Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Alberto Moravia, Scherzi di Ferragosto

Tutto mi andava male quell’estate e, come venne Ferragosto, mi trovai a Roma senza amici, senza donne, senza parenti, solo. Il negozio dove ero commesso era chiuso per le ferie, altrimenti, dalla disperazione, pur di trovare compagnia, mi sarei perfino rassegnato a vendere i saldi estivi, mutande, calze, camicie, tutta roba andante. Così, quella mattina del quindici, quando Torello mi venne a strombettare sotto la finestra e poi mi invitò a andare con lui a Fregene, pensai: «È antipatico, anzi è odioso… ma meglio lui che nessuno» e accettai di buon grado.

Scherzi di Ferragosto di Moravia è un raccontino che dipinge i classici caratteri italiani degli anni Cinquanta, fatto di stereotipi, machismo e una voglia di godere che rifugge la solitudine (Racconti romani, 1954). Seguiamo i due giovani protagonisti. Un commesso che farebbe di tutto pur di non rimanere solo e poi Torello. Spavaldo e stupido, le tasche piene di soldi, sicuro di sé e convinto che nessuna donna possa resistergli. Abbiamo una macchina. La corsa verso il mare. L’incontro con un uomo brutto e ricco che si accompagna ad una giovane ragazza, oggetto di contesa. Si corre veloce per la zona dove sorge San Pietro e via ancora, a gran velocità, per l’Aurelia. Direzione mare. Una dopo l’altra, anche in curva, tutte le altre macchine vengono superate e ad ogni sorpasso corrisponde un piacere preciso, ma anche una sorta di conferma per Torello, per la sua identità. In questi casi mi viene in mente D’Annunzio, che al suo personale culto dell’automobile e della velocità accostò prese di posizione di natura linguistica e grammaticale.

All’inizio del Novecento l’automobile era di sesso maschile. Lo testimoniano il Dizionario moderno di Alfredo Panzini e lo stesso Filippo Marinetti che, nel Manifesto del futurismo, al punto 4, così scrive: “…la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia […]”.

Ma poi arriva D’Annunzio che, in una lettera a Giovanni Agnelli, pubblicata nel ’23 sul Corriere della Sera, recita così: Mio caro Senatore, in questo momento ritorno dal mio campo di Desenzano, con la Sua macchina che mi sembra risolvere la questione del sesso già dibattuta. L’Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza. Inclinata progreditur. Le sono riconoscentissimo di questo dono elegante e preciso. Ogni particolare è curato col più sicuro gusto, secondo la tradizione del vero artiere italiano…”.

Ma insomma, ritorniamo al racconto. Due giovani su di una bella macchina superano quella, più potente, americana, guidata da un uomo basso e brutto che però si accompagna con una splendida ragazza. Civetta, sinuosa. Cosa vuol fare Torello? Dominare l’automobile, la propria e quella altrui, e così conquistare e dominare un’altra donna, soverchiando un altro uomo. Ecco cosa vede il commesso che, suo malgrado, sta passando la giornata di Ferragosto con il detestato compare.

…eravamo in curva, le fu a paro e vidi allora la donna: bionda, con la faccia tonda, gli occhi di velluto nero, l’espressione sorniona e viziosa: un grosso gatto. L’uomo pareva basso, con il naso a forma di batocchio. Guidava col sigaro in bocca, in camiciola scollata, le braccia pelose sul volante.

Ve li consegno ormai giunti alla pineta di Fregene. Torello, sempre più determinato e sicuro di sé, alle calcagna della bella bionda che domina la scena lasciando intende d’essere una preda, semplice oggetto di desiderio. Vi lascio con il commesso, stanco e pentito per una avventura che non gli appartiene. Vi lascio con l’uomo ricco e senza nome che studia Torello, il sigaro stretto fra le labbra. Succedono un altro paio di cose, che lascio in sospeso per non togliere il gusto della lettura. Vi lascio perché è Ferragosto e perché la giornata di Ferragosto può essere dura da mandar giù. Ci vogliono le spalle grosse. Non so da voi. Ma a Roma è così. La peggiore, forse, fra le feste comandate. Salutatemi il vostro Torello di turno. Se siete comprensibilmente scesi a compromessi.

4 commenti su “Alberto Moravia, Scherzi di Ferragosto

  1. Guido Sperandio
    agosto 15, 2020

    Per la mia gatta oggi, Ferragosto, è un giorno come un altro. A differenza di noi umani, non si va inventare fantasmi, fumi, aureole, significati, teorie e religioni.
    È più saggia la mia gatta.

    • tommasoaramaico
      agosto 15, 2020

      Più che saggia, direi. Ma anche fortunata, perché libera da ogni pressione sociale. A noi tocca, al contrario, un lungo lavoro per recuperare quella innocenza/saggezza proprio di tutto quanto non è umano.

  2. Ivana Daccò
    agosto 15, 2020

    Ma dai! Oggi è Ferragosto?
    Temo di aver cancellato Moravia dalle mie letture decenni fa. Ma forse dovrei fare un passaggio da quelle parti. Giusto per vedere, sulla distanza.

    • tommasoaramaico
      agosto 16, 2020

      Non ho mai veramente amato Moravia. Però alcuni dei suoi racconti sono decisamente ben scritti. Ha il merito di restituire un’atmosfera. Questo sì.

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Questa voce è stata pubblicata il agosto 15, 2020 da con tag , , .

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