Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Eddie Ed

Come si dice: le cose hanno preso una brutta piega. Questo perché per Eddie Ed, in fondo, i fogli del calendario appeso ad un chiodino dietro la porta della cucina, si staccano al soffio, sempre autunnale, del tempo che passa e, al tempo stesso, sembra non passare mai. È notte, ma Eddie pur con i suoi sessantanni e la stanchezza delle giornate di lavoro, ancora non dorme. I piatti incrostati testimoniano di pasti semplici, monotoni. La polvere che su tutto incombe serba traccia di una lunga assenza. Certe piante appassite, ridotte a scheletri marcescenti e confinate in un angolo del soggiorno doppio, dietro una vecchia poltrona, non reclamano più alcun diritto.

La casa è vuota del figlio, la stanza del ragazzo è persa in un disordine di giorni e giorni, fatto di vestiti sporchi mischiati a vestiti puliti. Tutto si confonde e perde confini, non vi sono distinzioni, non si va per il sottile. Mozziconi di sigarette modificate, fatte tabacco farcito con chissà cosa , esalano odori acri da sotto il letto, piccola discarica privata di un adolescente con la mente in fiamme.

Eddie Ed, camicia e cravatta, cammina scalzo e in mutande per casa. Nessuno lo aiuta. Il figlio non lo aiuta, lui stesso non si aiuta. I suoi genitori sono morti da anni e l’unica superstite dei suoi quattro fratelli é una sorella di cui neppure ricorda il nome. I libri tappezzano le pareti, si accaniscono, col loro peso, su spessi scaffali impolverati. Nessuno lo aiuta. Neppure Ivonne, dopo anni dalla loro separazione e con in tasca una vita ricostruita per intero, è convinta che non sia ancora abbastanza, che sul suo lungo supplizio non possa calare la parola fine. Picchia ancora, lei, dopo anni. L’aveva mollato lì col figlio selvaggio che voleva e non voleva spiegazioni. Perché per lui, per il selvaggio, il fallimento non era contemplato. Era solo un ragazzino, del resto. Lui, invece, aveva fallito. Qualcuno di importante aveva scritto in un qualche libro qualcosa a proposito di una vita ben riuscita, del lavoro e degli affetti. Lui aveva fallito nelle sue aspirazioni accademiche e si trovava una casa vuota e grigia di un grigio che non poteva pulir via nemmeno la donna delle pulizie che, infatti, aveva smesso di chiamare.

 La serratura scatta. La pelle del suo corpo tira su gli scudi, i peli si rizzano, deglutisce. È il figlio. Vorrebbe dirgli che sono le tre di notte. Non parla. Il figlio risponde alla domanda abortita con occhi sgranati, iniettati di sangue. Vorrebbe chiedergli cosa ha fatto per tutto quel tempo, ma non lo fa. Il figlio sfugge alla domanda attraversando il lungo corridoio spoglio per andare a barricarsi nella sua stanza-discarica, gonfia fino a scoppiare dei suoi terribili diciassette anni. Vorrebbe dirgli che era sempre stato un ragazzo brillante, vorrebbe ricordarglielo perché forse l’ha dimenticato in mezzo a tutto quel casino che era diventata la loro vita. Rutta, Eddie Ed. Non avrebbe dovuto bere, non a quell’ora della notte. Non se la ricordava così grande, la sua casa. Erano ventiquattro anni che ci viveva. Aveva persino riso, in quella casa. Per diversi anni era rientrato da lavoro dicendo ad alta voce che era tornato, come nelle sit-com. Ma negli ultimi otto anni non era riuscito a combinare granché, e questo nulla adesso inizia a pesare in modo insopportabile. Come può essere così ingombrante ciò che non è? Lui di queste cose non aveva mai capito molto. Lui conosceva la storia di tutta una serie di parole, così come la storia di certe storie e cose del genere. Lì si orientava, forse, ma per il resto no, non sapeva neppure le cose più elementari. Ha perso l’orientamento persino nella sua casa. Che storia. Abbandona il soggiorno, ma non per andare in bagno, né in cucina o in camera da letto. No. Sperduto, affonda nel buio del corridoio e apre la porta dalla stanza del selvaggio figlio. Entra e va a sedersi alla scrivania del ragazzo, che sa di polvere e tabacco, ma anche dell’inchiostro dei libri di greco. Non mi cacciare, pensa mentre fa delle braccia un cuscino e vi poggia il capo. Non mandarmi via, pensa mentre si toglie gli occhiali. Non mi cacciare, pensa mentre non fa nulla. Il tempo si allarga a macchia d’olio. Chi ha lasciato cadere la bottiglia. Il tempo è sacro. Lo spazio spazia, e sgomita. Si allarga senza averne vera necessità. In queste infinite distante e spazi una voce risuona – Notte pa’. Non può rispondere Eddie Ed, perché se aprisse bocca ne uscirebbero anni di parole accumulate l’una sull’altra. Oh, no. Sarebbe una frana d’altri tempi, un cataclisma che, forse, precluderebbe ogni futuro possibile. Oh, che montagna di dolore, sublime – tale da farlo sentire al tempo stesso piccolissimo ed eroe, ma di condominio. L’idea è sufficiente, si dice, ma Eddie, gli capita spesso, viene parlato – Notte, dice. Solo questo si limita a dire, ma le conseguenze sono incredibili. Oh, l’aveva dimenticata la qualità del tempo che scorre…

2 commenti su “Eddie Ed

  1. Renza
    Maggio 18, 2019

    Uno spiraglio, per Eddie Ed in una vita di abbandono. Una speranza, forse? Queste vite così quietamente tragiche, dolorose senza lamenti, raggrumate in sè stesse, sull’ orlo di baratri sono, nella tua scrittura, perfette. Ciao.

    • tommasoaramaico
      Maggio 18, 2019

      Grazie Renza, grazie. Sì, la speranza è lì dove è grande il pericolo di essere distrutti una volta per tutte.

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Questa voce è stata pubblicata il Maggio 18, 2019 da con tag .

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