Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Vi è, in lui, una vaga sensazione. Deve esserci qualcosa per cui è destinato, ne è convinto, ma adesso è in preda alla confusione. Ha il capo e le spalle coperte di polvere spessa e appiccicosa e le braccia, come morte, sono immobili lungo i fianchi, tirate a terra da una indicibile stanchezza. Instabile su di un vasto terreno in abbandono tutto buche e calcinacci, cerca di orientarsi in uno spazio privo di nord. Solo adesso, dopo lunga stasi e incapacità di prendere qualsiasi decisione, prende a guida, in un incredibile rovesciamento dei ruoli, un cane smagrito che a passo sostenuto e con la lingua di fuori, quasi senza voltarsi e dargli peso, gli passa davanti a qualche passo di distanza.
Con la vista lievemente offuscata scala a fatica una collinetta macchiata da erbacce. Senza perdere di vista il cane-guida che si è arrestato, dà uno sguardo intorno cercando con l’indice della sinistra di sturarsi un orecchio da cerume misto a terra. Doveva essere crollato qualcosa e lui doveva essere dentro quel qualcosa che a un tratto era venuto giù. Ne era uscito vivo e, almeno all’apparenza, illeso. Di più non sa. Dietro si è lasciato calcinacci. Tutto intorno non c’è nulla. Lui non vede nulla. La vista non lo assiste, almeno per il momento. Aspetta fino a che la bestia non finisce di liberare gli intestini, poi riprendono. Il cane avanti, verso la sua meta, se l’ha, l’uomo, randagio, a rimorchio. Privo di vera finalità è pronto a fare sua ogni destinazione possibile, pure se presa a prestito da un cane.
Condottiero? Guarda le proprie mani e le trova sottili e, sotto alla sporcizia, incapaci di offendere. No. Non ha le mani, le braccia, le gambe degne di un guerriero. Forse era un politico o un capo spirituale. I suoi pensieri confusi, però, lo gettano ancor più in preda al dubbio. Come poteva guidare le persone, lui che non sa adesso offrire un cammino neppure per se stesso? No, non era un uomo che parlava alle genti o che indicava loro dove volgere lo sguardo. Eppure, in lui, vi è l’intima convinzione di esser stato o di aver almeno perseguito la via propria dell’eroe, la via di chi persegue alte mete.
Solo adesso, mentre il terreno si ripiega su se stesso in una ombrosa depressione, si volge al cane con vera attenzione, e non solo con sguardo interessato. Ne coglie la coda storta, ramo spezzato dal vento, bassa e penzoloni, traccia di una lotta antica. Ne coglie tutta la magrezza, il pelo corto e sporco, pieno di buchi sulla pelle chiarissima. Era forse il suo cane? Era stato il suo padrone prima di ritrovarsi coperto di polvere e calcinacci? Pensa un nome. Un nome possibile. Nessun nome affiora alla memoria, mentre dalle sue labbra esplode un lamento. La bestia lo punta, per un attimo, col muso allungato, poi torna a guardare dritto davanti a sé, senza perdere il passo.
Passa tutto il tempo che serve al sole per disegnare il suo arco e scendere in picchiata verso l’orizzonte ed ecco che il cane-guida arriva a destinazione. Non è proprio una grotta o caverna, ma qualcosa che ne dà l’idea. Una collinetta rocciosa a cui stanno tenacemente aggrappati alberi e arbusti. La bestia si infila in un buco nero poco più alto e largo di lei, sottraendosi alla sua vista. Non è cosa semplice decidersi a entrare. Si avvicina lentamente. Una fiera, nerissima, con un balzo improvviso e alti latrati è sulla soglia. Arretrerebbe un vero eroe? Lui, di fatto, arretra, e non di poco. Forse non era nulla, prima di tutto questo. La sua convinzione di esser stato e di essere ancora qualcosa, la sua idea priva di prove, è forse illusione. Di fatto sta crollando miseramente. Doveva aver battuto il capo facendone fuoriuscire quanto aveva contenuto fino a quel momento. E nel vuoto della sua nuova condizione doveva esser spuntata fuori un’idea buona solo per non lasciarlo col nulla nella testa. Il cane-guida è nuovamente sulla soglia, fa un giro intorno alla bestia furiosa, calmandola. Scompaiono, insieme, nella penombra.
Dopo il tempo necessario a che il sole perda parte di sé oltre la linea dell’orizzonte, il cane-guida torna fuori e gli si avvicina. Gli disegna due cerchi intorno, poi ritorna nel rifugio. Allora si decide ad entrare. È pronto a cogliere segni lì dove forse, un tempo, non li avrebbe colti. Abbandona la posizione eretta e su mani e ginocchia entra nella tana. Da un foro su in alto, fra le pietre, entra una debole luce. Poca, ma sufficiente per svelare la bestia che voleva cacciarlo come una cagna che adesso sta allattando tre cuccioli che, curiosi, si voltano un istante, prima di ritornare al capezzolo della madre. Il terreno è di terra umida. Puzza.
Il cane-guida siede sulla soglia, mentre la luna, che gioca a sembrare artiglio, è alta su nel cielo scuro, al centro della cornice irregolare disegnata dalla roccia. Farà la guardia, il cane, e la notte passerà. L’eroe, se di eroe si può parlare, si stende a terra, esausto. Non troppo vicino alla cagna chiusa a cerchio intorno ai suoi cuccioli. Ma neppure troppo lontano, nella speranza di trovare un poco di calore. Si guardano, lui e la cagna, con gli occhi semichiusi, pronti al sonno.
Sono vivo, pensa. Ed è vero. Ha trovato un rifugio, sulla terra fredda e umida. Si prepara al sonno fra bestie selvatiche che non lo hanno divorato. Un animale custodisce la spelonca, permettendogli di dormire. Chiude gli occhi. Può chiuderli e dormire solo perché, nuovamente, monta in lui una certezza. Quella di essere l’eroe di un’avventura di cui ignora la vera natura.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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