Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Mio fratello Ward una volta era un uomo famoso. Ora nessuno se ne ricorda, e nessuno sembra aver voglia di parlarne, soprattutto non mio padre, anche se di solito lui apprezza più delle altre le cose che non può più toccare o vedere, cose ripulite da ogni pecca e da ogni ambiguità da tutti gli anni in cui le ha conservate nella memoria, rimodellandole ogni volta che le tira fuori fino a farle diventare, esse e ciò che contengono, perfette e affilate come la lama del coltello che tiene in tasca.
Non è nuova da queste parti la presenza di Pete Dexter, di cui avevo scritto a proposito di Così si muore a God’s Pocket (qui), eppure questa stessa presenza non rende giustizia del reale valore di questo scrittore e giornalista, giustamente considerato uno dei più importanti scrittori americani contemporanei. Al centro di Un affare di famiglia c’è un’indagine giornalistica. Hillary Van Wetter è chiuso in carcere, in Florida, ed aspetta di essere giustiziato perché accusato di aver ucciso Thurmond Call, sceriffo senza scrupoli e avvezzo a metodi brutali che durante il suo lungo servizio aveva ucciso sedici neri. Fin qui nulla di assurdo o particolarmente terribile, per una certa mentalità che prospera nelle zone più interne e nelle comunità più chiuse negli Stati Uniti. Ma ad un certo punto Thurmond Call uccide un bianco appartenente alla sua stessa comunità. Certo, questo uomo è un componente della losca e violenta famiglia Wetter, ma è pur sempre un bianco e, in quanto tale la sua morte chiama vendetta – questo il movente della vendetta di Hillary contro uno sceriffo di cui nessuno, dopo la sua morte, ha mai veramente sentito la mancanza o onorato la memoria. Tutto pare chiaro, la condanna imminente, la storia chiusa, ma non sarà così, poiché Charlotte Bless, una contraddittoria ragazza che nutre una strana, forse perversa attrazione per i carcerati, con una lettera aperta al “Miami Times” riapre il caso. La ragazza in questa lettera sostiene che l’uomo che stava per essere giustiziato era in realtà un povero innocente, capro espiatorio di una storia su cui non era veramente stata fatta luce. È così che il giornale decide di mandare sul posto due suoi reporter, Ward James – fratello maggiore di Jack, ragazzo dei giornali e voce narrante – e Yardley Acherman. A questo punto inizia una trama tutta da seguire in cui, il mondo del giornalismo si mescola ad altri temi, fino a diventare qualcosa come una parabola della lotta fra onestà e disonestà, ricerca e fuga dalla verità. Una storia in cui si tratta di cosa sia la verà coerenza, di quanto un uomo possa spingersi avanti e di quando sia il caso – se esiste – di fermarsi, dire basta. Un romanzo, insomma, in cui si tratta della natura umana in quanto tale.
Non è un romanzo che corre veloce, non è pieno di colpi di scena, i personaggi si muovono con lentezza e si manifestano gradualmente, senza scossoni. Un affare di famiglia è un romanzo che solo nella parte finale lascia emergere tutta la portata universale del suo contenuto, la sua polpa e sostanza, che lentamente si dispiega, insegnando al lettore il duro, lento e a tratti sfiancante lavoro che porta alla verità, se veramente la si cerca e la si vuole. Romanzo decisamente inattuale, in un panorama dove il lettore chiede, e ottiene, sempre tutto e subito. Spesso spudoratamente. Lo stesso Ward, interprete integerrimo della ricerca della verità a tutti i costi, pare quasi asettico e apatico, immobile, capace di pochissime parole, tutte essenziali, tutte finalizzate alla ricerca della verità.
Non lo so, – disse Ward.
Lo so che non lo sai, – disse l’uomo di Miami. – Ma il fatto è questo, puoi passare qui tutto il resto della tua vita, ma non riuscirai mai a verificare ogni dettaglio. Non è questo il nostro lavoro. Il nostro lavoro è scoprire tutto quello che possiamo, e farlo uscire sul giornale.
Ward non disse niente.
Al fondo, però, si muove una idea di verità diversa e più sfumata, così emerge tutta la problematicità del rapporto che l’uomo può intrattenere con questa sua ricerca. Ward incarna un atteggiamento che rifiuta ogni compromesso rispetto a questa ricerca, porta avanti l’atteggiamento di chi vuole sempre e comunque andare fino in fondo, di chi è disposto a rischiare e a perdere tutto pur di riuscire a cogliere la verità tutta intera, senza ombre, residui, resti o dubbi. Quella di Ward, però, è una ricerca impossibile, poiché tutto il reale non può entrare nel concetto e perché non esistono conti senza resti, debiti o errori di calcolo, poiché lo sporco della verità non può essere raccolto fino all’ultimo granello. Il male è reale, autonomo e sfuggente, e questo romanzo lo attesta senza mezzi termini aprendo una ferita, una terribile contraddizione e zona d’ombra persino nell’intimo dell’integerrimo Ward.
Il male ha consistenza propria, non è integrabile e non se ne può aver ragione. E così anche la questione della realtà e della verità può risolversi solo abbandonando ogni integralismo, optando per un realismo che non è cinismo o rozzo pragmatismo, ma accettazione della sfumatura, persino dell’ineffabile e, quindi, affidarsi alla scommessa, al fiuto, all’indimostrabile, a quanto non può vantare lo status della certezza, della prova provata. La verità ultima di tale acquisizione affiora dalle labbra del giovane Jack James, forse il meno esperto, il più disorientato, ma colui che ha avuto modo tempo per osservare tutto da una posizione privilegiata, quella del ragazzo dei giornali. Di lì ha potuto osservare tutto, il fratello, i cronisti del giornale, gli avvocati, i carcerieri e tutta l’umanità che lo circondava e che abita il mondo. Ha avuto persino il tempo per mettere alla prova se stesso e trarne un insegnamento fondamentale.
Non esistono uomini integri
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
“Non esistono uomini integri”.
Non so quando leggerò questo romanzo. Difficile, nei giorni che stiamo vivendo, magari non diversi da quelli che abbiamo vissuto, non so, ma, secondo me,tra i peggiori, davvero brutti, vergognosi.
Vorrei leggerlo presto.
Ho concluso volontariamente con quella frase. Per la sua portata universale, per la sua attualità (virtualmente riprende e, credo, approfondisce il discorso sul rimanere/diventare umani). Non è un condono morale dire che non vi sono uomini integri, ma aprire in sé e negli altri uno spazio di debolezza che umanizza l’altro e noi stessi, che rende impossibile ogni posizione che si vuole assoluta, dogmatica, integralista e “sovranista” (l’autenticità sono io, la incarno e rabbiosamente/violentemente la difendo). Non è lasciapassare, ma al contrario invito alla ricerca, esortazione alla determinazione, perché, al tempo stesso, spinge a non perdere di vista l’umanità dell’uomo.
P.s. questo non è il miglior Dexter, ma è pur sempre Dexter.
Concordo totalmente. Anche con il P.S: anche a me è piaciuto Dexter, ma ho letto solo due suoi libri, un po’ di tempo fa.
Caro Tommaso, tu chiudi con una frase che ormai da tempo vado ripetendo a conclusione di discussioni o ragionamenti sulle varie questioni politiche od economiche o sociali o altro. La vado ripetendo sempre più come un mantra: Nessuno è innocente. Quell’innocente è l’unica variante rispetto alla tua frase. È di forma come puoi vedere, non di contenuto.
Venendo a Dexter, non lo conosco, ma da quanto analizzi mi ricorda, pur su scenari totalmente differenti, Don Winslow, «Corruzione», solo apparentemente un poliziesco, in realtà un affresco di personaggi, un intersecarsi di sentimenti, tormenti personali, antitesi e lotte sociali, bianchi e neri (tanto per cambiare). Si arriva a commettere scientemente delle feroci ingiustizie per arrivare ad ottenere la giustizia e la costante ricerca di una verità che si rivela dalle mille facce, sfuggente da diventare inesistente.
Mai come in questo momento, sento lettura delle cronache (giornali e media) e letteratura fondersi, e della letteratura la commistione a sua volta dei vari titoli e dei vari autori al di là dei rispettivi tocchi personali.
È un momento difficile, e convengo con te sulla contrapposizione tra chi semplifica pericolosamente con delle certezze assolute-indiscutibili e le persone di buone volontà tese ad analizzare ed a comporre, armonizzare. Comporre e non contrapporre, È una partita aperta e, sarà la mia indole, ahimè, ma sono pessimista su quali possano essere le conclusioni.
Andiamo a farci un buon caffè! 🙂
Caro Guido, grazie per il tuo bel commento, una chiosa al post cui non va aggiunto nulla. Nessuno è innocente, sono perfettamente d’accordo – da un po’ anche io ripeto questa idea, solo con termini diversi (mi riferisco alle famose “anime belle”). Tornando sul piano della letteratura (che deve rivendicare la sua funzione critica), stesso discorso: non ho letto Winslow, anche se un paio dei suoi titoli sono in attesa. P.s. lo prendo anche io un caffè.
Eccomi qui, dopo il secondo caffè della mattinata e condividendo con Guido anche il pessimismo… Avete ragione, non esistono uomini integri , bisogna sforzarsi di comporre e di non contrapporre, basta con le visioni fondamentaliste ( furbe e corrotte) ma.. ma… uscire da una visione di verità , operazione giusta e necessaria, non può indurre alla sospensione della scelta etica di stare da una parte o dall’ altra.
Lo stare nel mondo impone di prendere parte, senza presumere di difendere verità ma con l’ impegno di trovare delle buone ragioni a sostegno delle proprie scelte. Si sceglie non automaticamente, ma confermando a sè e agli altri i motivi delle proprie decisioni accettando, nel contempo, il confronto.
Il giudizio è sempre difficile e doloroso ma purtroppo non credo sia evitabile, sul piano etico. Sono stata apodittica, lo so..
Mi viene in mente il famoso paradosso della tolleranza esposto da Popper. Il tollerante, per essere veramente tale, deve scavare in sé uno spazio di intolleranza (dunque rinunciare ad essere integro, tutto d’un pezzo e, in fondo, monolitico e ottuso) verso quelle posizioni (monolitiche, ottuse) che metterebbero in discussione una società tollerante. Nulla di diverso, oggi – il pluralismo impone di rigettare ogni posizione eccedente (oserei dire “tracotante”), che non sta alle regole del gioco, a quelle regole inerenti al pluralismo stesso.
Da questo libro il film ‘The Paperboy’ di di Lee Daniels, dopo il successo di Precious. Il film ha ottenuto 1 candidatura a Golden Globes, 1 candidatura a SAG Awards, Al Box Office Usa The Paperboy ha incassato nelle prime 6 settimane di programmazione 693 mila dollari e 110 mila dollari nel primo weekend.
Bellisimo, con una straordinaria Nikole Kidman che interpreta Charlotte Bless.
Non ho visto il film, ma cercherò di trovarlo. Grazie per il suggerimento.