Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Sulla letteratura – Arthur Schopenhauer

Anzitutto, vi sono due tipi di scrittori: coloro che scrivono per amore della cosa, e coloro che scrivono per scrivere. I primi hanno avuto idee oppure esperienze che sembrano loro degne di essere comunicate; i secondi hanno bisogno di denaro e perciò scrivono per denaro.

Dopo Schnitzler (QUI), Nietzsche (QUI), Rilke (QUI), Camus (QUI) e l’Abate Dinouart (QUI) – per ragioni di coerenza e per mantenere viva la serie di rimandi fra i nomi chiamati in causa – ecco una riflessione-lampo su Sul mestiere dello scrittore e dello stile, breve saggio di Arthur Schopenhauer contenuto in Parerga e Paralipomena. Questo scritto di natura evidentemente polemica, aristocratica e sprezzante, ha una prospettiva e un taglio filosofici. Scritto da uno dei maggiori pensatori della seconda metà dell’Ottocento, questo breve saggio, pur gustoso e leggibile, è intriso (risente?) dell’atteggiamento di grande rigore proprio della filosofia. Il solo incipit – che fa da apertura a questo post – dice tutto di quanto seguirà. Mi permetto solo di forzarne un poco il senso, poiché è passato più di un secolo e mezzo dall’uscita di questa monumentale raccolta di saggi e, dunque, alcuni fenomeni, pur presenti allora allo stadio germinale, non avevano ancora la medesima forza che hanno assunto oggi, grazie alla cultura di massa prima, e all’incredibile sviluppo della tecnologia e di internet poi. “Coloro che scrivono per scrivere”, oggi, non sono più solo coloro che cercano i soldi – coloro che scrivono per scrivere, oggi, cercano ben altro compenso – la visibilità, il successo. Cosa ben diversa da coloro che scrivono “per amore della cosa” e cioè coloro che vogliono, cercano, bramano la visibilità dell’opera…ma meglio procedere con ordine.

Secondo Schopenhauer il falso scrittore è difettoso lì dove invece si concentrano le qualità e gli sforzi del vero scrittore. Manca di “precisione e chiarezza”; i suoi pensieri sono veri a solo metà, sono “forzati e oscillanti”. Quando si incontrano libri di tal fatta non bisogna esitare: “dobbiamo buttar via il libro: il tempo è prezioso”. Il vero scrittore, al contrario, scriverà solo cose degne di esser scritte – ove la dignità di tali opere procede dall’importanza che tali cose rivestono per l’autore che, a sua volta, ne misura la portata a partire dalla verità che possono veicolare. In questo senso “prendono sul serio ciò che fanno” e, pertanto, non possono permettersi di essere approssimativi, generici, superficiali. Non potrebbero tollerare, aggiungerei, l’idea di perdere l’occasione per dire ciò che è per loro vitale.

Se uno scrittore si procaccia la fama con un libro scritto per vocazione interiore e intimo istinto, ma subito dopo diventa un poligrafo, egli ha venduto la sua fama in cambio di vile denaro. – Non appena ci si mette a scrivere tanto per fare qualcosa – la cosa si guasta. Solamente in questo secolo esistono scrittori di professione, prima vi erano scrittori per vocazione.

Detto in altri termini, lo scrittore per vocazione è colui che coltiva la scrittura come puro mestiere; ma tale attività non nulla ha a che spartire con la scrittura come professione. Quest’ultimo è privo di vera vocazione e di vero desiderio e la sua sopravvivenza poggia sulla “stoltezza del pubblico”, che manca di vera capacità di giudizio e che si lascia irretire, catturare, dalla fitta rete di favori che si ricambiano i “falsi scrittori”, consapevoli di produrre opere a tal punto prive di valore, da aver bisogno di un sostegno continuo. Tale bisogno di celebrarsi vicendevolmente si fa necessariamente baccano, rumore infernale e lode incessante. Tutto questo permette di raggirare e di confondere le idee ai creduloni. Qui interviene lo stile.

Lo stile è la fisionomia dello spirito. Imitare lo stile di un altro significa portare una maschera. Per quanto possa essere bella, essa diventa, se è priva di vita, ben presto insipida e insopportabile; di modo che persino il viso più brutto, ma vivo, è preferibile a una tale fisionomia…lo stile rivela il carattere formale di tutti i pensieri di un uomo…

Lo stile, dunque, trasforma la materia di cui è fatto, svelandone i processi di maturazione – di lievitazione. Dallo stile esala, in qualche modo, il lavoro dello scrittore; testimonia la serietà e il rigore della scrittura. Dallo stile emerge la personalissima ricerca dell’autore, i vicoli ciechi in cui si è cacciato, gli errori di valutazione, lo spaesamento, le intuizioni improvvise, tutti i suoi: Ecco la strada giusta! Lo stile, nella concezione del filosofo tedesco, deve mirare alla semplicità e alla chiarezza, poiché è facile scrivere in modo che “nessuno possa capire”, più difficile “esprimere pensieri significativi in modo che ognuno debba comprenderli”. Brevità, chiarezza del pensiero, omissione di ciò che non è funzionale all’espressione della quintessenza di quanto si vuole dire – regole cristalline che richiedono una vita intera di sforzi…senza garanzia di successo.

Chi scherza con la propria scrittura, del resto, dice tutto di sé. Dice tutto di sé chi si mostra sfacciato, rumoroso, lieve e in pace con se stesso e il mondo. Lo scrittore, per Schopenhauer, soffre sempre di un certo accumulo di bile (argomento ricorrente, quello della bile – ne dicevo qualcosa a proposito dell’Inchiostro della malinconia di Jean Starobinski – qui), di una certa acrimonia e cattiva disposizione verso sé e il mondo che, pertanto, lo scrittore ha bisogno di ricostruire, riprogettare e ripensare. Simile all’architetto, lo scrittore meticolosamente accumula progetti, raccoglie dati, tenta soluzioni nuove, si espone al fallimento su tutti i fronti. La serietà del suo sforzo deriva dalla chiara consapevolezza di poter (dover?) fallire. Ma rendendomi conto di aver già da un po’ messo da parte le alte pagine di Schopenhauer, per prender io stesso la parola, mi mordo la lingua.

Chi scrive in modo trascurato confessa così, prima di tutto, che egli stesso non attribuisce un gran valore ai suoi pensieri. Infatti, solo dalla convinzione della verità e dell’importanza dei nostri pensieri sgorga l’entusiasmo che si richiede affinché ovunque, con instancabile costanza, si miri all’espressione più chiara, bella ed energica di essi…

2 commenti su “Sulla letteratura – Arthur Schopenhauer

  1. Guido Sperandio
    marzo 23, 2019

    C’è quel vecchio motto che va al di là di ogni epoca e vale in ogni campo: l’erba cattiva scaccia quella buona. Non c’è niente da fare. La tecnologia poi ha prodotto l’effetto serra: la zizzania prospera rorida e florida al pari dei giganteschi peperoni che trovi al supermercato (anche a Natale!!!!) 🙂

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