secondi, una manciata di respiri e la mente si riempie di figure del passato. Sa, Ian Testa, di difettare nel pensiero e nell’attenzione, di tutto ha vaga cognizione, tutto è transitorio e nulla veramente si impossessa di lui, così come lui non si impossessa realmente di nulla pur non riuscendo a recintare, in sé, uno spazio vuoto. Ricorda d’aver patito per certe cose legate al mondo esterno. Ricorda pure di aver sofferto di cose di cui nel mondo non v’era traccia. Sente che qualcosa, un qualche pensiero corre troppo veloce per lui. Incapace come è di catturarli e trattenerli, a lui rimangono gli effetti, briciole di ciò che è. Gli restano gli occhi aperti e un malessere che lo attraversa. Deve impegnarsi per pescare e tirare su dal fondo viscoso della sua coscienza pensieri gocciolanti ansia e inutili timori.
Ah, la lista delle cose da fare, da pensare, da risolvere che si allunga mano a mano che una voce viene depennata. Una vita fatta di rincorsa ai dettagli, ai possibili inciampi, alle paventate inadempienze – come se il mondo potesse essere recintato e la vita veramente esser messa in sicurezza. Ma il mondo non sta in un foglio di carta. Il mondo, o realtà, è una sfera e, in quanto tale, è fatto di infiniti punti e quindi non c’è lista che tenga, non c’è lista tanto dettagliata da coprire, controllare e dominare l’infinito. Il mondo è grande e potente, infinito, mentre lui piccolo, impotente, finito. Ma sapere e capire veramente sono cose distinte ed Ian sa solo confusamente senza aver compreso realmente.
La moglie entra nel salone. Si guardano, in silenzio, poi lei si siede in fondo al divano. Vicino ai suoi piedi. Apre un libricino e si mette a leggere. La televisione accesa, senza volume, segna le dieci e mezza. Come ha potuto passare quel tempo? Ian chiude gli occhi per non dover incontrare quelli della moglie. Respira.
Qualcuno, con le proprie azioni, ha provocato la sofferenza di qualcun altro. La libertà è sempre, in fondo, una forma crudeltà verso l’altro, gli altri soffrono della nostra libertà. Noi soffriamo a causa della nostra libertà. Ian Testa non crede di essere libero. Al contrario, sente di essere incatenato. Da chi? I suoi pensieri sono tutto un crampo.
Instupidisce, steso sul divano. Perso in una lotta di cui non conosce la causa. Per ottenere cosa? Non lo sa. Ingaggiata contro chi? Non sapendo neppure questo, la sua lotta investe tutto e tutti, dunque niente e nessuno. Colpisce a vuoto, scoordinato e goffo. Si fa male da sé. Tutto intorno a sé alza un polverone che lo acceca, lo rende sordo e gli inaridisce le labbra, la lingua. Incapace di vedere, di udire, di parlare è schiacciato sotto il peso di uno stupore che instupidisce. Niente a che fare con la meraviglia. Impossibile da qui, da questo divano costato un sacco di soldi, scomodo, incapace di mantenere la promessa del venditore, impossibile, da qui, prendere la mira, impossibile mirare a qualcosa o a qualcuno, tantomeno a se stessi.
Forse si è addormentato. No, è sveglio.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)