Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Difficilmente intervengo su questioni di attualità. Tuttavia, i tempi sono quello che sono – come sempre, si dirà – e i problemi assumono il carattere dell’urgenza. Forse. In realtà parrebbe, al momento, che si stia profilando all’orizzonte un vero e proprio scarto nella natura dei discorsi che circolano. E parrebbe, al tempo stesso, una possibilità reale che determinati discorsi stiano non solo prendendo piede, ma addirittura diventando dominanti. Sono proprio tali discorsi, che mirano a monopolizzare la scena del dibattito pubblico, che mi hanno offerto lo spunto per altre considerazioni. Penso, fra gli altri, a Del rimane o diventare umani (qui) e al recentissimo Una mamma al mare (qui). Questa storia del Salone e dello scontro in atto dà da pensare. Molti scrittori e intellettuali noti, notissimi, hanno aspramente criticato la scelta di accogliere al Salone una casa editrice di ultra-destra (non faccio nomi per non offrire ingiusta pubblicità) e per questo hanno deciso di non partecipare alla manifestazione. La faccio breve: non vogliono condividere un medesimo spazio con i “fascisti”. Altri, al contrario, hanno dichiarato che parteciperanno. Le motivazioni sono diverse: perché le idee si combattono con le idee, cercando di far prevalere la propria posizione; perché non è auspicabile, né saggio, lasciar campo libero (in una sorta di secessione dell’Aventino del libro) a determinati discorsi; altri ancora sostengono che ciò che è legale deve essere in qualche modo accettato. Avversato, sì, ma non costretto al silenzio, poiché il pluralismo è un valore che i democratici non possono mai misconoscere, neppure di fronte a posizioni di chiaro stampo “fascista”. Ora, una cosa è certa: rifugiarsi in una astratta posizione che fa coincidere legale con accettabile e tollerabile, fa acqua da tutte le parti – la Storia lo insegna. Non voglio fare nomi, ma almeno un paio di importanti scrittori italiani lo hanno spiegato con grande chiarezza. Basta farsi un giro su internet e leggere. A parte questo, dicevo, il problema sta nello stabilire se vi sia veramente una equivalenza fra le posizioni in campo. Ebbene, nella stragrande maggioranza dei casi, ossia dei dibattiti e degli scontri di idee, le posizioni sono equivalenti, ossia si incontrano e si scontrano sul medesimo campo da gioco. Questo significa che le posizioni in campo condividono le medesime regole di fondo e che, attraverso tale condivisione, possono entrare in rapporto secondo logiche democratiche che implicano differenze di cariche e di potenziale. Insomma, sarebbe in vigore, in questo caso, un movimento dialettico che articola le posizioni secondo le regole dell’alternanza, assicurando pluralità ed elasticità dei discorsi. Adesso, tutte le posizioni che si muovono su questo terreno comune hanno diritto di cittadinanza nel discorso pubblico: possono essere oggetto di critica, di avversione, ma sempre e comunque degne di essere tollerate. Ma, ecco la domanda: sono ugualmente tollerabili le posizioni di ultra-destra che stanno emergendo e prendendo piede? Sono tollerabili questi discorsi che vorrebbero portare indietro l’orologio della storia, ispirandosi a valori e pratiche del passato? C’è un elemento che non sia astratto, ma reale, concreto, che abbia l’evidenza e la durezza dello spigolo? Un argomento capace di stabilire in modo perentorio che determinare posizioni (di stampo fascista) sono illegittime e intollerabili persino, e soprattutto, in un sistema democratico? C’è un argomento? Fermo restando che la questione del Salone è del tutto occasionale e che il discorso è ben più profondo, poiché i punti di aggancio e di attacco al sistema sono molteplici, come delle cisti insidiosissime che si avvicinano sempre più al midollo del paese, rischiando di paralizzarlo una volta e per tutte – ecco, dicevo, un argomento c’è. Nel seguire il dibattito in corso, mi è tornata in mente la celebre prospettiva offerta da Karl Popper in saggio giustamente noto, La società aperta e i suoi nemici. Il discorso che sta cercando di imporsi non può essere accettato poiché si colloca fuori dal campo delle regole condivise, perché vuole far saltare il sistema differenziale che oppone, e che opponendo lega, le posizioni in lotta; questo discorso non è tollerabile perché distrugge ogni movimento dialettico, perché vuole ridurre tutto, e cioè il Molteplice, alla violenza dell’Uno. Mi sembra dire molto, moltissimo, il passo di Karl Popper.
La tolleranza, al pari della libertà, non può essere illimitata, altrimenti si autodistrugge. Infatti la tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
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“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
Saggissime (passami il termine..) parole quelle di Popper, sulle quali bisognerebbe meditare e che dovrebbero essere tenute a mente a trecentosessanta gradi.
Lo sono. E coglievano allora, così come aiutano a cogliere oggi, i campanelli d’allarme. E, ancora, possono essere declinate, come suggerisci, a tutto quanto ci circonda. Non sono altro (passami tu questa volta il termine) che un richiamo contro ogni forma di dogmatismo.
Karlo Popper sintetizza perfettamente.
Il quesito è tanto chiaro che il giudizio di Popper arriva addirittura ovvio e il fatto che si debba ricordare è, ahimè, inquietante.
È vero. Restituisce il disorientamento generale. O, ed è purtroppo dubbio legittimo, esemplifica un antico, sopito sentimento.
Già… “sopito sentimento”!
Già, discorsi che rischiano di portare indietro l’orologio della storia ( se non lo hanno già fatto). Ma accanto ai discorsi, anzi più veloci di questi, ci sono le azioni che corrono, che agiscono come bombe sociali. Mentre Raimo e altri discutevano con la “ penna” sul che fare rispetto al Salone, a Roma si sentivano discorsi, a sostegno di atti concreti e violenti, da brivido. Minacce di stupri e di bombe… Il salone di Torino è luogo importante ma Casa Pound sta conquistando le periferie ( ne parlava ieri in un articolo Francesco Cancellato direttore de Linkiesta) e il pericolo già operante deriva assai marginalmente dagli scritti di un editore…
Sono perfettamente d’accordo con te. Per questo dicevo che il Salone è solo qualcosa di occasionale (leggi contingente), poiché è sulle spiagge (vedi l’altro post), nei condomini, sui mezzi pubblici e nelle periferie (alcune, di quelle romane, le conosco a sufficienza) che si gioca il potere dei discorsi – la tolleranza impossibile è solo parzialmente operativa al Salone…come agire? come contrastare? Qui il discorso diventa complicato, poiché implica domande del tipo: come rispondere alla violenza? Quale politica portare avanti? Ha il sapere una qualche funzione? Io ho qualche idea in proposito, ma coerentemente con me stesso non posso enunciarle nude e crude. Non appena avrò la scusa giusta e la giusta prospettiva, proverò a rispondere al quesito urgentissimo che giustamente poni.
Problema difficile, pur nella sua chiarezza che hai ben collocato.
Difficile per quanto riguarda il “che fare”..
Sia il non partecipare che il partecipare lasciano spazi inaccettabili. Occorre, udnque, neppure domandarsi se esisita un dilemma, a due corni.
Tale dilemma non c’è.,
Dunque: occorre posizionarsi sul piano del non permettere che uno spazio democratico venga mai occupato da da esterni alle regole democratiche stesse.: devono andarsene i fascisti. Punto e chiuso. Dai quartieri e,dal Salone.
I fascisti devono essre cacciati, in primis dalla legge, e comunque dai cittadini.
Su questo, temo non ci siano vie di mezzo: nessuna cittdinanza, dentro regole democratiche, con chi le finge a proprio vantggio per distruggerle. Il campo di gioco è chiaro: il fascismo non è un’opinione, che dunque consente confronto. E’ un reato. Fine.
Il tuo ragionamento è perentorio, la logica stringente. Lo condivido punto per punto. Purtroppo rischia di rimanere un’astrazione se non c’è una politica che renda reale ciò che appare assolutamente razionale. Ciò che manca pare essere proprio questo; anzi, a livello generale sembra esservi una qualche compiacenza verso tali posizioni e le derive “sovversive” che suggeriscono. E il singolo, se non vuole rischiare di essere trascinato via, deve trovare un punto di resistenza, polarizzarsi – il problema è come farlo efficacemente. A ognuno il compito di trovare il proprio ancoraggio.
Come è evidente anche dai refusi, l’argomento mi surriscalda. Però, sai, non ci può essere una politica che prescinda dai cittadini. I nostri rappresentanti politici, per l’appunto, ci rispecchiano. Temo resti a tutti e ad ognuno la responsabilità del fare anche e soprattutto quando le probabilità di successo sono aleatorie. È questo ciò che non è astratto e che forse lascia poca speranza. Occorre fare come se ci potessimo credere. I giovani ci devono credere, per definizione.
Potrebbe costare. Certo. Ma i debiti, soprattutto quelli di denocrazia, si pagano.
Ognuno di noi ha, infondo, presa sulla realtà. Basta prenderne coscienza e agire di conseguenza. Il fatto che gli esiti siano incerti non può essere un argomento, non più almeno.
👍
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