Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Lavora su una cosa alla volta finché non è finita.
Non cominciare nuovi libri, non aggiungere altro materiale a Primavera nera.
Non essere nervoso. Impegnati con calma, con gioia e senza tregua in quello che stai facendo.
Lavora secondo il programma e non in base all’umore. Smetti all’ora stabilita!
Quando non puoi creare puoi lavorare.
Consolida un po’ ogni giorno piuttosto che aggiungere nuovo fertilizzante.
Resta umano! Vedi gente, va’ in giro, bevi se ne hai voglia.
Non fare il cavallo da soma! Lavora solo con piacere.
Ignora il programma quando ne hai voglia, ma tornaci il giorno dopo. Concentrati. Restringi. Escludi.
Dimentica i libri che vuoi scrivere. Pensa solo al libro che stai scrivendo.
Scrivi prima di tutto. La pittura, la musica, gli amici, il cinema, tutte queste cose vengono dopo.
Quelli qui sopra riportati (ripresi dal volume Henry Miller, Una tortura deliziosa. Pagine sull’arte di scrivere a cura di T. H. Moore e con prefazione di A, Pascale – Minimum fax) sono i famosi comandamenti presenti nel Programma di lavoro 1932-33. Ogni tanto fa bene prenderli e rileggerli, anche velocemente. Henry Miller li ha stilati per sé e non certo per noi – e se assurgono a rango di comandamenti, lo fanno solo con la c minuscola, nel senso che sono tali solo per chi li ha scritti e per nessun altro. Perché li leggiamo? Perché siamo tutti dei ficcanaso, presi da una irresistibile curiosità. Poco male, fin qui. Le cose vanno peggio se invece li trattiamo come dei Comandamenti – con la maiuscola – come avessero valenza universale. Se qualcuno volesse appropriarsene, farli propri in blocco, farebbe mostra di grande ingenuità, svelando la sua profonda ignoranza circa la vera natura dell’impegno nello scrivere. Sono però un buon promemoria questi comandamenti, e rileggerli permette di non dimenticarne non tanto il contenuto o le particolari prescrizioni (che sono individuali o personalissime), quanto lo spirito.
Chiunque voglia scrivere deve darsi i propri comandamenti, chiarificare a se stesso le direttrici e le procedure che lo devono guidare nel processo creativo. Rileggere questi appunti di Miller serve a non dimenticare una cosa molto precisa: la scrittura implica una rigorosa disciplina, l’esercizio del pensiero, la fatica nella progettazione, lo studio. E chi sostiene il contrario e magari tira fuori la questione dell’ispirazione o cose del genere, beh, parla a vanvera. Lo scrittore, nella scrittura, offre il proprio corpo, il proprio tempo e la propria intelligenza ad una contraddizione. Di tale contraddizione si fa garante, la incarna, la rende possibile: lo scrittore è libero nel momento in cui si sottomette alla legge (o comandamenti). Bella contraddizione. Lo scrittore può essere libero pur sottomettendosi a regole ferree, poiché quelle regole sono state stabilite da lui. Libero nel momento in cui dà loro vita, in quanto legislatore, fonte di una legislazione; sottomesso alla legge nel momento stesso in cui questa viene ratificata, messa per iscritto; nel momento in cui, in qualche modo, esiste fuori di lui. Certo, questo legislatore, non ha da sempre e da subito le idee chiare. I comandamenti non sono rivelati, bensì prodotti dello scrittore stesso che, dunque, può esser costretto a rimodularli in base alle circostanze – non al capriccio, ma alle necessità imposte dalla scrittura stessa. È per questo che quanto sopra riportato può essere solo uno stimolo alla riflessione e nulla più. Poiché il libero gioco della scrittura si fonda su regole (tutti i giochi ne hanno) dettate dall’unico giocatore possibile. Lo scrittore.
Cosa pensa della produzione di un’opera Henry Miller? Beh, innanzitutto che ci si deve concentrare su di un’opera alla volta, senza stare a pensare e a lavorare a più progetti contemporaneamente. Bisogna evitare di disperdere le energie, non sono ammesse distrazioni, vietato creare confusione o strani impasti fra diversi progetti. È necessario riporre tutta l’attenzione sull’opera che, al momento, si impone alla nostra attenzione e, su tutto, farlo “senza tregua” – e cioè ogni santo giorno. Nella scrittura non possono entrare in gioco (o può accadere solo in minima parte) l’umore, la mala-voglia, la presenza o meno di buone idee. È possibile, certo, che una giornata sia improduttiva, che non si riesca ad andare avanti. Bene, se non si può “creare”, si può sempre “lavorare” e cioè tornare indietro, consolidare quanto già scritto, prendere appunti per eventuali sviluppi – sviscerare un’idea rimasta allo stadio germinale, creare schemi, mappe. Insomma, un romanzo è una cosa così complessa che si troverà sempre, in quanto già scritto, qualcosa da ri-scrivere. Un romanzo, anche un grande romanzo, sarà sempre qualcosa di parzialmente incompiuto, tanti sono i recessi, i cunicoli, le soluzioni narrative possibili e spesso lasciate allo stato potenziale. In questo senso, suggerisce Miller, bisogna “consolidare” ogni giorno, piuttosto che aggiungere qualcosa di nuovo a tutti i costi. Ancora sull’edificio: fondamenta, struttura, articolazione degli spazi, impianti. Inutile aggiungere un nuovo piano se quelli già tirati su sono lasciati a se stessi o, peggio ancora, se le fondamenta non sono solide, i materiali usati inadatti, per non dire scadenti.
E poi c’è il piacere. Può sembrare inutile, questo – ma così non è. O procura piacere o la scrittura ne risentirà, sempre. Qui Miller non si riferisce a qualcosa di astratto o di generale. Esiste, forse, una grande prova del nove circa la propria vocazione, o meno, per la scrittura. Se quando scrivi godi, allora hai speranze, allora puoi sperare di combinare qualcosa di buono. Il piacere, o godimento, è certo solo un segno, motivo di speranza e nient’altro, poiché il piacere della scrittura non esclude una scrittura destinata a fallire. Ma se quando si scrive non si prova piacere, non ci si diverte, non si gode, allora meglio farsi un paio di domande – anzi – di fatto, è già finita. Qui Miller parla d’altro, quando si riferisce al piacere. Questo piacere non esclude le giornate storte, le giornate in cui la scrittura arranca, non decolla. Questo discorso si porta dentro anche lo sconforto che può montare nelle giornate in cui quanto è stato scritto fa acqua da tutte le parti, quando quello che sembrava buono fino al giorno prima, d’un tratto non piace più, perché non suona bene, non funziona e, questo è il male maggiore, non sai ancora perché.
Meglio uscire, “rimanere umani”, bere qualcosa, fare altro, riordinare le idee, vedere dove si è sbagliato e poi riprendere. In questi casi, o quando si è stanchi, si può trasgredire la legge, non rispettare il programma – ma a patto di ritornarci sopra il giorno dopo, senza ulteriori esitazioni. Insomma, e Miller lo scrive a chiare lettere, e questo deve risuonare nelle orecchie di chiunque voglia combinare qualcosa di buono: “Scrivere prima di tutto”. Questo è l’unico modo per darsi la possibilità di produrre qualcosa di buono (e assumersi con onestà il rischio di fallire).
Dal Programma quotidiano
Se hai la mente annebbiata, trascrivi gli appunti e sistemali, come stimolo. Se sei in forma, scrivi.
Prendi appunti, fai schemi, progetta. Correggi il manoscritto.
Mi domando se una serie di regole così rigide, magari adeguatamente emendate dalle prescrizioni più severe, possa valere anche per chi gestisce un blog. Perché, a ben vedere, un blog può veramente diventare un piccolo universo, costituirsi come un mondo con una sua coerenza interna, retto da leggi precise – un’opera in fieri. Spesso i blog nascono e muoiono velocemente, molto velocemente, e i motivi possono essere molti. Tiepidi furori creativi, assenza di idee, frustrazione, tempo speso in altro o, altrimenti detto, il blog non viene “prima di tutto“. Due idee buttate a casaccio su tale questione, e non solo, le ho scritte qui. Eppure conosco molti esempi di blog che hanno le caratteristiche dell’essere, come detto, delle opere in continuo aggiornamento. Non faccio nomi perché i nomi non mi piacciono. Figurarsi, non amo troppo neppure il mio. Tuttavia, un buon blogger, ossia qualcuno che sia onesto (intellettualmente) e che abbia veramente qualcosa da dire, sarà certamente un artigiano esperto e laborioso. Saprà, anzi, vorrà dedicare tempo, pensieri, lavoro a quanto fa. Chissà se anche questi hanno dei loro comandamenti. Non so, qualcosa come un sistema di regole, un piano di letture associato a determinati temi che vogliono sviscerare, dei tempi di scrittura o di lettura che siano pensati in modo rigoroso. Io credo qualcuno di questi abbia un suo decalogo laico. Non sarò certo io a prendere alla leggera questi spazi di libertà, anzi. Lo penso perché nessuno che si rispetti tratterà le proprie idee come cosa di poco conto. Lo penso perché chiunque abbia delle idee, necessariamente se ne prenderà cura. Certi blog che da tempo seguo hanno il sentore di un preciso progetto. Certo, io predico bene e razzolo male, perché questo spazio è invece pieno di sterpaglie. Nel tempo ho redatto molte tabelle di marcia e immaginato percorsi che spesso si sono rivelati vicoli ciechi, sentieri interrotti. Buoni frutti, se ce ne sono, cadono a casaccio un po’ qua, un po’ là, e vengono spesso coperti di erbacce, mentre tutto intorno regna una gran confusione. Tant’è.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Un posto interessante.
Premesso che quello Miller è uno dei tanti libri di scrittori anche celebri sullo scrivere, condivido le tue riflessioni sulle riflessioni di Miller. Per esperienza diretta. Non dico di avere praticato conformemente ma questa è un’altra storia.
Anche la differenza tra scrivere un libro e condurre un blog mi trova concorde.
Un libro dà tutto il tempo di ponderare e sviluppare progetti di ampia portata, sempre che si vogliano o si abbia la capacità di perseguirli, il blog si presta troppo facilmente al momento, e dicendo momento, alludo al pericolo di essere vittime di umori, e gli umori si sa quanto siano inaffidabili.
Poi, sia il libro che il blog sono forme di comunicazione e la comunicazione presuppone un fruitore, un utente. E l’utente di un libro si configura ben differente da quello di un blog. Difficilmente un blog può contare su una fedeltà di lettori. Lo notai già anni fa e lo scrissi che il blog mi dava l’idea del bar della stazione dove gente che va e gente che viene, trangugia un caffè in piedi e scompare. Qualcuno (c’è sempre il pendolare) ritorna. Salvo poi svanire anche quello.
Ci sarebbe molto altro da dire, ma appunto… un blog non è un libro, per cui taglio e chiudo, con un saluto, ciao! 🙂
“…scrissi che il blog mi dava l’idea del bar della stazione dove gente che va e gente che viene, trangugia un caffè in piedi e scompare…” mi piace questa tua suggestione. Rende bene l’effettiva natura di un blog, così come dà l’idea dello spirito dei suoi avventori. Tutto questo, purtroppo, rende il blog stesso un esercizio perennemente a rischio chiusura. Chissà se verranno travolti definitivamente da altre forme di espressione, da nuovi avamposti – certo, quelli attualmente affollatissimi servono spesso caffé bruciati, tazzine sporche, cornetti secchi o addirittura già mordicchiati…
….ahhahahaha! Verissimo….
A ognuno i suoi Comandamenti, certo. Ma difficilmente ci si potrà discostare davvero da quelli che Miller indica. Perfetti (pure se, come la perfezione, più che inarrivabili, utili solo a riprendere, ad ogni tempo, il cammino perduto più che a seguire un cammino regolare).
C’è, soprattutto, la buona insistenza sull’aspetto .
C’è che avviene che capiti a fagiolo una rflessione come questa tua, Che sia benefica.
Già, un fondo imprescindibile non può che esserci. Il lavoro, la costanza, la dedizione. E poi sì, che sia benefica, come auspichi.