Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Fra le molte persone che mi sono trovato a conoscere e a frequentare, soprattutto negli ultimi anni e lungo lo stretto passaggio verso una compiuta maturità, sono stato spettatore più o meno interessato di bruschi cambiamenti di direzione, di svolte nette ed imprevedibili. Ho visto inciampare ed entrare in confusione uomini fino a quel momento sempre sicure del fatto loro; molti li ho visti rivisitare le loro idee e persino quelli che parevano irremovibili, quasi ottusi, di fronte a inediti dilemmi morali e spirituali, si sono trovati a dover ammettere di non sapere dove mettere le mani, quale via prendere. Molti hanno perso l’orientamento, perdendo o abbandonando volontariamente la strada maestra un tempo scelta senza incertezze; ho visto tradire chi pareva destinato ad una fedeltà senza limiti e ho sentito di domande d’amore traboccanti contraddizioni; mi è capitato di incontrare ragazzi che riuscivano ad essere se stessi e, contemporaneamente, altro da sé. Nelle stesse persone ho spesso sperimentato il “qualcosa” e il suo “rovescio”, perché per loro ogni affermazione non precludeva l’accettazione del suo rovescio, perché l’eco del sì è il no, e viceversa.
Ho visto un vecchio amico crollare, dopo anni e anni passati in una estenuante lotta col padre. L’ho visto crollare quando quel padre che pareva immortale l’ha trovato morto, riverso sul tavolo della cucina. L’ho visto mentre ereditava importanti quantità di denaro, la casa e altri beni con una freddezza glaciale, l’ho visto, in quanto primogenito, ereditare con mano e voce tremante la cura della madre afflitta, dei fratelli disorientati. L’ho visto aprire gli occhi su una visione altra, certamente più alta del mondo. Ho dovuto ascoltare, dopo non so quante birre, la confessione sconsolata di un mio vecchio amico che non riusciva veramente a comprendere perché la moglie continuava a chiedergli di sposarlo, lui che l’aveva già sposata da anni. Lui, un uomo poco più che quarantenne, intelligente e colto, marito fedele, padre amorevole, stimato sul lavoro, ogni giorno, spesso quando siede alla scrivania, la sera, o mentre guarda un film, sentiva la moglie avvicinarsi e abbracciarlo e, dopo un bacio, chiedergli di sposarla. E lui, che già l’aveva sposata in magnifiche nozze, non riusciva a capire cosa lei gli stesse veramente chiedendo. Nel mezzo di lunghi corridoi, ho dovuto sostenere il pianto di ragazzi dalla barba folta, ma che non sapevano dove sbattere la testa, diciotteni brillanti, capaci di affrontare questioni complesse, astrazioni riservate solo alle menti più promettenti, ma incapaci di attraversare serenamente i corridoi di scuola per andare in bagno, di passare davanti ad un’aula dove sapevano essere fanciulle in fiore che avevano il potere di aprire in loro vuoti indicibili; ragazzi dai lineamenti puri, il volto di porcellana, che non riuscivano a sostenere la propria immagine allo specchio. Mi sono trovato privo di parole di fronte a padri che solo lungo quei corridoi riuscivano ad incrontrare, con sguardo fugace, gli occhi delle figlie che non volevano più vederli dopo dolorose separazioni, ragazze che non rispondevano loro neppure al telefono. Li ho ascoltati, mentre mi chiedevano aiuto, ho sostenuto il loro sguardo stringendo loro la mano, dichiarando la mia impotenza. Ho perso di vista uomini brillanti, economicamente privilegiati, capaci di parlare cinque lingue, padroneggiare diversi codici e comunicare efficacemente con vaste platee di uditori, ma del tutto incapaci di parlare alla moglie, ai figli; uomini che al primo sguardo parevano veramente capaci di tutto, ma che poi, a prestare attenzione e a seguirli veramente con lo sguardo, li si poteva sorprendere nel bel mezzo di discorsi bizzarri o traboccanti di un umore nero da far venire i brividi. Alcuni di questi pativano incredibili dolori senza forma o nome, soffrivano un disagio cangiante e incomprensibile, multiforme, capace di portare una sofferenza simile anche nell’anima di tutti quelli che gli erano intorno, nelle persone che amavano e da cui erano amate.
Ho incontrato molte persone nel pieno di una crisi, incapaci di scegliere, stretti in un punto di fragilissimo equilibrio, lì dove ogni movimento poteva far franare tutta una vita fin lì costruita, lì dove ogni azione o parola poteva rovesciare tutto. Chi non cadrebbe in una profondissima crisi, del resto, se preso in una situazione-limite, sia che questo limite venga da fuori o, come fiore del male, sbocci dal di dentro. Sono momenti in cui il passato e il futuro vengono schiacciati su di un presente che, invece di correre, si appesantisce fino a farsi una catena che sottrae l’idea stessa che possa esserci una via di fuga; momenti che cancellano il passato e rendono impossibile il futuro. Un presente che non è figlio di alcun tempo passato e, sterile com’è, sembra non poter generare futuro alcuno. Ma è poi sempre così? Ho visto anche ben altri rovesci di sorte, imprevisti ed impensabili – strabilianti.
Ho passato molto tempo con un uomo cui ho dispensato saggi consigli mai ascoltati. Sebbene mio coetaneo l’ho seguito come un figlio, mentre sbagliava, mentre ad errore faceva seguire errore. E poi ho visto una donna, la sua donna, allontanarsi. L’ho vista prendere le distanze. Ha dovuto farlo, doveva difendersi. Purtroppo, però, da quella nuova distanza e a cui non era abituata, vedeva il suo uomo in modo diverso, sfocato attraverso la nebbia del rancore e dell’orgoglio. E così pure lei aveva iniziato a commettere errori, altri errori i cui effetti si riverberavano sull’uomo che, a sua volta, continuava a commetterne di nuovi. E così ecco presto venire a crearsi una catena di errori sempre più lunga e pesante, un vero e proprio catenaccio al collo della loro vita. Persi in quella infelice ripetizione, proiettati idealmente in un cattivo infinito che pareva un interminabile viale lastricato di dolore e rimproveri e rimpianti, avevano deciso di portare avanti la cosa fino al limite estremo. Li ho visti con i miei occhi. Sopratutto lui, che conosco da anni e con cui bevo spesso, le sere in cui è ancora possibile farlo. Li ho visti procedere in quel modo tutto nuovo, camminando all’indietro, gamberi nello spirito, guardandosi l’un l’altro con uno sguardo carico di rabbia. Indietreggiavano senza prestare attenzione a dove li stava conducendo quel doloroso, speculare cammino. E così, quasi senza rendersene veramente conto, erano giunti fino al limite estremo del loro amore, sul punto di cadere nel vuoto che si apriva alle loro spalle, lui da una parte, lei dall’altra. E poi, d’un tratto, non so come, quindi non mi si chieda di renderne conto, è accaduto qualcosa di imprevisto, una vera e propria rivoluzione emotiva che tutto ha rovesciato. È così che il loro amore, prima piatto come molti secoli fa era concepita la terra, si è rivelato sferico, assumendo l’unica forma in cui gli opposti si toccano…ed ecco che entrambi, ormai apparentemente votati ai rispettivi abissi, avevano invece percorso quella sfera seguendo una bussola danneggiata fino a ritrovarsi schiena contro schiena, sfiniti, nuca contro nuca in quello che era il loro ultimo duello. Cristallizzati nell’attimo dell’esposizione al colpo di grazia, in quell’ultima mano, avevano messo sul piatto tutto quello che avevano. Vuoto su vuoto, erano stati obbligati a voltarsi, votandosi ad un nuovo incontro. Spesso le cose finiscono male e il bicchiere rovesciato perde per sempre quanto conteneva, ma non sempre è così, non se si ha la forza per mantenere lo sguardo sull’altro.
Nuovo volto del rovescio, rovescio che salva, poiché il rovescio ha in sé sempre a quel dritto di cui è sovversione, così come il male ha sempre in sé quel bene di cui senza sosta lamenta, urla e reclama la mancanza, affermandone il desiderio. La sofferenza è di per sé espressione della volontà di allontanarsi dal male, di qualunque natura sia, e di aspirare al bene, anche se non si sa ancora dove andare a cercarlo e quale natura e forma abbia. È così che il rovescio è anche e sempre la possibilità di rovesciare una situazione che pare disperata, è corsa verso l’insperato, l’insperabile, poiché nel rovescio del rovescio sta ciò che si chiama vita. Poiché il rovescio della vita non è la morte, ma la vita stessa.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Forte queste trame di storie! Mi ha impressionata soprattutto la domanda della moglie al marito, sposarla pur avendolo già fatto, chissà cosa c’era in quella domanda che aveva già una risposta.
La conclusione mi ha sorpresa, molto piaciuta! Insomma, tutte facce di una stessa medaglia ☺
Grazie. Sono tutte intorno, spesso alla luce del sole, eppure invisibili.
Bel pezzo, carico di tanta vita e perciò anche di dolore. Le tue osservazioni fotografano la realtà per quello che in effetti è, vale a dire un misto di disperazione e speranza, di errori fatti e tentativi di recupero più o meno riusciti, dove nello sforzo di rialzarsi da terra capita spesso di ricadere giù… E poi parli, in modo semplice e meraviglioso, delle contraddizioni dell’animo umano. Volere una cosa e poi non volerla più, puntare un obiettivo e poi cambiare idea, a volte senza sapere neppure bene il perché. A chi non è mai successo? Si tratta in effetti di perdere l’orientamento, e poi di scalciare come dannati nel tentativo di recuperarlo. L’incomunicabilità, e anche il fatto di spingersi sul bordo estremo di certe situazioni, potrebbe essere sia la causa che il risultato di uno sconquasso interiore. Ma senza tali difficoltà – mi viene da chiedermi – avrebbe poi senso la vita umana? O il senso lo si acquisisce proprio nella lotta al dubbio, all’incertezza, all’insoddisfazione perenne, attraverso ripetute cadute seguite da ripetute rialzate? Poi a volte capita, grazie al cielo, di fermarsi anche un attimo prima del precipizio, grazie al rovesciamento di una situazione che appariva disperata, come scrivi nella “risollevante” chiusa. Consoliamoci con questa prospettiva, fintanto che ci è possibile.
Grazie Alessandra. La vita, in fondo, pare non essere altro che il tentativo di trovare un equilibrio impossibile, sempre da rinnovare, passando da un errore all’altro. L’unica cosa che mi pare di aver compreso è che, anche in modo contraddittorio, ognuno di noi in fondo non cerca niente altro che il proprio bene.
Sì, qualcosa che possa farci stare bene. Peccato che a volte, per arrivare a questo, ci si faccia anche del male o lo si faccia ad altri.
È vero. È infatti implicita in questa ricerca del Bene, la sua assenza o la sua sempre imperfetta realizzazione, tanto in noi, quanto fuori di noi.
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