Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Ringraziare torna con la casa editrice Delos Digital, e lo fa grazie alla fiducia riposta in questo romanzo da Franco Forte. È il risultato di un considerevole sforzo, di numerosi salti mortali e di un pizzico di fortuna. È con un sospiro di sollievo che ne scrivo, perché a queste pagine tengo in modo particolare, perché sono lo specchio (ovviamente deformato e pieno di eccessi – perché la letteratura, checché se ne dica, non è cronaca, che è sempre infedele specchio della realtà, ma sogno e, dunque, veritiero precipitato di un desiderio infinito), dicevo, queste pagine sono al tempo stesso lo specchio di una crisi e di precise intenzioni. Al centro, come sempre, c’è il problema del tempo e, a monte, il fatto che la vita è un tutt’uno con quel lasciarci le penne che inevitabilmente ci toccherà in sorte.
La verità (uso questo termine solo per comodità) si coglie solo alla fine di un lungo e contorto processo. Per questo mi vengono in mente tutta una serie di vecchi post in cui il tema del ringraziare già si faceva strada. Mi riferisco a Ringraziare – una parola (qui) e alle intenzioni tanto profonde, quanto bizzarre – forse patetiche – che spingevano Ian Testa (che è vivo e vegeto, seppur momentaneamente silente) a scrivere una lunga e confusa lettera (qui la Prima parte e qui la Seconda parte) in cui metteva le mani avanti, cercando di isolare e mettere fra parentesi una idea di Letteratura, il suo chirurgico (ed ingenuo) impegno fatto di accuse e distinguo rispetto a tutti quelli che osano (secondo la sua personalissima – e di minoranza – prospettiva) scrivere qualcosa che non sia una lista della spesa.
Quei post altro non erano se non il tentativo di “mettere a sistema” un pugno di proposizioni in cui condensavo tutta una serie di riflessioni (maturate a partire da un’urgenza bruciante e personalissima) sul tema del “ringraziare”. Quelle riflessioni, che vengono da lontano, trovano “forma” compiuta (forse una buona forma – e cioè per mezzo di uno stile) in questo romanzo che mi è costato non poca fatica e che non ho abbandonato per strada, lasciandolo nel dimenticatoio. Ringraziare. Adesso, è certamente vero che si sbaglia ogni volta che si vuole avanzare quell’automatismo che pretende di far corrispondere grandi risultati a grandi sforzi, e tuttavia non è meno vero che si è profondamente legati a tutto quello che ci ha richiesto tempo e fatica per poter essere/crescere/maturare. Si potrebbe anzi tranquillamente sostenere che la natura di ogni vero/autentico legame risieda in uno sforzo costante – così avviene nell’amore, nel lavoro, nel faticoso esercizio della funzione genitoriale, nell’amicizia, nell’impegno sociale: il desiderio (che sostiene ogni legame) è esso stesso uno sforzo, un tendere a…la natura di questo legame giustifica, quindi, l’entusiasmo (il mio) che sostiene questo post.
Ringraziare segue alcuni giorni di vita di Samuele Muscarà, un ventiseienne che dopo esser diventato padre deve rinunciare al sogno di diventare professore e mettersi a lavorare per poter mantenere la famiglia. Sammy ha un sogno, però – mollare tutto e andare a vivere lontano. Il suo piano si regge su di un patto stretto col padre, ma qualcosa va storto. Passando per aggressioni e minacce, frequentazioni non proprio raccomandabili e armi dal dubbio potenziale offensivo, Sammy dovrà compiere un lungo percorso svelando un intrico di legami emotivi distorti. E tutto per tornare, in qualche modo, al punto di partenza…
Dunque, fermo restando che non si dovrebbe mai intervenire su ciò che (senza autorevolezza) si scrive, il poco che mi lascio sfuggire è questo: che Ringraziare, e dunque quello che credo di aver compreso della Letteratura, altro non è (e non può che essere) se non “strettoia”, via carsica fra vita vera (sempre che vera sia) e morte (che purtroppo è – granitica). Questa strettoia non è via di fuga, non è ricerca di verità o denuncia, ma nemmeno menzogna. È esposizione del desiderio ed esposizione al desiderio. È libertà entro determinati limiti, entro la salda cornice della morte ed è segno depositato sulla dura pietra della realtà. Ma insomma, questa è già un’altra storia… Queste sono le primissime parole del romanzo:
Sammy è seduto in cucina, immobile. Gli occhi fissi sul pavimento sporco. Teo ha finalmente smesso di urlare dopo una crisi di pianto di più di mezz’ora. La cucina e lo studiolo sono invasi di scarti d’ogni genere. Bottiglie vuote, forchettine di plastica, frammenti di torta, piattini usa e getta sporchi di panna e strisce di cioccolato, carta da regalo, inutili giocattoli non adatti ad un bambino che ha appena compiuto un anno. Sammy si tira su in piedi e dato che in cucina c’è la porta che apre direttamente sul mondo, la chiude a chiave, anche se sono solo le nove di sera. È in piedi da sedici ore e ne mancano solo otto prima che la sua sveglia riprenda a suonare. È troppo stanco perfino per incazzarsi.
Per chi, poi, ne volesse sapere di più può sempre cliccare qui.
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