Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Vorrebbe, in questo momento, non aver smesso di fumare. Guarda i figli che giocano, Ian Testa. Stanno dicendo che distruggeranno il virus. Usano le spade di fatte di cartone, picchiano contro un vecchio orsacchiotto riesumato da chissà dove e chissà quando in queste lunghe giornate di reclusione. Una parte di Ian si trova a pensare che sarebbe stato interessante, in un momento come questo, non aver smesso di fumare. Pensa che con una sigaretta fra le dita i suoi occhi, attraverso il fumo, avrebbero potuto penetrare più a fondo la realtà che si trova davanti. Stupido pensiero. Ian guarda l’orologio. Sono le tre del pomeriggio e i bambini sono ancora in pigiama. Abbassa lo sguardo alle proprie gambe. Anche lui si ritrova in pigiama. I denti li hanno lavati. I bambini sì, con la madre. Ian passa la punta della lingua lungo l’arcata superiore e si rende conto che no, lui non li aveva ancora lavati.
Si guarda intorno. Da dove viene tutto questo disordine? Non è vero, quindi, che prima non avevano assolutamente il tempo per sistemare casa. Ha fatto un sogno, questa notte. Un sogno bello. Doveva andare a scuola, a lavoro, ma la sua macchina non partiva. Se ne stava lì nel parcheggio. Immobile nella sua corazza bianca che ormai sfumava nel grigio e con spruzzi di ruggine qua e là. Era dovuto tornare a casa e lì, come per magia, si era ricordato di aver una vecchia macchina lancia messaggi. Non era altro che una brutta tavola di legno con su montati dei cilindri, sempre di legno, da cui, soffiando, poteva inviare messaggi sotto forma di piume colorate. Si era affrettato a mandarne una decina. Bastava soffiare. Il suo soffio era in grado di imprimere direzione, messaggio e senso alle piume colorate che lentamente uscivano, ondeggiando, dalle finestre della camera da letto. Bello e colorato. Il sogno.
Sospira, Ian. I bambini hanno abbandonato le spade a terra, annoiati. Corrono per casa, indiavolati, perso in un di più di energia che non tollera pareti, tavoli, sedie, armadi, librerie. Saltano da un divano all’altro, si scontrano, urlano. Ian guarda l’orsacchiotto malconcio a terra, con il muso sporco schiacciato contro il pavimento. Si alza dalla sedia e camminandogli sopra va alla portafinestra. Esce nel balconcino quadrato. Sistema le biciclette inutilizzate e con i gomiti si appoggia alla ringhiera, assaporando la stasi tutta intorno. E’ amarognola. I gabbiani volando intorno al campanile della chiesa, padroni. I piccioni saltellano sulle ringhiere e i davanzali dei balconi, padroni. Nel cortile del palazzo un paio di gatti riposano al sole, padroni. Chi mette in gabbia chi? Aveva spesso ripetuto, quando era libero di parlare a vanvera, che l’uomo era sostanzialmente imperfetto, debole, un animale mancato. Ma diceva, pure, che l’uomo era l’animale-non-animale che metteva in gabbia gli altri animali. Era stato superficiale su alcune questioni. Come tanti ne blaterava, credendole sepolte nel tempo e cristallizzate nei manuali di storia. Aprite il manuale a pagina…diceva. Era solo questione di tempo e lui stesso probabilmente avrebbe detto, Aprite il manuale a pagina…e nel fare storia avrebbe parlato anche di sé.
Chi mette in gabbia chi?
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Bel pezzo, Tommaso. Basta un virus per scompaginarci l’esistenza e farci rimpiangere una libertà che fino a ieri non apprezzavamo abbastanza, che davamo per troppo scontata. Cerchiamo di conservare questa riflessione, una volta passata la tempesta.
Grazie Alessandra. Il tempo è pieno di spigoli. Il suo passare fa male. E sì, non bisognerà dimenticare
Penso al fatto che non ho smesso di fumare, che purtroppo non smetterò (e le parole si vedono male ma appaiono più leggere, anche ora, attraverso il fumo della sgaretta). Penso al fatto che, dopotutto, la mia vita non è cambiata molto. Dopo anni di vita convulsa, stavo finalmente molto in casa. Prima. E allora, perché mi manca così tanto la gente? Quella che non conosco?
Non lo so. Forse è la mancanza di una vera scelta o forse è il ritrovarsi nel bel mezzo della Storia. Entrambe le cose inquietano.
Sì