Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Lei lo sta aspettando, come ogni giorno. La serratura della porta di casa scatta. È lui. Non può essere nessuno dei suoi due figli. Loro sono giovani, pieni di forza, convinti di poter dominare il mondo, mentre la mano che ha appena girato la chiave nella serratura è quella di un uomo debole, ferito e impaurito. I suoi seni fremono, può fiutare nell’aria la paura del marito.
Non si volta. Non farlo è il modo migliore per fargli capire che sa della sua presenza. Non voltarsi le permette di dargli ad intendere di avere in mente qualcosa che lui non sa, né può sapere. Sa di poter aumentare il carico di dolore che grava sullo spirito già fiacco del marito. Ha ragione e per questo sorride. Vorrebbe essere impassibile, ma non ci riesce mentre gli dà le spalle e, al tempo stesso, attraverso la scena riflessa al vetro della porta finestra, si gode lo spettacolo del marito, immobile sotto l’arco rettangolare della porta del salone doppio arredato con un gusto sepolto nel passato – con un gusto che la disgusta. La borsa da lavoro stracolma di documenti, col suo peso, lo piega lievemente sulla sinistra. Rimane seduta sulla poltrona, dandogli le spalle. Ci era rimasta per tre lunghe ore, immobile, e non si sarebbe alzata certo adesso.
– Dove sono i ragazzi? interrompe il silenzio, lui.
Lei non lo sa. Non li aveva cercati e, a dire il vero, non aveva mai pensato a loro. Erano usciti la mattina presto e non si erano più visti. Inutile rispondere. Erano grandi. Per molto, troppo tempo si era occupata di loro. Adesso potevano godere della libertà che si erano guadagnati, così come lei stava annegando in quella che si era presa.
– Sono stanco.
– Avevo lasciato tutto, per te.
– Non un’altra volta, ti prego.
– Ho tradito mio padre, ho lasciato la mia casa, perso il lavoro, accudito i tuoi figli. Tutto per te.
– Non so di cosa parli, non so cosa sia accaduto. So solo che tu hai deciso di farmi del male.
Sorride, lei. Non lo guarda nemmeno.
– Ti avevo avvisato. Ho parlato tanto, negli anni, e adesso mi trovo a non aver più nulla da dire. Ho fatto quello che dovevo fare.
– Mi hai umiliato.
– Ho sacrificato ciò che avevo di più prezioso, pur di farti del male. L’unico mio errore è di aver aspettato tanto.
– Non avevo capito che tu potessi arrivare a tanto.
– È un tuo problema. Pensavi ad altro, tu. Mi hai lasciato fuori dai tuoi pensieri. Mi sono limitata a prendermi la libertà che mi avevi sbattuto in faccia.
– Come potrò mai più fidarmi di te?
– Non te lo chiedo. Hai paura, vero?
– Sì, di te.
– È giusto così. Ti servirà per il futuro.
– Sono passati mesi e…
– Cosa?
– …e non sono riuscito a fare un solo passo avanti.
– …
– Sento di non essere più un uomo, accanto a te. Mi torce le budella, questo pensiero. Ero convinto di esserlo, adesso so di non esserlo più o, peggio, di non esserlo mai stato. Mi hai degradato a meno che uomo.
– Così come io non ero più una donna, per te.
– Non ho fatto nulla di comparabile a quello che tu hai fatto a me. Mi vergogno per quello che è accaduto, per quello che mi è accaduto. Non c’è nulla di normale in quanto mi hai fatto.
– Stai zitto. Tu non sai di cosa parli. Tu non sai cosa sia veramente accaduto, lo capisco da quello che dici, da come parli. Tu non sai cosa sia veramente accaduto. Sei un uomo profondamente ignorante.
– Questo non migliora le cose, anzi, rende tutto insopportabile.
– Dunque?
– Forse dovresti andare via di casa.
Si volta, lei. I suoi occhi brillano. Voleva questo? Si-no. Senza parlare si alza dalla poltrona e svanisce nella penombra del corridoio, lasciandolo solo e, forse, più, spaventato che mai.
Esiste toppa al mondo per porre rimedio a questo strappo? Lui non ne ha idea. Lei non desidera altro che riempirsi le orecchie con questa stessa lacerazione, rendendola infinita.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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