Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Ian Testa guarda l’orologio, sbuffa e dà un ultimo sguardo alla rivista a cui sta vanamente cercando di interessarsi. Si guarda intorno. Non è l’unico che non vede l’ora di uscire da quel posto. Fra le diverse persone in attesa di essere ricevute dal pediatra, un’intensa voglia di morire pare concentrata in modo particolare nello sguardo lacrimoso di una donna che, con gli occhi puntanti al mondo che mondeggia oltre i vetri della finestra, fa cenno di sì al figlio che continua a chiederle chissà cosa, Maman, dice il bambino, Maman, e poi sussurra parole incomprensibili. Una discreta volontà di distruggere, invece, pare scivolare giù dalle braccia muscolose di un uomo sulla quarantina che ha appena consegnato al figlio il cellulare, Non voglio più sentirti fiatare, gli soffia contro il tipo. Il bambino si perde nell’ennesimo scoppio di tosse convulsa, tira su col il naso e, trattenendo il pianto, inizia a smanettare col monolite portatile da cui si libra una musichetta monotona. Ian si concentra giusto un attimo sullo sconosciuto, sui suoi capelli corti, sulla felpa, i pantaloni elasticizzati, le braccia e le gambe muscolose, sul collo da toro nervoso. Ad Ian torna alla mente una cosa, e così riprende la rivista. La sfoglia brevemente e arriva allo scatto che l’aveva colpito. C’è un uomo nudo dalla vita in su, pieno di peli e tatuaggi. È sdraiato sul letto, con poggiato sul petto un neonato, nudo anch’esso, a parte il pannolino. Grinzoso, latteo, piccolo di una piccolezza che rasenta l’assenza nel confronto con la grandezza del padre e debole di una debolezza resa spaventosa dalla forza del padre. Con la coda dell’occhio, Ian passa dall’immagine della rivista al tipo. Finalmente la porta in fondo al corridoio si apre, strappandolo ad un’indagine che da qualche giorno è ad un vicolo cieco. Dalla porta escono una donna mulatta e tre bambini. Ian si alza in piedi facendo cenno al figlio di sbrigarsi, quindi guarda per l’ennesima volta l’orologio attaccato alla parete: più di due ore di attesa per ritirare un certificato medico di riammissione all’asilo.
Mentre cammina verso casa tenendo il figlio per mano, spara una domanda a bruciapelo, Non ti piacerebbe avere un padre come quello? e indica un cartellone pubblicitario che copre parte della facciata di un palazzo d’epoca in ristrutturazione. Enorme e scintillante, uomo senza età, adolescente e maturo al tempo stesso, con una sottile barba bionda che lo fa sembrare glabro e un cespuglio di capelli chiari che paiono bianchi, l’uomo indossa scarpe da ginnastica, jeans e maglietta nera. È gonfio fino ad esplodere. Non sembra occuparsi del piccolo uomo che gli cammina accanto, sembra più interessato a se stesso e ad occupare di brutto il mondo, fermamente intenzionato a lasciare il segno, Quindi? e guarda ancora il figlio, che sorride e fa cenno di no.
Ian si sofferma sull’immagine di sé riflessa sulla vetrina di un bar. Coglie il proprio ventre leggermente dilatato, segno del tempo che passa. Indugia sui pantaloni sformati, il giaccone che lo ingolfa. Si sente un poco a disagio nel confronto con tutta la potenza – ma è reale? – che esplode dal modello. È una forza che ne segna indelebilmente il passaggio fra le cose del mondo, ma che lì, all’altezza del rapporto col figlio, si acquieta. È una tempesta che scema, un terremoto che non si scatena, una potenza che garantisce protezione. Eppure c’è qualcosa che non convince Ian Testa, che cammina lungo la strada senza prendere la via più breve verso casa. Deve mettere il punto su questa storia.
Ancora un uomo, questa volta incorniciato nella vetrina di un negozio di profumi. Ancora un padre, ancora muscoli e tratti del viso taglienti, sguardo che mira chissà dove, aura di potere e, una volta ancora, un figlio. Una bambina, più precisamente. Infinitamente piccola e debole in un marciapiedi affollato, ma ancorata alla mano di un padre che si staglia sulle cose in quanto unico legittimo custode di una forza immane. Chiede lumi al figlio che, in realtà, è come lui in preda al dubbio, Che bestione, ride divertito, ma non convinto. Di più, però, Ian sembra non riuscire a tirare fuori. Dopo qualche passo, però, il figlio parla ancora, Adesso la stritola. E così Ian Testa finalmente trova la parola per definire quella forza che non lo convinceva affatto. Trattenuta. È solo potenza trattenuta e non al servizio di una causa ulteriore. In quanto trattenuta è una forza che sostiene e mantiene il figlio nella vita in modo condizionato e non per principio e necessariamente, e cioè da sempre e per sempre. È forza che in ogni momento può inabissarsi nelle vertiginose vie della violenza, che è presente come sottofondo e basso-continuo di giovani esistenze la cui integrità è già da sempre minacciata. Padre ambiguo, padre che potrebbe ma non passa all’atto, padre le cui cure, in quanto tali, sono solo il rovescio di una minaccia.
Hanno allungato di tanto il tragitto e il bambino, dopo una settimana di febbre, è stanco, Mi prendi in braccio? Ian guarda il figlio, Ma sei diventato pesante, gli risponde sorridendo. Il figlio ha quasi sei anni, è alto e discretamente pesante. Ian lo solleva, sbuffando. Il bambino lo abbraccia, Mi riposo un pochino, poi scendo, va bene?
Ian Testa cammina. Il figlio è pesante, cresce, è reale.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Bisogno di tangibilità, mi verrebbe da dire.
E il ventre dilatato, in contrasto con questi fisici possenti che trattengono una possibile violenza, sembra quasi richiamare la docilità di questo padre. In questo rapporto è il figlio a pesare di più. E ad esistere davvero, soprattutto.
Piaciuto molto, sai catturare l’attenzione del lettore.
Hai riassunto perfettamente quello che cercavo di dire, “in questo rapporto è il figlio a pesare di più” , è il centro di un rapporto spesso ambito e difficile da costruire. Grazie per il bel commento.