Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Ian Testa non se ne può lavare le mani

Siede ad un tavolo, adesso. Tipo in una stazione o mensa o aeroporto o chissà dove. E c’è un mucchio di gente. O è l’università? La mensa. Cesare de Lollis? Può essere? Strano. Su un tavolo, due file più in là, è seduta la moglie e, con lei, i due figli. Distanziamento. E poi due ragazze, giovani, gli si siedono accanto, una da un lato, una dall’altra. Che cazzo fanno? C’è ancora un mucchio di posto. Perché non ne lasciano vuoto fra loro? Non c’è scritto da nessuna parte che c’è l’obbligo di non stare gomito a gomito? Nessuno controlla? Beh, un cartello del genere bisognerebbe proprio metterlo. O una qualche forma di vigilanza. La moglie gli parla, ad alta voce. Non si capisce nulla. Probabilmente non ha nulla da dire. Non parla per dire qualcosa. Sembra piuttosto intenzionata a segnalare la propria presenza. Ha timore di queste sconosciute sedute vicine a lui? Ian fa mulinare l’indice, come a dire dopo. Impaziente e infastidito. Non è interessato a queste cose, lui.

Chi lo ha fatto alzare? Oh, ma che grande questo corridoio. E come è illuminato. Bello. Tutto finestre, da un lato. Tutto porte di legno scuro, rigorosamente chiuse, dall’altro. Il lungo pavimento di pietra, bianco, porta ad un ampio arco che dà su uno spazio aperto in cui nulla può esser distinto. Ian deve andare al bagno, ma, su tutto, deve lavarsi le mani. Deve lavarle assolutamente. Compare la moglie. Pare più giovane. Molto più giovane. I bambini sono scomparsi. Tito? Chiede lei. Ian non lo sa e non sa nemmeno perché Tito dovrebbe esser lì. E però la domanda non è così assurda. Tito potrebbe esserci. No, dovrebbe proprio esserci. E sì, lui è tenuto a saperne qualcosa, della sua presenza. Osserva la moglie. Porta dei magnifici pantaloni rossi di stoffa leggera, tipo lino, larghi ai fianchi e sulle cosce e con gli elastici che li trattengono subito sotto le ginocchia. E una canottiera bianca. L’ombelico malcelato. Vado in aula magna. E si volta, la moglie di Ian, lasciandolo di stucco. Perché è tornata dal passato? Che vuole?

Tutti occupati. I bagni. Sporchi e pieni di gente. Ma tutta questa gente? Sta succedendo qualcosa? Sono così tranquilli. Si muovono tutti avanti e indietro. Sembrano sapere dove andare e cosa fare. Nessuno va da nessuna parte, però. Nessuno fa nulla. Tutti appiccicati. Si ritrova in aula magna. Come è grande. Non se la ricordava così grande. La moglie è seduta in prima fila, subito sotto al palco dove si tengono i discorsi. È sola. Hai trovato Tito? Ma perché insiste. No, sorride Ian. Alza gli occhi e Tito è lì, seduto qualche fila più dietro. Sta parlando con qualcuno. Si volta non appena viene sfiorato dal suo sguardo. Antenne sensibili, quando si tratta della sua presenza.

Ancora sul lungo corridoio. Sta qui il bagno e con la mano scosta una grande tenda. Ian riconosce dei ragazzi con cui ha passato gli ultimi tre anni. Cinque ore a settimana. Lo salutano con un sorriso. Un ad uno, senza una stretta di mano, li ha visti un mese fa. Sono felici di vederlo. Però il bagno non è qui. Dicono. E hanno ragione. Tito si è seduto, ma non su di una sedia, bensì su un lettino. Sono per le terapie, dice ancora la ragazza sorridendo. Ian già non ne ricorda più il nome. Possibile? Però, chiudendo gli occhi, può descriverne il viso, le espressioni fondamentali, le immediate reazioni alle difficoltà, le lacune, le potenzialità e capacità logico-argomentative. Tito si alza. Agita una mano in segno di scuse. Ian sorride. Nulla di grave. Lasciano la stanza. Bravi, dice Tito. Gestiscono trenta letti. Ian dice di sì, Bravi.

Bella scalinata. Di quelle d’un tempo. Ampi gradoni di marmo scuro che salgono scimmiottando una sezione aurea che probabilmente non porta da nessuna parte. Qui non ci sono i bagni, dice Tito.

Allora che devo fare? Mi iscrivo o mi sparo un colpo in testa, così con le mie cervella potete mangiare rognoncini a pranzo. Tito sorride. I rognoni? Citazione? Ian sorride. Tito in realtà non avrebbe dovuto coglierla. Ha molti strumenti, non questi. Ma dato che è con lui intuisce e sorride, Di cervella? Ascolta. Se hai deciso di rimanere quello che sei, allora iscriviti, no. Magari ti torna utile. Però ci devi pensare bene. Mica te ne puoi lavare le mani, di questa cosa. Non puoi buttarla di lato, questa cosa, te ne devi occupare.

Ma dove è andato a finire Tito? Proprio adesso. Ian è seduto alla scrivania. Ah, no. È in bagno. La voce di Tito cantilena, custodendo in sé il senso delle proprie parole, Non puoi lavartene le mani. E infatti Ian sta orinando. Un cinguettio oltre la finestra e i primi raggi del mattino dallo spiraglio gli dicono che un nuovo giorno sta per iniziare. Come si fa a non lavarsene le mani? Invisibile nella sua testa, l’uncino della domanda sta conficcato, tipo amo, nel piano della sua ampia fronte sudata premuta contro le piastrelle. Fa già caldo.

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Questa voce è stata pubblicata il luglio 25, 2020 da con tag , .

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