Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Sulla letteratura – Albert Camus

Tutte queste vite, che si aggirano nell’avara atmosfera dell’assurdo, non potrebbero resistere senza qualche pensiero profondo e costante che le animi con la propria forza…vi è, così, una felicità metafisica nel sostenere l’assurdità del mondo…A tal riguardo, la gioia assurda per eccellenza è la creazione. “L’arte e null’altro che l’arte” dice Nietzsche!; “abbiamo l’arte per non morire della verità”.

All’interno di questa serie di interventi sull’idea di cosa sia letteratura (qui gli altri post), la posizione di Albert Camus assume un posto particolare, eccentrico e spiazzante. Tutti conoscono e moltissimi hanno letto le opere di questo autore che, a partire dalla volontà di darsi un orizzonte teorico ben definito e riconoscibile (a tutti noto come “pensiero dell’assurdo”), ha scritto dei saggi di indubbio interesse. Quello a cui qui si fa riferimento è Il mito di Sisifo, che vede la luce nel 1942 e che tratta della “sensibilità assurda” che permea il ventesimo secolo. Ma cosa sarà mai questo “assurdo“? Molte cose, in realtà, ma, su tutto, una forma di “male dello spirito” che si scopre sprovvisto di qualsivoglia giustificazione, approdo metafisico, così come di una forma di fede. Assurdo è lì dove la vita stessa viene messa di forza davanti allo specchio con l’obbligo di dare una risposta all’unica domanda degna di nota: la vita è degna di essere vissuta?

…avviene così che la scena si sfasci. La levata, il tram, le quattro ore di ufficio o di officina, il pasto, il tram, le quattro ore di lavoro, il pasto, il sonno e lo svolgersi del lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì e sabato sullo stesso ritmo…questo cammino viene seguito senza difficoltà la maggior parte del tempo. Soltanto, un giorno, sorge il “perché” e tutto comincia in una stanchezza colorata di stupore. “Comincia”, questo è importante. La stanchezza sta al termine degli atti di una vita automatica, ma inaugura al tempo stesso il movimento della coscienza, lo desta e provoca il seguito…

È a partire da tali considerazioni che la “creazione” assume il suo tratto specifico: conserva, fissa e presenta le avventure della coscienza assurda, dell’esperienza dell’assurdo del reale in quanto tale. Camus a tal proposito è molto preciso: la letteratura non è uno strumento per superare la coscienza dell’assurdo, non risolve il non-senso nel senso, non offre scappatoie o vie d’uscita consolatorie alla malattia dello spirito, bensì, al contrario, ha come suo compito più alto, rigoroso, intellettualmente e moralmente onesto, quello di mantenere viva la coscienza dell’assurdo. La letteratura è un sintomo della condizione assurda dell’uomo e, come tale, va sempre considerata il rovescio della medaglia, un complemento al sentimento di gratuità che suscita l’esistenza.

In questo senso, per Camus c’è una compenetrazione fra l’autore e la sua opera. L’autore non solo si impegna, ma addirittura realizza se stesso nell’opera. Aggiungerei: la scrittura non è un’attività estranea alla vita, ma è una modalità di esistere. In quanto tale è espressione dell’esistenza concreta ed attesta i mutamenti, le trasformazioni e le diverse visioni del mondo che nell’autore si avvicendano. La creazione assurda ordina le esperienze, ma senza la vana pretesa di portare ordine e razionalità nel reale stesso (che rimane assurdo e disordinato).

L’opera assurda esige un artista cosciente dei propri limiti e un’arte in cui il concreto non significhi niente più di se stesso; né può essere il fine, il senso e la consolazione di una vita.

La vera opera d’arte sarà dunque a misura d’uomo e, quindi sarà quella che saprà dire di meno, che non si lascerà tentare da alcun miraggio esplicativo. La ricchezza di questo genere di opere risiederà anche nelle molteplici lacune che la attraversano, lì dove lascerà intravvedere il vuoto dell’intelligenza rispetto alle asperità del reale, lasciando al lettore e, aggiungerei, alla sua vivida intelligenza ed esperienza, il compito di trarne tutta la fecondità. Solo in questo modo l’opera sarà onesta, incarnando il “dramma intellettuale” dell’autore.

Una buona opera deve avere delle caratteristiche e deve essere sempre strutturata come un mondo: deve avere una sua logica, dei postulati, una sua qualche forma di trasparenza, ma non deve sorreggersi sulla pretesa di veicolare un pensiero forte o un qualche principio esplicativo del reale. Se così fosse, il pensiero prenderebbe il posto che, al contrario, spetta allo “stile” e il romanzo verrebbe inevitabilmente snaturato (le conseguenze di tale idea, mi permetto di aggiungere, sono incalcolabili oggi più che mai, dato che si è sommersi di libri dove qualcuno dichiara di avere qualcosa da dire, senza curarsi del fatto che si può dire qualcosa solo se lo si sa dire – il che, in letteratura, significa una cosa fondamentale e difficilissima: avere uno stile). L’opera assurda non dà risposte e di per sé deve essere sempre “creazione senza domani“. Tale opera si prefigge, dunque, come obiettivo mai raggiunto in modo definitivo e sempre da recuperare e confermare, quello di mantenere la coscienza desta, tenendola lontana dalla ricerca di rassicurazioni e consolazioni d’ogni sorta.

Di tutte le scuole della pazienza e della lucidità, quella della creazione è la più efficace, ed è pure la sconvolgente prova della sola dignità dell’uomo: la tenace rivolta contro la propria condizione, la perseveranza in uno sforzo sterile.

Il dramma della creazione tocca qui il suo apice. Lo sforzo, il senso del limite e dell’insufficienza, il carattere ascetico della disciplina dello scrittore vanno misurati, in ultima analisi, rispetto all’inutilità del suo stesso lavoro e della sua produzione. Il creatore lavora “per niente“, deve incessantemente tenere a mente l’assoluta eccedenza ed inutilità dell’opera e, dunque, della sua stessa vita che si salda a questa produzione. Il creatore scrive e riscrive a più riprese una stessa opera, cercando (qui mi prendo delle libertà forse eccessive rispetto al testo di Camus) di approssimarsi all’Opera che non può scrivere, poiché è l’ideale che fa da modello alle opere concrete che saranno sempre e comunque delle copie imperfette dell’idea. Ogni romanzo a tesi, ogni opera che vuole dimostrare o convincere di qualcosa sarà necessariamente “odiosa“, mentre l’opera assurda è concreta, carnale e nasce come rivolta e come materia viva, non-integrabile alle pretese del ragionamento conclusivo. In questo senso l’opera assurda è aperta, non ha conclusione, non offre alcuna morale della favola, non svela significati profondi, bensì presenta, crudamente e brutalmente, la natura dissipativa del reale. Assurdo il reale, assurda la (condotta di) vita del creatore, assurdo il destino dell’opera.

Nello sforzo quotidiano, in cui l’intelligenza e la passione si mescolano e agiscono l’una sull’altra, l’uomo assurdo scopre una disciplina che costituirà la parte essenziale delle sue forze. L’applicazione necessaria, l’ostinatezza e la perspicacia si uniscono…creare è allora dar forma al proprio destino. Ripetiamoci: niente di tutto ciò ha un reale significato…

9 commenti su “Sulla letteratura – Albert Camus

  1. Guido Sperandio
    giugno 16, 2018

    Non capisco il senso concreto del discorso di Camus. Stabilisce dei criteri per giudicare se un lavoro è un’opera d’arte? Ma fosse così sarebbero dei criteri oggettivi mentre, mi pare, Camus analizza il corpo a corpo tra il creatore e il suo lavoro, quindi diventa un fatto soggettivo, personale. Non so…

    • tommasoaramaico
      giugno 16, 2018

      Bella domanda. Soggettivo, personale…sicuramente. Direi che l’autore offre una “testimonianza” della propria esperienza del mondo. Un’esperienza che riflette una condizione storica ben precisa (l’Europa scossa dal conflitto), in cui le vecchie categorie vengono meno e non so profila all’orizzonte nessun appiglio universale, nessuna trascendenza. La scrittura si gioca in perdita e diventa rivolta…è vero, non offre risposte…

  2. Guido Sperandio
    giugno 16, 2018

    Sì, ci stiamo capendo perfettamente.
    Scambio peraltro utile, da qui in poi ciascuno di noi due avrà un riferimento in più per capire dov’è e proseguire. Ovviamente perseguendo ciascuno una sua propria congeniale strada. 🙂

    • tommasoaramaico
      giugno 17, 2018

      Sempre utile. E poi il fine stesso di questa serie di post è quello di costruire un ventaglio di opzioni sull’idea di letteratura…

      • Guido Sperandio
        giugno 17, 2018

        “ventaglio di opzioni sull’idea di letteratura”, è un concetto-chiave di premessa e cappello dei vari post, che giudico importante, altrimenti i vari post diventano fatti singoli e quindi casuali di quel momento.
        Così, chiara la premessa, l’utilità emerge netta (i post strumenti da officina!)

      • tommasoaramaico
        giugno 17, 2018

        Strumenti da officina…esattamente.

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Questa voce è stata pubblicata il giugno 16, 2018 da con tag , , .

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