Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Tutto si è consumato in poco più di un mese, a dirla tutta. Scrivevo e leggevo molto e, soprattutto, ero apprezzato dai miei compagni. Tutti i giovedì ci riunivamo e a turno salivamo sul pulpito rovesciato e vuoto di frutta per leggere i nostri versi. Di tanto in tanto scambiavo qualche parola con Erotica che, ostinata, non voleva dirmi il suo vero nome, né voleva chiamare me col mio. Sembrerà strano, ma pure ad uno scioperato come me tutto questo iniziava a sembrare piuttosto bizzarro e, stranezza su stranezza, il mio amore per lei andava esaurendosi prima del previsto. Erotica era la donna di Spacca-la-Rima e, contrariamente alle mie previsioni, il mio desiderio frustrato e umiliato non si trasformava in passione bruciante. Ero dispiaciuto, perdevo infatti l’occasione di sprofondare in una tempesta emotiva da cui speravo di tirare fuori qualche verso…e invece nulla.
Di tanto in tanto avevamo degli ospiti, qualche giovane pittore che ignorava anche le nozioni più elementari sulla pittura e la storia dell’arte; qualche attore, un pianista della domenica e persino un regista teatrale. Gli scrittori, e per scrittori intendo romanzieri, novellisti e scribacchini del genere, beh, quelli non erano ammessi: «sono, come dire…prosaici» diceva Trapanos, e premeva il grilletto del suo trapano – che evidentemente andava anche a batterie. Con un sedicente pittore che viveva sulla Tiburtina e di cui non ricordo il vero nome, ma solo il soprannome, Margutta, avevamo organizzato un’esposizione. Ad ogni quadro era affiancata una poesia. La mostra era stata battezzata da Spacca-la-Rima, vera anima del gruppo, “Questa non è un’esposizione”. Fu un fiasco e fra i pochi visitatori, nella ex-fraschetta che era stata del nonno di Spacca-la-Rima, si era presentato un tipo losco – che solo dopo avevamo scoperto essere il fratello dello stesso Margutta – che aveva preso il nostro controverso artista per i capelli ringhiandogli in faccia che doveva “tirare fuori il grano”, riferendosi ai pochi soldi che Margutta si era intascato dopo aver venduto una vecchia collanina d’oro rubata alla nonna paterna.
Il più interessante fra i nostri ospiti, sempre secondo Spacca-la-Rima, era sicuramente un regista teatrale, Non-Più-di-Cinque. Conosciuto solo in parte a San Lorenzo per i suoi spettacoli sperimentali, metteva in scena o allestiva spazi ( o “non-spazi, ossia meta-spazi” come lui stesso ripeteva fino allo sfinimento) per un massimo di cinque spettatori – di qui il soprannome. Non molto alto, decisamente robusto nel corpo e convinto fino al delirio di avere qualcosa di interessante e di originale da dire, un pomeriggio si era presentato con tutta la sua compagnia, tre persone in tutto, con tanto di teloni, bastoni e ampie vesti logore. Urlanti e danzanti, dicevano che quel gran caos che avevano inscenato in mezzo alla strada, era solo il primo assaggio di una rivisitazione di “Assassinio alla cattedrale”, che voleva proporre ad una fiera di artisti di strada. Quel giorno il Margutta, vedendoli, era corso in macchina per subito tornare con una grande cornice di compensato per mettersi a rincorrere gli attori, «Un happening, un happening…’affanculo Bacon!», sbraitava. Io non capivo, ovviamente. Fortunatamente.
Benché pieno di riserve, osato fare con quelle persone cose che mai prima avrei anche solo immaginato. Bevevo, compravo libri usati, distribuivo ai passanti, tipo volantini, quelle stesse poesie che mai prima avrei fatto leggere a qualcuno in cui non avessi riposto la più assoluta fiducia. Avevo tenuto alcuni seminari in cui, davanti ad un pugno di persone addormentate, esponevo le mie vecchie idee circa il formalismo in musica. In quella primavera piena d’estasi ero addirittura arrivato a prendere parte a una rissa scatenata da Trapanos: il poeta trivellatore aveva partecipato ad un concorso promosso da una scuola media della zona e vedendosi superato da un – parole sue – “ciccione borghese”, si era prima scagliato contro il preside della scuola, per poi rovesciare il tavolo occupato dalla giuria, che era composta da due professoresse di italiano in età pensionabile. Purtroppo il terzo componente della giuria era un certo Ernesto, bidello-pugile che senza pensarci due volte aveva dato un pugno in pieno volto al nostro amato poeta ferito nell’orgoglio. Dopo quel drammatico pomeriggio Trapanos venne ribattezzato da Spacca-la-Rima con il nome di Anti-Chartilago in onore del setto nasale rotto per l’arte – il nome da me proposto, Marciano, era stato scartato immediatamente.
Non-Più-di-Cinque, cioè il regista teatrale, era, fra gli ospiti del nostro gruppo, quello che più mi dava da pensare. Mi sembrava, al netto di alcune indubbie stravaganze, il più brillante. Ed è stato a partire dalla forte impressione dei suoi discorsi sulla mia immaginazione, che avevo deciso di scrivere qualcosa da sottoporgli. Ci avevo lavorato una notte intera, cavandone fuori nemmeno sapevo io cosa. Il giovedì successivo, al quinto ed ultimo appuntamento settimanale cui prendevo parte, ero salito sulla cassetta rovesciata, annunciando di voler proporre a tutti e, in particolar modo, a Non-Più-di-Cinque, l’idea per uno spettacolo dal titolo “Delenda scaena”. Riporto qui il testo che avevo letto di fronte ai miei compagni assonnati sotto il calore della luce di un pomeriggio di aprile.
«La scena dovrà esser vuota di ogni orpello e di ogni mezzo atto a rappresentare un luogo nel tempo e nello spazio. Al centro ci sarà una grande gabbia vuota, aperta. Accanto alla gabbia uno sgabello. Più lontano un lenzuolo nero, una sorta di sudario lascerà solo intuire la sagoma a forma di cupola di un oggetto nascosto. Questa dovrà essere la scena. Ad un certo momento farà il suo ingresso un uomo vestito di stracci. Senza rendersene conto l’uomo finirà nella grande gabbia aperta. Pausa. Apparente stasi – fuori dal tempo. D’un tratto, inaspettata, farà il suo ingresso una scimmia, che prenderà posto sullo sgabello, proprio davanti alla gabbia. A questo punto si leverà una voce che reciterà un breve monologo. Ma non verrà dall’uomo, questo monologo, poiché l’uomo è imbavagliato. Sarà la scimmia, così dovrà sembrare, la sorgente della parola. Quando il monologo, molto breve, avrà termine. Lo straccione si libererà dal bavaglio e cercherà di ripetere il monologo, ma senza riuscirci, perché balbuziente. La scimmia, dopo aver mangiato una banana in segno di scherno verso lo straccione balbuziente, scenderà dallo sgabello e si dirigerà verso l’oggetto per metà celato. A quel punto toglierà il feretro, mostrando quello che sotto si nascondeva: una gabbia con dentro un pappagallo. Ecco da dove proveniva la voce narrante. Il finale si consuma in pochi secondi fortemente drammatici: la scimmia esce di scena seguendo una banana che trascinata con uno spago, lo straccione balbuziente uscirà dalla gabbia, libererà il pappagallo e subito dopo stramazzerà al suolo» e a questo punto mi ero fermato un istante, prima di riprendere con quella che reputavo essere l’idea, la trovata, «…non uno spettacolo per mille, duemila, un milione, dieci o cinque o due persone…questo è uno spettacolo senza spettatori; uno spettacolo per lo spettacolo stesso: di fronte alla scena dovrà esser posto uno specchio atto a riflettere la scena stessa e tutto quello che in questa avverrà. Questa è la mia idea».
Ricordo il sussulto di Anti-Chartilago, che finiva di russare, il silenzio di Bonzo, che finalmente la smetteva di pulirsi l’ombelico. Solo dopo qualche secondo Non-Più-di-Cinque, fumato perso, si era alzato in piedi per venirmi incontro, mentre io ero ancora in piedi sulla cassetta di plastica. Avevo fatto per scendere, ma lui mi aveva bloccato, «No, rimani lì, in alto, più in alto di noi, o almeno di me, quello è il tuo posto perché tu, dal nulla, hai dato il colpo di grazia al teatro, tu hai sancito la suprema autonomia dell’arte». A quelle parole non avevo potuto trattenere la mia emozione, così ero sceso dalla cassetta per abbracciarlo, commosso.
Ovviamente quella mia idea non si è mai concretizzata. Le difficoltà da superare erano troppe: il pappagallo non era un problema, lo si poteva prendere a nolo dal negozio di animali tropicali dove lavorava Cesare, fratello di Erotica; lo stesso Cesare ci avrebbe segnalato anche un addestratore professionista per insegnare la parte al pennuto. Il balbuziente non era un problema – ci avrei pensato io. L’unico intoppo stava nella scimmia. Anti-Chartilago aveva proposto una spedizione di bracconaggio al Bioparco e, nel dirlo, aveva dato un colpo al grilletto del suo trapano per cercare consensi. L’aveva battezzata “Operazione Ibsen”. Erotica mi guardava in modo strano e nei suoi occhi pieni di libidine – almeno tali mi erano sembrati quel pomeriggio – stava scritta la rovina del Gruppo 9. Ancora non lo sapevo, ma stava per chiudersi quel capitolo brevissimo, patetico, fondamentale della mia vita.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Che bello! Nostalgia
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