Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Esce oggi, che è il 7 di marzo, il sogno che Ian ha sognato due giorni fa. Quel sogno, di per sé, poteva interessare solo lui e nessun altro. Ma anche il 6 e poi questa notte, Ian ha sognato dei sogni che sono (lui crede) lo stesso sogno. Una serie di sogni, per mezzo del filo del racconto – possono formare una collana di sogni o un diadema di senso. Ian (forse a torto) si concepisce come un’antenna – non di ultima generazione, certo, ma pur sempre un’antenna. Un’antenna, per definizione, capta per trasmettere. Mi ha chiesto, Ian, di prestargli nuovamente questo spazio, che per lui è (programmaticamente) pattumiera, luogo per materiali di scarto. Negargli questa pretesa è per me impossibile. Vedranno la luce solo ed unicamente i sogni che lui reputerà coerenti. Gli ho chiesto: secondo quali parametri? Risposta: l’angoscia. Non ho potuto avanzare alcuna obiezione.
Si ritrova davanti alla scuola dei figli, che ospita asilo e scuole elementari. Un unico edificio, grande e bianco – ben tenuto, l’esterno fresco di ristrutturazione. Bambini e genitori mai visti prima occupano il marciapiede e l’ampio piazzale di asfalto davanti al cancello spalancato. Nessuno entra nella scuola aperta che dovrebbe esser chiusa. Ian entra. Anna, il volto sorridente che tutte le mattine accoglie bambini, genitori e maestre, pare un poco ingrigita, forse ingrassata. In ogni caso è seduta, sola, nel suo gabbiotto, al front office. Le luci sono spente, tutto è in penombra. Non parla, Anna, ma il suo sguardo ricorda ad Ian che tutti sono fuori perché c’è una gita. Tutti gli alunni della scuola sono in gita. Niente scuola. L’acqua, pensa. I bambini non hanno l’acqua. Non si può andare in gita senza una bottiglietta d’acqua. Il distributore della scuola è spento. C’è un foglio attaccato con il nastro adesivo. GUASTO. Esce. Si rende conto di aver perso il figlio più grande. Non si preoccupa, però. Deve essere con gli amici, che non vede; o sull’autobus, che non c’è. Ian rimanda a dopo la ricerca del suo primogenito. Con lui c’è il figlio più piccolo. Si danno la mano e vanno a comprare l’acqua. Nel piazzale e sul marciapiede non c’è più nessuno. Anche questo non gli crea nessun problema.
Entra in un negozio che non aveva mai visto prima. Non è che entra, in realtà ci si ritrova dentro. Ha prima pensato che avrebbe dovuto andarci e poi è accaduto o, viceversa, si è prima trovato in quel luogo e solo in un secondo momento ha compreso che avrebbe dovuto andarci? Non si sofferma sulla questione. Anche qui: poca luce. Tutte le cose, comprese le persone, sono dipinte a tonalità di grigio. Non fa niente.
Il bambino si è buttato su di un vecchio divano coperto di buste, stracci e chissà che altro. Ian non sa perché, ma questo posto, che sembra tutto tranne che un negozio, è pieno di bottigliette di plastica imballate. Si guarda meglio intorno, Ian, e sussulta. Tutti hanno lineamenti fini che parlano di luoghi lontani, occhi allungati e luccicanti. Il suo bambino si fa cullare da una donna sottile, giovane e sorridente. La donna ha capelli lunghi e sottili, neri, e dita affusolate. Il figlio starnutisce e si mette a ridere fino a farsi venire il singhiozzo. Ian deglutisce e si guarda intorno. Non sa da dove siano venuti fuori, ma dietro di lui ci sono quattro o cinque bambini che stanno giocando seduti a terra. Riconosce un compagno di classe del figlio più grande. Ian si tranquillizza.
Si avvicina al bancone venuto fuori come per magia e chiede due bottigliette d’acqua naturale. Ian, ovviamente, non pronuncia una sola parola. È la stessa donna di prima, quella che ha davanti, quella che stava accarezzando il figlio. Sorride ancora, solo che adesso, da vicino, pare più vecchia. Comunicano, è un fatto, ma è un fatto che nessuno parli. Ci pensa su, Ian, forse meglio tre bottigliette. Due per i figli, una per sé. Ma subito pensa che no, che anche la sua scuola è chiusa – che tornerà a casa, non appena avrà lasciato i figli. Ma a chi li lascerà? Non c’è nessuno cui lasciarli. Deve prenderli e portarli a casa.
Ian apre gli occhi al suono della sveglia. Sono le sei. Potrebbe dormire, oggi, ma si alza.
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Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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