Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Subito prima di Natale – ho lasciato passare esattamente un mese, prima di scriverne – ho ricevuto una lunga mail da una persona reale di cui però non farò il nome. Non era indirizzata unicamente a me, bensì anche a me. Niente Io-Tu, ma un più generico Io-Voi. Arrivava da uno dei molti, tutti coraggiosi e volenterosi lavoratori nell’ambito della piccola editoria. È un nome discretamente noto a chiunque stia muovendo i primi passi nel tentativo di pubblicare qualcosa, e soprattutto a chi ha (come me) creduto nel digitale per molti e complessi motivi. Era una lunga lettera aperta, piena di spunti e considerazioni sulla letteratura e sul mercato editoriale ma, in fondo, può essere riassunta in un’unica proposizione: Per Natale compra o regala il mio libro. Una tale proposizione, ovviamente, ne contiene un’altra: Acquista il libro che ho scritto, cui ho dedicato tempo e fatica e che nessuno o quasi legge. Di quel libro, prima della mail, avevo avuto modo di leggere un assaggio. Non mi era piaciuto. Ma questa è un’altra storia. La lettura di quella mail mi ha lasciato un cattivo sapore, una fastidiosa sensazione. L’ho cestinata (per inciso – sono andato a verificare nel cestino nel tentativo di recuperarla, ma nulla – avevo anche svuotato il cestino). Non mi sono fatto troppe domande, sulla cosa. Però una cosa è vera. Intrusivo, il pensiero di quella mail mi ha più volte distolto dalle mie faccende quotidiane.
Secondo passaggio, sempre di sapore natalizio. Un paio di mesi fa – e anche in questo casi non faccio nomi – mi sono trovato a inviare una copia del mio Rovesci a un lettore intelligente che quando si mette a scrivere non se la cava per niente male. Come mi piace pensare – era un gesto a perdere che non mirava a nulla se non alla semplice lettura, sempre a tempo perso. Senza impegni. Premetto che il povero Rovesci, che mi è costato una certa fatica, ma anche tanto divertimento, non si è difeso granché bene nel mondo dei libri – il suo vagito è rimasto perlopiù inascoltato. Quelli, non molti, che però hanno deciso di dargli una letta, hanno tutti espresso giudizi (mai richiesti) positivi. Le cose che seguono sono tutte vere. Un mio coetaneo capace di lunghe catene di ragionamenti mi ha detto, nel seguente ordine: “ma come ti è venuta in mente quella roba?”, subito dopo: “mi ha reso triste”, ancora: “mi ha fatto ricordare…” e infine: “belli”. Una ragazza che si esprime in modo spesso confuso, ma capace di intuizioni notevoli, si è limitata a dirmi: “è bello ma non lo tollero”. Ritorno a questo Natale, al “lettore intelligente che quando si mette a scrivere…etc. etc.”, che mi ha scritto di essere sprofondato “nelle notti dopo la lettura, in un mondo onirico incredibile”. Dopo un ulteriore giro di mail in cui lo ringraziavo per l’apprezzamento e piagnucolavo perché speravo in qualche lettore in più – questo attento lettore con grande tatto mi invitava a piantare i piedi a terra, di accontentarmi di aver messo su carta qualcosa di dignitoso e di esser riuscito a carpire il tempo e l’attenzione di una manciata di lettori.
Terzo passaggio: fra Natale e capodanno. Fino ad un paio di anni fa ogni giorno andavo a guardare le statistiche di questo mio blog. Ne registravo, con grande attenzione, le variazioni di peso, contavo gli occhi che gli dedicavano uno sguardo. Ancora una volta – chi è che legge? Quanto? Da dove? Cosa? Non era un esercizio edificante. Non mi piaceva l’attenzione alla statistica, eppure non ne potevo fare a meno. Nel tempo sono riuscito a fare un passo indietro rispetto a tale rito quotidiano – o automatismo – e però mi sono trovato a constatare che a questo maggior “distacco” si è accompagnato un notevole aumento di lettori o, quantomeno, di persone che sono inciampate in uno dei post che ho scritto. A dire il vero sono sì rimasto sorpreso da questa “impennata” nei numeri, ma lo sono rimasto ancor di più nel registrare la mia a dire il vero cupa indifferenza per un risultato insperato per un blog che veicola contenuti strampalati e spesso bizzarri, conditi di pseudo-riflessioni a loro volta infarcite di rimandi, citazioni e giochi di specchi.
Per spiegare questa doppia sorpresa mi concedo un passetto indietro, giusto di qualche mese. Proprio alla fine di questa estate avevo scritto un lungo post pieno di riflessioni acrobatiche e spericolare per mettere il blog in congelatore in attesa di tempi e motivazioni migliori. Indeciso sul da farsi, rimandandone la pubblicazione di giorno in giorno, mi sono trovato a scrivere una mail ad una persona che di blog se ne intende tanto da averne edificato uno davvero invidiabile prima di trovare il coraggio per metterlo in pausa. Nel mio goffo tentativo di instaurare una vera comunicazione mi ero azzardato ad inviarle un mio racconto. Mi sembrava potesse, al posto mio, rispondere a delle sue sincere parole. In una cosa sono bravo, devo dirlo: ho le antenne sensibili per le cose buone che mi circondano. Per parte mia fatico incredibilmente a cavar fuori un pensiero che si regga sulle proprie gambe, ma quando nei paraggi c’è qualcosa di interessante, ecco, la faccio mia. Atteggiamento predatorio, lo ammetto, da ladruncolo, ne sono consapevole – ma sempre in buona fede. Cito sempre il mio interlocutore anche qui di nomi non se ne fanno mai. Ma questa è una mia precisa scelta. Ma insomma, anche questa volta – come altre volte mi è accaduto – sono stato cortesemente invitato ad acciuffare la testa che rischiava di andarsene via come un palloncino e metterla sul collo. Ho seguito un consiglio, una risposta che arrivava a partire da una domanda mai chiaramente posta, ma solo vagheggiata. È il bello del linguaggio. Si parla lì dove si tace. Si è muti lì dove si blatera. E non volendo blaterare ancora a lungo, tento di chiudere il cerchio.
Farsi leggere è difficile. Tutti vogliono farsi leggere. Tale desiderio è, sempre più spesso, così incontrollabile da dar vita ad un vero è proprio “sistema di solitudini” – un mondo per nulla reale dove tutti (e più fra tutti il sottoscritto) credono di aver qualcosa da dire e, al tempo stesso, dove nessuno sembra disposto a leggere l’altro, che in fondo considera “nessuno”. Un sistema dove nessuno è pronto a riconoscere di essere a sua volta, e per giusta nemesi, “nessuno” per l’altro. È una situazione che genera equivoci, a tratti dolorose contraddizioni.
Ultimamente mi sono trovato a ripensare la saggezza di Omero: dietro all’etichetta Nessuno c’è sempre Qualcuno. In questo caso questo Nessuno è sempre Qualcuno che scrive e desidera esser-letto.
Ed ecco che torno alla mail da cui sono partito, a quella richiesta che, a leggerla, mi aveva suscitato un certo disagio, quel “io non scriverei mai qualcosa del genere”. Ebbene, ci ho messo un po’ a comprendere perché mi avesse dato tanto fastidio leggerla. Perché l’avessi cestinata senza pensarci due volte. Perché, mio malgrado, più volte mi sia trovato a pescarla mimetizzata fra altri pensieri. Perché anche se all’apparenza era così aliena da me, in fondo parlava a me, di me. Mi sussurrava all’orecchio quello che io stesso spesso di ripetevo: “provaci tu a farti leggere” qui dove tutti scrivono e nessuno si cura di quanto è al di fuori del perimetro di quanto già approvato, certificato come “degno d’esser letto”. E ancora, tutte le volte che pensi: “adesso faccio altro”, perché farsi leggere pare pare veramente impossibile, quella mail sussurrava: “provaci tu a non farti leggere”. Provaci pure, se ci riesci, a rinunciare all’idea di carpire il tempo e l’attenzione dell’altro, a rinunciare alla possibilità di muoverne le passioni o di gonfiare il suo sonno di sogni mai sognati prima.
C’era, in quella mail, il lamento di chi non riusciva a farsi leggere e il fermo proposito di non lasciarsi schiacciare da quella stessa consapevolezza. Non rinunciare al potere delle parole. Agire nella distanza. Essere Nessuno, così come in questo momento, e portare qualcuno fino a qui, con le sole parole. Provaci tu, mi dico, a non stare nelle parole. Parole, parole, parole. Persino il buon Amleto non sapeva fare altro. E quando per passare all’azione ha smesso di parlare – o farsi leggere – allora è morto.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Sagge riflessioni. Forse siamo così stanchi di leggere noi stessi, che non abbiamo più la forza di leggere gli altri. Altri che poi sono stanchi a loro volta.
È vero, anche se paradossale. Il linguaggio, che dovrebbe unire, è strumento di cesura, separazione.
Bene, ti sei sfogato.
Sei entrato al bar (in un bar non in zona rossa!) ti sei seduto al tavolino, hai ordinato un caffè e ti si messo a scrivere. Pardon, volevo dire che ti sei messo a parlare e gli altri al tuo tavolino erano tutti più o meno di un giro di gente simile a te… a me… a un altro migliaio, a un altro centinaio di migliaia di consimili (assimilabili)… tutti con quel genere di tarlo.
Guarda sintetizzo il mio giudizio sulla gente di quel tavolino: non si vorrà mica competere con l’interesse del puntuale libro annuale di un Bruno Vespa? O con le memorie di un Trump se le scrivesse… o sulle sfumature di un colore a partire dal grigio… o… o…
Ammesso, in ogni caso, che quello che i signori del tavolino scrivono, me compreso, abbia un suo valore ma ammesso anche che sia possibile stabilire o no un valore, quale debba essere e via e via e via….
Buona serata, nel segno di un affidabile buon bicchiere di rosso! 🙂
Hai ragione. Mai osare mettere piede in un campo dove le regole sono diverse. A proposito, ora vado a versarmi un bicchiere di rosso.
Ottimo! Io, a mia volta, non vedo l’ora che arrivi cena per imitarti. 🙂
Come diceva quel tale? Meglio l’uovo oggi che la gallina domani?
Bene, meglio il bicchiere di buon rosso oggi che un Nobel domani 🙂
Strana coincidenza… Leggo solo adesso i vostri commenti, e anch’io ho appena pasteggiato con un buon rosso, per la precisione un Montepulciano d’Abbruzzo, e non sto affatto scherzando 😉
Bello bere, in qualche modo, qualcosa insieme!
Tommaso, sono contenta che tu non abbia smesso di pubblicare su queste pagine. Sarebbe stata una grossa perdita, non solo per te stesso ma anche per gli altri… Approfitto per ringraziarti delle belle parole che mi hai dedicato, sia in occasione dei nostri scambi in privato che pubblicamente: mi hanno fatto bene, le porterò sempre con me.
Grazie a te, Alessandra.
Io ti ho letto. E sono molto d’accordo. Ok la mail l’hai cestinata, ma il nome lo ricordi. A quel nessuno/qualcuno, gli scriverei due righe.
Effettivamente è il primo impulso! Un saluto.
Sono in difficoltà. Nel tentativo di capire cosa sento in relazione a quanto hai scritto.
Ci arriverò. Poi magari te lo racconterò.
Tu, nel frattempo, scrivi.
Mi piace questo miscuglio fra indecisione e risolutezza. Attendo tue eventuali chiarificazioni in una questione alquanto spinosa e singolare.
Qualche riflessione, caro Tommaso, al post e a tutti commenti. Parlo da lettrice e non da “scrittrice”, ho letto tutte le tue considerazioni, ed ho compreso lo spirito e il senso che per te ha la scrittura. C’ è però un elemento che, mi pare, non è mai considerato ed è il rapporto tra “il tempo” oggettivo e personale e le proposte di scrittura o di qualsivoglia altro prodotto culturale.
Il web, del quale uso parti gradevoli e del quale però comincio a sentire l’ oppressione, ha prodotto e produce una incommensurabile offerta. La pandemia ha dilatato tutto: scritture, film, concerti a cui si aggiungono i giornali, i blog di approfondimento, i dibattiti, i convegni ecc… una vera e propria bulimia di attenzione e di tempo. Il quale tempo- lasciando da parte l’ abusato S.Agostino- non è una dimensione interiore come riflettono i filosofi, ma un dato fisico: ha una durata limitata. A me pare che la dilatazione dello spazio del web non produca più cultura ma più frustazione , superficialità e distrazione.
x Renza.
Ottima analisi, complimenti. Ne condivido anche le virgole. Da molto vado rimuginando le stesse identiche riflessioni e se non le ho mai messe giù nero su bianco è per bieca pigrizia. Mi stupisce, d’altronde, che mai nessuno ne abbia fatto cenno in Internet. Aggiungo solo che ormai conta l’apparire, non importa con quale mezzo anche se il più meschino e infimo. Come del resto, ahimè, avviene in ogni campo.
Ogni volta che nasce uno scambio di idee sul blog sono sempre contento. Come sempre, Guido, anticipi quanto voglio dire.
Grazie, Guido : è un piacere condividere con te le riflessioni. Concordo anche sull’ apparire e sull’ inflazione di tutto ( Tommaso). Mi sembra che il nostro vivere non sia che una girandola di ripetuto, di luoghi comuni ( non veri…) , di inautenticità cieca. Mi fermo ad un passo dall’ apocalissi 😉. Buona notte a entrambi!
Hai purtroppo ragione (così come scriveva Guido). È la stessa sensazione. Tutto inflazionato. Alle volte insopportabile. Difficile orientarsi. Un saluto.
Buona notte a Renza 🙂 a Tommaso 🙂 cin cin ad Alessandra 🙂
Ti leggono per farsi leggere … mi viene da pensare solo questo e sono arrivata a questo pensiero dopo averli studiati attentamente, scrittori, presunti scrittori, blogger. Qualcuno si salva sia chiaro, i puri esisteranno sempre in questo girone che si chiama letteratura contemporanea.
È vero – siamo immersi in qualcosa di grande, pervasivo è al tempo stesso inafferrabile. Una enorme “fortezza vuota”. Un grande contenitore di illusioni, ma su tutto di solitudini – e tuttavia può ancora essere uno spazio di libertà, sempre che si sia in grado di esercitata.