Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Di Rovesci ho già scritto in diverse occasioni (qui). Questa che propongo è una macedonia, uno spezzatino, un post arlecchino che non è altro se non un modo di parlarne in modo diverso. È il primo di una piccola serie in cui i racconti che ho scritto nel tempo verranno spezzettati e rimescolati. Questa volta è toccato a Rovesci, ma nel tempo – e con moderazione – ho intenzione di prendere, strappare, riciclare e far toppe con cose più lontane nel tempo, da Il posto di ciascuno, così come da Infinita perturbazione. Ma insomma, ecco…
Arlecchino # 1
1.1 Ogni mattino, alle prime luci del sole, mi alzavo più stanco di come al tramonto della sera precedente ero sprofondato nel letto duro. Spesso mia moglie mi svegliava cercando di liberarmi da sogni di cui non serbavo memoria alcuna, ma che mi strappavano potenti urla dal petto smagrito dal duro lavoro e da catene di pensieri che succhiavano ogni mia energia.
2.1 «Conosco una storia», dice. Lui, però, non vuole ascoltarla. Non per l’ennesima volta.
1.2 Era morto. Il mio orrore era l’orrore di mia madre, dei miei fratelli, di mia moglie, dei bambini.
2.2 Adesso il suo fiato gli riscalda il collo. La rabbia delle persone viene da lontano, si nutre della loro innocenza rispetto alla loro stessa condizione, ingrassa nello spiare continuo, nel sorprenderli nella loro ignoranza e per il fatto che non sempre paiono consapevoli di quello che hanno.
3.1 Insomma, sono le sei del mattino e lui indossa solo un paio di mutande dall’elastico fallato e una canottiera aderente da quattro soldi in poliestere e, davanti allo specchio, ha abbondantemente oltrepassato il limite della commozione. Il fatto è che è finalmente il frutto lucente, e al momento piagnucolante, di quasi quattro anni di sforzi sovrumani. Oh, santo dio, ci starebbe proprio tutto il giorno lì davanti allo specchio a rimirarsi, a bearsi di sé, ma non può. Ci starebbe per l’eternità, lì, fuori dal tempo e al riparo dall’eventualità di doversi incazzare nuovamente e di brutto.
2.3 L’orrore è qualcosa che fa deragliare le loro vite che da sempre correvano sicure su di un binario forgiato da chissà chi.
1.3 …era finito in una fossa il mattino dopo, all’alba. L’avevo scavata io, profonda e ben fatta, dopo che per l’intera giornata avevo lavorato per costruirgli una cassa.
3.2 È già stanco morto e ci sono ancora un mucchio di cose da fare. L’autobus arranca nel traffico, la gente spinge, cerca di prendere posizione. Molti urlano, in tanti non si sono lavati, qualcuno, probabilmente l’autista, sta fumando.
2.4 Era stato un inverno duro, durissimo, per loro che non avevano mai veramente conosciuto il negativo nelle loro vite.
3.3 Chiude gli occhi e si lascia andare al ritmo dell’autobus, già pregustando come quella sera renderà arida la bocca del padre, quando lo stronzo tornerà a casa e troverà tutto perfetto.
2.5 Cornici infrante, foto accartocciate e scagliate contro la grande vetrata che dà sul mare grigio, piombo fuso che ribolle nella sua grandezza, del tutto incurante delle urla di Clio che forse, così pensa in questo momento, è lì solo per poter impazzire in tutta tranquillità. Si spaventa alla vista delle proprie mani verdastre e tutte ossa, le dita lunghe che finiscono con unghie spezzate. La sua pazzia la fa quasi impazzire.
1.4 Io, che ero stato pieno d’odio; io, che fra i denti minacciavo che l’avrei ucciso come un cane; io, che avevo giurato di darlo in pasto alle belve feroci, quando fosse venuto il tempo; io, alla prova dei fatti, ero lì a sudare il sudore della mia fronte per dargli degna sepoltura. Senza sapere perché.
2.6 Le sue parole arrivano a lei portate dal vento che soffia dal mare. Non parla molto, ma il giusto, quel giusto che lei ha sempre amato e temuto.
3.4 Le cose sembravano girare per il verso giusto, su questo non c’era dubbio. Eppure certe notti si svegliava ancora con gli occhi iniettati di sangue e col bisogno struggente di andare a dormire accanto alla sorella, che lo accoglieva, così minuta in un letto che pareva una distesa senza confini, e gli accarezzava i capelli cantandogli una ninna nanna. E non era possibile che passasse molto del suo tempo in mutande e canottiera davanti al grande specchio lucido in camera dei genitori.
1.5 La notte inesorabile si posava su tutte le cose, mentre una lieve brezza saliva su dal mare, aiutandomi a non lasciarmi vincere dalla profonda stanchezza. Con occhio esperto e carico di responsabilità saggiavo la quantità delle cataste di legna.
3.5 Sale le scale di casa senza aver voglia di impazzire o di rimanerci secco all’istante, il che per lui sono la stessa cosa. È sicuro che la casa gli sembrerà un poco più colorata e luminosa rispetto a quegli ultimi anni, finalmente ripulita da quella patina grigia che sempre la riveste, tipo pellicola che nessuno può toccare e solo lui, poverino, percepire.
2.7 Rimangono seduti lì fuori fino a che possono, fino a che resistono, fino a che non fa così freddo che sono costretti a rientrare in casa.
3.6 …chiude gli occhi per non lasciarsi distrarre. Cade pesantemente a terra, batte il petto e le braccia contro il pavimento, ma non se ne cura, così come non è troppo turbato nel sentire il suo corpo esposto alla furia dello scarpone impolverato dell’artista fallito, del vedovo, dello sfruttato.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Non che ciò che scrivi sia del tutto riposante. Ma tu lo sai bene.
Mi piace molto.
Grazie. Se lo fosse, meglio fare silenzio – di cose riposanti è già pieno il mondo. Poi, che siano anche belle (e non-false) è altra storia, il fine, il puntino all’orizzonte.
Anche considerandolo un punto inarrivabile, direi che la tua scrittura lo attinge.
Poi, è molto interessante la tua restituzione del processo di scrittura, di maturazione di una storia. Giusto ringraziarti
Direi che in questo ultimo periodo mi sto concentrando su operazioni diverse – tipo smontaggio, montaggio e riciclo. È un altro modo per ribadire che nulla va gettato, ma, ove possibile, trasformato. Questo vale in anche in letteratura, credo. Per il resto, quel “in più” è un modo per tentare qualche sortita nel “campo dell’altro”.
Mi par bene! 😉
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