Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Il cenone; il cenone! Ah! no, nessun cenone, per me! Così diceva il grosso Henri Templier, furibondo come se gli avessero proposto un’infamia. Gli altri esclamarono ridendo: – Perché ti arrabbi tanto? [E lui] – Perché il cenone mi ha fatto il più brutto scherzo del mondo, lasciandomi un orrore invincibile per quella stupida notte di allegra imbecillità.
Diversi natali abbiamo passato in rassegna, da Collodi a Pirandello, passando per Dickens, Dostoevskij, Tolstoj, Pasternak…e tutti, a modo loro, erano portatori di un messaggio edificante, di una speranza o, almeno del buon proposito di chi, in fondo, si ravvedeva. Quello che Guy de Maupassant racconta ne la Notte di Natale è diverso, un natale che produce un trauma e, per conseguenza, un rifiuto. Rifiuto di qualcosa di essenziale? Si vedrà.
La storia ce la racconta direttamente il protagonista, Henri Templier. La vicenda risale a due anni prima, durante un inverno che tutti ricordano, tanto era stato rigido. Henri Templier aveva da terminare un lavoro importantissimo e così aveva rifiutato ogni invito e la notte del cenone aveva deciso di passarla da solo, a casa, seduto alla scrivania. Presto, purtroppo, i buoni propositi che l’avevano animato, erano svaniti: “verso le dieci, il pensiero dell’allegria che correva per le vie di Parigi, il rumore che, pur non volendo, sentivo arrivare dalla strada, i preparativi della cena in casa dei vicini uditi attraverso le pareti, mi misero in agitazione“. E insomma, mettendo da parte il lavoro, Henri si alza, manda la domestica a comprare una cena sontuosa, si veste ed esce per strada in cerca di qualcuno con cui passare la serata e la notte. Si inoltra per i sobborghi della città, pensa a se stesso come ad un uomo della provvidenza, come uno che porterà piacere a sé e agli altri, anzi, più precisamente, ad una qualche giovane donna in cerca di un riparo, di un pasto caldo e abbondante, di un uomo. Poco natalizio, in realtà, nelle sue intenzioni.
…presi a percorrere la città. Ne incontrai certo molte di povere ragazze in cerca d’avventura, ma brutte da farti venire un’indigestione, o magre da trasformarsi in statue di ghiaccio, solo che si fossero fermate. Ho un debole, lo sapete: mi piacciono le donne ben pasciute. Più sono in carne, meglio mi vanno. Per una donna-cannone, non ragionerei più.
E insomma, gira che ti rigira, alla fine questa donna disponibile e con le giuste caratteristiche Henri la trova, con il “ventre da oca ingrassata“. Magnifica, giovanissima e bruna, con grandi occhi neri, la giovane donna accetta l’invito senza esitare un istante. Era fatta. “Bella da rintontire” e “grassa da rapirmi il cuore per sempre“, iniziò la sontuosa cena. Era forse un poco pallida e forse, a tratti, una certa sofferenza affiorava sul suo viso, ma nulla di preoccupante. Beveva champagne senza sosta e le sue guance si presto si tinsero di porpora. Lui la coprì di baci fino a che non venne il tanto sospirato momento di ficcarsi sotto le coperte. Ma lì iniziano i guai, poiché la ragazza si lamenta in modo sempre più intenso. Quale sofferenza avrà mai?
E all’improvviso udii un grido, un grido straziante. Accorsi con una candela in mano. Con la faccia sformata dal dolore, si torceva le mani, ansimante, e dal fondo del petto esalava quella quella specie di gemiti sordi che somigliano a rantoli e fanno mancare il cuore.
Il vicinato sente le urla, qualcuno già accorreva alla porta di casa, lui ancora non capiva. Poi, finalmente, la sveglia, l’incontro con il Reale. La donna stava partorendo proprio nel suo letto. Venne chiamato il dottore e d’un tratto Henri si ritrova in casa una nuova creatura, piccola, rugosa, urlante e orrenda – una bambina. Dopo un po’ arrivarono una balia e un’infermiera. Sopraffatto, non era capace di fare, dire o decidere di nulla. La notte passava e così come erano arrivati, tutti se ne erano andati, lasciandolo solo, sul divano. Ma la realtà, già al mattino, bussava alla porta. La donna trovata per strada si era fermata a casa sua per sei settimane; la bambina, che viveva altrove presso una umile famiglia di sua conoscenza, dipendeva economicamente da lui in tutto e per tutto. Un giorno, questa bambina, l’avrebbe chiamato papà. Non bastasse, come maledizione ultima, la donna che aveva preso dalla strada, si era innamorata di lui, che invece la detestava, perché era “diventata magra come un gatto da grondaia“. Ecco perché Henri Templier non sopporta i cenoni e il Natale.
Mi piace pensare che ad Henry Templier, finito il suo racconto e voltate le spalle agli amici, deciso a tornarsene a casa, capitasse un incidente. Lo vedo inciampare su di una cesta o passare accanto ad un angolo da cui si levano le urla di un infante. Mi piace pensare che, una volta di più, gli accada ciò che gli è già accaduto, che non possa sottrarsi a ciò che ostinatamente fugge. Lo vedo padre innumerevoli volte, travolto da orfani, trovatelli e disgraziati. Mi piace pensare all’insistenza del Natale, al suo carattere insopportabile e spaventoso per chi vuole serrare il cuore, affamare l’anima, per chiunque lo intenda come meritato riposo, serenità del focolare domestico, pancia piena e doni variopinti. Mi piace pensarlo come il più brutto – e dunque divino – “scherzo del mondo“.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Non conoscevo il racconto e mi ha molto-molto divertito. Sto ancora sorridendo. Per il resto, rispetto, ovviamente, la tua drammatica immaginaria chiusa e sorrido ancora una volta immaginando, a mia volta, che in realtà tu (e io) trascorreremo un tranquillo borghese Natale con l’eventuale unica trasgressione di un bicchiere in più.
Facciamoci gli usuali (borghesi) auguri, ciao Tommaso!
E certamente, a questo serve la letteratura – a concedersi qualche idea, ma con le cinture di sicurezza. Tipo Ulisse, che ascolta il canto delle sirene legato all’albero della nave. Per il racconto, concordo. Una vera chicca. L’ho scoperto per caso. Divertente. Buon Natale (borghese) a te!
Le bellissime, dolorose, nel mio lontano ricordo,troppo lontano, novelle di Maupassant. Questa non la ricordo; sicura di non averlamai letta, sarebbe stata indimenticabile.
Un’altra grande scrittura da recuperare.
Buon Natale, Il solstizio è una ricorrenza obbligata, qualunque immagine, qualunque mito, si scelga per celebrarlo.
È un bel racconto, indubbiamente. Sì sviluppa sulle ali dell’ironia fino a schiantarsi contro qualcosa che è uno spigolo. Piaccia o meno bisogna fare i conti con il Natale, che è una sorta di “categoria dello spirito”.
Eh sì. 😀
Sì, è una “categoria dello spirito”, perchè ci siamo cresciuti nel Natale, perchè l’abbiamo dentro da secoli di Storia, e ricordato da una mare di opere d’Arte, che ritroviamo a ogni passo e ad ogni angolo. Poi, che esistano molti modi di celebrarlo e viverlo, magari consumisticamente nei grandi centri commerciali o ai Tropici, è un’altra storia, e che anche individualmente piaccia o meno, o ponga dei problemi personali, è anche un’altra storia. Ma è comunque la conferma che bene o male, il Natale fa parte della nostra identità a maggior ragione di questi tempi di mix di razze e usanze. È tanto vero che il solo fatto d’essere “occidentali” basta ai fanatici pazzi dell’Islam per colpire, vedi il caso di quelle due povere ragazze in Marocco.
Con questo, lungi da me dal pensare a un Natale di contrapposizione e discriminazione che sarebbe altrettanto da fanatico come quei barbari, ma al contrario mi piace pensare a un Natale di coesistenza: come ognuno di noi ha un suo nome e cognome così ognuno di noi abbia il suo credo, celebri i suoi riti in armonia. Può sembrare un’utopia. Ma esistono esempi nella Storia, rari se vuoi e poi mandati in frantumi, ma sono esistiti. Alla faccia di tutti i sovranismi e ismi, e di chi specula sulle contrapposizioni per affermare il proprio potere, indifferente alle morti e distruzioni di cui può essere causa.
Hai perfettamente riassunto il senso di questa piccola serie di post che ogni anno, a Natale, mi piace proporre. Non uno, ma cento, mille diversi natali, proprio a dimostrare l’impossibilità di sottrarsi, anzi, a dimostrazione che anche la volontà di negare il Natale è un modo per celebrarlo.
Sì, esatto.
Anzi, buona Natale!!!! 🙂
“Alla faccia di chi specula sulle contrapposizioni per affermare il proprio potere”, quanto è vera questa cosa, succede sempre, ogni volta, ogni Natale e purtroppo non solo a Natale….
🙂
Sereno Natale, Alessandra
Buon Natale a tutti voi, carissimiTommaso, Guido, Ivana. Che sia felice e sereno. Mi prendo un po’ di stacco dal Blog, forse ci risentiamo per l’ultimo dell’anno. Abbracci.
Grazie e un augurio di buon Natale a tutti voi.
Effettivamente la novella, in un certo senso dissacratoria, è davvero una chicca. La cercherò per leggerla interamente. In ogni caso, fai bene, Tommaso, a riservarci, ogni anno un ricordo letterario per Natale. Me ne sono riletti diversi e concordo con Guido : il Natale ci appartiene, anche se non siamo credenti. Anche se avversiamo, con molta ragione, la deriva nauseante del mercato. Tuttavia, resta il valore dei riti, fondamentali per la vita collettiva. Auguri di buone feste a te e a tutti.
Divertentissima novella. È sì, è un appuntamento cui non intendo rinunciare. Il Natale ci assorbe. Voglio esagerare. Siamo noi che apparteniamo al Natale, nel senso che articola le nostre giornate, i nostri pensieri, le nostre azioni. Non posso che rinnovare gli auguri.