Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Dopo un’epoca traboccante di insulsaggini, di pathos, di affermazioni di comodo, di trionfo dei luoghi comuni, di viltà e di pigrizia nei confronti del regno oscuro della psiche, alcuni dei più recenti scrittori hanno scoperto quello che i grandi di tutti i tempi avevano sempre saputo: che in effetti la psiche non è una realtà così semplice.
Parlare di Schnitzler e del rapporto fra letteratura e psicoanalisi è qualcosa di naturale, qualcosa di addirittura ovvio per chi abbia mai letto i suoi romanzi, dove le trame possono essere seguite come lo svolgimento e il dispiegarsi di veri e propri casi clinici (basti pensare a La signorina Else e a Doppio sogno). A proposito di tale rapporto Schnitzler ci offre una ricognizione di un paio di pagine dal titolo Letteratura psicologica, uno scritto pubblicato postumo e risalente probabilmente alla seconda metà degli anni ’20, goccia d’inchiostro nello sterminato mare di appunti, bozzetti ed annotazioni dell’autore viennese. Pur nella sua brevità questo scritto offre una chiara rappresentazione dello stretto rapporto che legherebbe letteratura e psicoanalisi. Quest’ultima assurge a rango di strumento, probabilmente privilegiato, dell’artista. Per mezzo della psicoanalisi e delle suggestioni che offre, lo scrittore (sempre e comunque in modo spontaneo, autonomo e mai scolastico) riuscirebbe a tracciare inediti percorsi e ad orientarsi (sempre secondo la prospettiva propria della letteratura) all’interno del labirinto della natura umana. Ad avviso di Schnitzler la psicoanalisi ha offerto alla letteratura la possibilità di usare consapevolmente strumenti che lo scrittore (e l’uomo in generale) già da sempre aveva usato; strumenti che solo a partire dalla rivoluzione psicoanalitica può però padroneggiare con una autorevolezza del tutto nuova. In tal modo, per mezzo delle scoperte di Freud, fenomeni e dinamiche prima estromessi o confinati nell’assurdo o nella letteratura semplicemente fantastica, potevano finalmente essere trattati in modo più diverso, forse spregiudicato, incorporando finalmente nella letteratura dinamiche irrazionali e contraddittorie, consentendo così alla letteratura stessa di affrancarsi dal mero realismo. In questo senso per Schnitzler la psicoanalisi è una forma di saggezza che permette allo scrittore di lavorare il materiale umano guadagnandosi e riservandosi una nuova forma di libertà, ma sempre e comunque tenendosi bene a distanza (e in questo lo scrittore è critico nei confronti dello stesso Freud) dalle derive che presto questa nuova scienza della psiche dell’uomo viene ad assumere: prima di tutto dalla sua pretesa scientificità, e poi dal suo cristallizzarsi in pratiche, codici e dogmi che non possono non confliggere con l’esigenza di libertà propria dello scrittore. Date le dovute distinzioni, la psicoanalisi apre tuttavia alla letteratura un nuovo terreno tutto da scoprire.
Se la psicoanalisi studia la psiche e le sue contraddizioni, allora la letteratura, pena lo scadimento nell’insulsaggine, non potrà non constatare che le vecchie e banali dicotomie proprie della tradizione letteraria sono da superare nel modo più netto. E per conseguenza lo sono le manichee distinzioni fra bene e male, buono e cattivo, retto e malvagio, finalmente declassate ad insostenibili semplificazioni di una psiche, o natura umana, in cui al contrario albergano e coesistono istanze, impulsi, motivi e fini che sono non solo multiformi, ma in reciproca e spesso non sanabile contraddizione. È un piccolo antidoto contro la banalità, tanto ovvio da esser forse banale a sua volta, questo è vero, ma è altrettanto vero che in tanta letteratura presente resiste e prospera un errore tanto evidente da poter esser spazzato via da una osservazione anche solo poco più attenta e accorta.
Si è scoperto che il buono non è semplicemente buono, che il cattivo non è semplicemente cattivo; che sia nelle anime più virtuose i sentimenti, per così dire, più peccaminosi, sia nelle nature più corrotte la nobiltà d’animo e il bene, non sono celati, ma appaiono visibili a chi sappia osservare attentamente.
La letteratura si fonde tanto alle acquisizioni della psicoanalisi da rischiare se stessa e la propria autonomia, tanto avvezza a mantenersi sulla linea di confine da essere, secondo Schnitzler, il frutto di una vera e propria nevrosi d’angoscia. La letteratura sarebbe, al tempo stesso, il tentativo di svelare la realtà, di plasmarla e modellarla, ma anche e (forse) eminentemente, forsennata attività che attingerebbe la sua inesauribile spinta nell’impulso di fuggire “l’orrore della caducità“. Certo, ma pure a partire da tale consapevolezza, lo scrittore non potrà però fare a meno di rivendicare la propria autonomia e sovranità e così porsi onestamente al centro di questa contraddizione, facendo di necessità virtù cogliendo liberamente i frutti necessari di spinte che non controlla, ma che pone al proprio servizio nel momento stesso in cui devotamente le serve. Meglio, a questo punto, lasciare la parola al grande scrittore viennese e al suo breve e dissacrante Annuncio da un giornale psicoanalitico.
Giovane elegante, possessore di mille milioni e di un complesso edipico modesto, ma suscettibile di sviluppo, cerca rispettabilissima conoscenza con infanticida in erba, a scopo di gite nell’inconscio, e all’occasione anche nel conscio. Si scriva all’ufficio inserzioni di questo giornale, firmandosi: meglio sublimati che rimossi. Sono preferite le ragazze sotto i quattordici anni, le vergini saranno cestinate.
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Grazie per questo articolo su uno dei grandi del ‘900, spesso derubricato a minore.
Bellissima l’inserzione, che dimostra una (per me) insospettata vis comica di Schnitzler.
Resta solo da dire che il manicheismo buono-cattivo è ancora oggi usato anche in politica, naturalmente dai buoni.
Hai ragione, Schnitzler è sottovalutato o, ancora peggio, relegato fra le letture propedeutiche alla grande letteratura, riconoscendo la grandezza di questo scrittore che con la sua autorevolezza riusciva a mettere a disagio persino il dr. Freud. Condivido pienamente la tua conclusione – nel mondo ci sono troppe (per usare un antipatico e tuttavia pregnante linguaggio da manuale) “anime belle”.
Davvero interessante! Trovo affascinante la psicanalisi accostata alla letteratura
Assolutamente sì. Conto di tornare sull’argomento presto. C’è ancora un mondo.
Sarò curiosa di leggere altro!
Quando sarà, spero di non tradirla, la tua curiosità!
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