Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
A partire da certi post su Freud (qui e qui), su La madre morta (qui), Georg Groddeck (qui) e altro, sono stato contattato un certo dottor Angelo Silesius, a suo dire psichiatra e psicoterapeuta, nonché a me imparentato per mezzo di mia madre, di cui dice di essere zio. Nella lunga mail piena di refusi che ho ricevuto ormai qualche giorno fa, ha scritto di aver passato molto tempo con me quando ero solo bambino e che a partire da quella lunga e feconda frequentazione – utile inoltre per maturare diverse teorie – ha riconosciuto me sotto tutte le menzogne che da tempo scrivo – vanta un vantaggio, o potere, che dice di voler esercitare a fin di bene, prendendosi uno spazio tutto suo qui, nel bel mezzo di questo spazio virtuale. Una cosa è certa. A dispetto dell’età avanzata – che non ha voluto però svelarmi – ha compreso le potenzialità e l’elasticità, ma non ancora le minacce che incombono sulla parola senza sangue, o inchiostro.
Di lui, ovviamente, io non ricordo assolutamente nulla e a dire il vero penso che dietro questo nome, che pare rubato o preso in prestito chissà dove, si celi qualcuno che si sta prendendo gioco di me. Il dottor Silesius, però, è a conoscenza di diversi dettagli e fatti della mia infanzia. Ha scritto cose che ricordo, così come altre che, invece, mi sono state raccontate da mia madre, aneddoti più o meno esilaranti o inquietanti di cui tutti, da bambini, siamo stati protagonisti. In più conosce nomi, nomi propri, nomi di persone reali, in carne e ossa. Questo mi inquieta e mi fa pensare che ci sia, in questa presa di contatto, qualcosa di vero o, almeno, di verosimile. Vorrei chiedere di lui a mia madre, ma non posso per il semplice fatto che lei non sa cosa cerco di essere a sua, e non solo sua, insaputa. Mi sono permesso, un paio di giorni fa di buttare lì un qualche riferimento ai nostri parenti lontani, ma lei ha risposto con un’alzata di spalle, del tutto indifferente. A suo avviso sono probabilmente tutti morti e, in ogni caso, non aveva più contatti con nessuno di loro da anni. Finiscono così le mie ricerche.
Si dice reietto, il prof. Angelo Silesius, anziano, del tutto escluso dalla comunità scientifica. Non ha voluto dichiarare la propria età, ma in compenso mi ha inviato un bozzetto, opera di un certo Lio Alto – personaggio oscuro di cui non sono riuscito a trovare alcuna informazione. Il ritratto tradisce l’anzianità del soggetto, così come le scarse capacità del disegnare. In un’epoca in cui tutti vogliono a tutti costi mettere la propria faccia da tutte le parti, questa è la sua.
Cosa vuole? Una sorta di collaborazione. Chiede che io ospiti certi suoi brevi scritti, appunti, notazioni o suggestioni. Senza periodicità, intende inviarmi appunti e riflessioni che nel tempo ha accumulato. Farà riferimento a dei casi che ha trattato, a delle tecniche a suo dire rivoluzionarie, ma anche ai classici, raccontandoli e rileggendoli a modo suo. Dice di non voler parlare di malati, ma di persone in fase di stallo, perché se la vita è un gioco senza troppo senso per cui dobbiamo pensare delle regole e delle strategie, allora ci sono uomini, donne, spesso bambini, che si fermano, nel gioco, e non sono in grado di fare la prossima mossa.
Nel contattarmi ha pensato bene di fornirmi qualche informazione. Una lunghissima nota biografica (tradendo una necessità di ascolto), pochissimi cenni ai suoi studi e scritti. Di pubblicazioni poco o nulla, tutto, in ogni caso, irreperibile. Ho fatto delle ricerche, convinto che la rete tutto sia in grado di predare, addentare e trattenere con le sue invisibili fauci e artigli ma senza esito. Ponendogli il quesito, si è limitato a rispondermi che se per me è reale solo quanto è presente sul web allora sarebbe meglio metter fine all’ipotesi di collaborazione, perché forse ha sbagliato il segno, puntando su di me, che del resto – e non ha torto – sono niente più che una goccia in una mare senza confini e terribilmente agitato, il più delle volte per nulla.
Piccato, lusingato, amareggiato e un mucchio di altre cose insieme, mi son detto, “e sia”. Bugia più bugia meno, qui nessuno pretende di essere reale o credibile. Mi sono scusato e nel momento in cui mi ha detto che forse non ero veramente suo nipote, ecco, lì – in uno straordinario rovesciamento dei ruoli – l’ho pregato di andare avanti. Cambiando tono mi ha concesso il suo favore. Eccomi qui, dunque, come per magia, soggetto di una richiesta di collaborazione a uno zio che non credevo di avere.
Due righe sul dott. Angelo Silesius,
nato rocambolescamente nel 1939 in un qualche luogo vicino Lubiana, dove il padre si era rifugiato in fuga da certi creditori, ha evidentemente avuto un’infanzia assai travagliata. Del padre non ricorda nulla, poiché con la scusa di sottrarsi alla leva obbligatoria, era scomparso nel nulla. Aveva poi perduto la madre. Perduta in senso proprio, poiché mentre con lei e il fratello più piccolo vagavano per un mercato in cerca di qualcosa da mangiare, l’aveva persa di vista nel gran viavai di carretti e stracci e gente urlante e trafficante. A dispetto dei suoi sette anni conosceva, grazie a Dio, la strada per andare a casa della zia, sorella della madre. Lì, lui e il fratello di soli quattro anni erano stati accolti. L’avevano aspettata per tutta la giornata. La zia li aveva fatti pranzare e poi giocare per strada, ma ordinando loro di non allontanarsi. Per tutto il tempo, rinunciando alle faccende domestiche, li aveva osservati dalla finestra, che aveva lasciato solo quando il giovane, forte e triste marito era tornato dal lavoro. Li avevano lasciati giocare fino a che il sole iniziava la sua discesa oltre i palazzi per lo più privi di un vero tetto, poi erano stati richiamati dentro. La zia li aveva fatti mangiare, poi li aveva condotti in una stanzetta pulita e praticamente vuota, a parte una branda con due cuscini. In quel momento aveva compreso che quella sarebbe stata la loro nuova casa. Per molti mesi lui e il fratellino avevano dormito su quella branda, un cuscino per ogni lato, la coperta nel mezzo, piedi contro piedi, cercando di scaldarsi. Le prime tre notti si erano addormentati col volto rigato dalle lacrime, poi avevano compreso che la vita era veramente piena di spigoli e capace di ferire, se persino l’unico luogo soffice, la madre, si sottraeva al suo stesso compito. La zia, che non aveva figli, per quei primi giorni aveva vegliato su di loro sedendo su una sedia, assicurandosi che la fiamma della candela non si spegnesse. A dispetto delle umili condizioni, gli zii erano riusciti a farli studiare.
Il dott. Silesius si dilunga sulla sua giovinezza e adolescenza. Sono costretto a sorvolare perché qui non è della sua vita che si tratta, ma del suo pensiero e della sua opera. Faccio un salto. Aveva perso presto un padre, ma poi, dopo anni, ne aveva trovati molti, in cambio e per risarcimento. I suoi padri, quelli veri, non quello biologico di cui non sa nulla, ma quelli spirituali, ecco, questi sono William Blake e Shakespeare, nonché certi irrazionalisti alla Schopenhauer, e poi Nietzsche e Dostoevskij nelle cui pagine spesso si rifugiava mentre splendide fanciulle in fiore gli ronzavano attorno, poiché era davvero un bel giovanotto – a suo dire. L’incontro fatale era stato con gli scritti di Freud e poi, grazie alla sua conoscenza delle lingue straniere, di Jung e Adler e altri ancora che qui non cito. Aveva appena diciassette anni e benché capisse poco o nulla di quanto leggeva senza sosta, scopriva la sua vocazione. La zia, la sera, entrava nella sua stanza e dolcemente lo invitava a spegnere il lume e riposare. Lo zio era perplesso. Il lavoro, non lo studio di cose astratte, faceva di un uomo un uomo. E lo studio doveva portare a una attività pratica. Discorso da mercante, perché quello era riuscito a diventare, per mercante. Ma lui, Angelo, non era un mercante. Allora fra sé pensava che la natura fosse aristocratica e distribuisse i talenti in modo del tutto arbitrario. A chi molto a chi poco. Adesso, che si dice vegliardo, la pensa diversamente. Si ritiene ancora pieno di energie e, benché abbia subito molti colpi, rovesci e delusioni, non può fare a meno di guardare avanti. Qui, a suo avviso, e ci tiene a rimarcarlo, si annida il segreto del suo fascino e della sua bellezza, della sua parvenza di giovinezza a dispetto della sua età. Sostiene di assomigliare in modo incredibile a certi grandi pensatori o a qualche patriarca o profeta. Non pare, dal bozzetto.
Sostiene di aver studiato in un’università per cui non ho trovato riscontro, e di aver presentato una ricerca sulla formazione del bambino, ritenendo che il bambino non sia il padre dell’uomo, bensì il nonno e, nei casi più gravi, il bis-nonno. Non ho osato chiedergli conto di tale affermazione e lui, del resto, non ha fornito altri dettagli.
Credo e spero di non aver dimenticato nulla e in ogni caso ho già scritto troppo. Di mio cosa posso aggiungere? Non rispondo di teorie, idee, eventuali consigli o chissà cosa. Io ospito le considerazioni di un uomo che si dice sapiente, più che studioso…tutto qui. Dottore senza studio, grafomane senza pubblicazioni, confuso conoscitore d’anime. Dice di avermi aiutato, quando ero bambino e già manifestavo strane tendenze e squilibri. Riporto, per chiudere, alcune sue parole su di me, anche se non mi piacciono.
C’era qualcosa di eccessivo in te.
Ti vedevo in filigrana e rabbrividivo.
Non la smettevi di parlare.
Avevi bisogno di qualcuno che ti ascoltasse. Solo io lo facevo. Solo io potevo farlo.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Silesius”: un “silentium” che , mentre stava “dicendosi”, si è ingarbugliato, incontrando l’antinomia del dire il tacere?
Con le parole si creano mondi, si infliggono ferite, si sanano ferite. Si creano realtà, provvisorie come ogni realtà. Che possono essere raccolte o lasciate cadere; che qualcuno raccoglierà, altri lasceranno cadere.
I ricordi sono, per tutti, costrutti di risposta a bisogni. Come la consanguineità, con i suoi legami-legacci tra tutti i figli di Eva.
Le parole sono il corpo e la voce, fisica, da cui provengono; che lo staccarsene, per vivere di una propria vita autonoma, sopravvivergli, richiama. Che poi, autonoma? No, vivranno comunque della vita che verrà data loro da altri corpi, e da altre voci che acconsentano all’aver udito; inesistenti, nell’assenza originaria di un corpo, che ha dovuto parlare ad altri corpi per poterle lanciare fuori da sé.
Non so cos’hai fatto. Certamente, hai dato vita a qualcosa. Che ora vivrà di sé, per sé? Una scelta.
E questo che scrivo è confuso, molto, ma lo scrivo ugualmente. 😉
Da confusione viene confusione – ed è bene che sia così. I giardini ben curati non mi piacciono. Una collaborazione è di certo iniziata. Ho faticato a trattenerne le linee essenziali della faccenda in un post ma, via via che riceverò i contributi dal dott. Silesius giudicheremo se avrà – vecchio com’è – veramente qualcosa da dire.
È una trama per un tuo eventuale romanzo? 🙂
Effettivamente è tutto così contorto che potrebbe addirittura esserci qualcosa di buono, in questa storia….
Si sa mai 🙂