Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Tutti in cucina, tutti presenti, tutti strippati, tutti che parlano e si muovono. Quanto è grande, la mamma, e pure il papà è tanto grande, forse meno di lei, forse, ma è pur sempre imponente. E sono tondeggianti ed ingombranti le tre bambine, e il fratellino più piccolo, che ha quattro anni appena e che tutti chiamano Cino, perché col caos, il poco tempo e la non troppa intelligenza, non c’è spazio nemmeno per pensarlo, il nome suo. A dire il vero non c’è tempo nemmeno per quello delle tre sorelle, che sono Mu e Me e Mi…e pure la mamma è solo Ma e il padre solo Pa. E quanto è piccola questa cucina, sempre più piccola, sempre più piccina. Sono tutti e sei lì dentro, strippati e sudati ed accaldati, mentre Ma cucina e Pa apparecchia la tavola. E poi c’è Mu che lo vuole aiutare e Me che non sa cosa dire e Mi che alza il volume della televisione, perché vuole al tempo stesso dire ed ascoltare, proprio come gli altri e su tutti come Ma, che parla, ascolta, ride e cucina. Pentole e pentolini, forno acceso e stuzzichini, microonde che ronza, cappa che aspira senza aspirare perché tutto è avvolto da una nebbia fitta fitta e fatta di fumi d’olio e di sigaretta e del pentolone pieno di lumache che cuociono nell’inferno di un sugo al peperoncino che Ma insaporisce con la cenere della cicca. Non ha tempo per metterla via e di fumare non ha voglia di rinunciare – Insaporisce e sterilizza dice, e Pa ride e tanto ride che gli scivola di mano un bicchiere che si infrange a terra e lì c’è Cino coi piedini cicciotteli forse calpesta una scheggia, tanto che piange e ripete Pa, che gli dice – Non è nulla, e poi Ma, che gli ficca una polpetta fumante in bocca, bruciandogli la lingua. Zittoooo, tuona la madre, d’un tratto seria fino a far vacillare il mondo tutto intorno e dentro al bambino che negli occhi di Ma legge sete di vita, prima che scoppi nuovamente a ridere. E forse fa ancora più paura, ora che ride, perché la violenza, che pareva imminente, adesso è solo differita, ma senza che se ne possano prevedere i tempi. Ride, Ma, ulula mentre scola il riso e asciuga le polpette dall’olio. Canta, dondolando l’enorme culo e Cino, che intanto si è fatto nuovamente sotto, viene preso in pieno volto e vola via andando a battere la testa contro una gamba del tavolo. Non piange stavolta e così supera l’esame di Ma, che gli si avvicina e gli dà un bacino sul faccino, gli strizza il pisellino e poi gli consegna un panino e quando si gira Pa gli fa un occhiolino, prima di assestare una pacca al gran culone di Ma, che salta in aria con un urlo canterino che è tutto un giubilio e dato che tiene in mano l’insalatiera stracolma, su tutti loro cade una fitta e pesante pioggia verdolina, fatta di lattughino. C’è Mu che si lascia scappare uno strano faccino e Me che si riempie la bocca di lattughino, mentre Mi urla un pochino. Ride a voce alta Pa – Non sareste qui, se non fosse da sempre così. E ridendo taglia il pane, mentre Ma lascia cadere la cicca a terra e la schiaccia con la suola dell’infradito – Che caldo, che gran caldo, tuona, prima di scoppiare a ridere, piegandosi in avanti. E Pa, che come sempre va subito su di giri – Smettila, amore, di controllare la cottura delle patate, se non vuoi che mi tagli un dito e di getto lascia pagnotta e coltellaccio e via un’altra pacca al culone della moglie, che quasi finisce dentro al forno, urlando e facendo tremare tutta casa. Mu sbuffa, Me fa roteare gli occhi, Mi manda giù un bicchiere di frullato di chissà che. A tavola, urla Ma anche se già sono tutti là. Piatti, piattoni e piattini, e poi insalatiera e posate a cascata, teglie fumanti, calici traboccanti, cicche sparse ovunque.
Che piccino questo tavolo, che piccino che è, urla Ma, un po’ divertita un po’ inquieta, mentre stringe Cino fra gli enormi seni e lui, disorientato, addenta un wurstel. Gracchiano le casse della televisione, ormai a tutto volume, perché Ma al tempo stesso vuol parlare ed ascoltare. Le ragazze borbottano fra loro di chissà cosa, tramano, guardando Ma di sguincio, a tratti. Un vassoio si infrange a terra, vomitando l’insalata di mare. Pa scatta in piedi e si sfila la cintura. Le ragazze tornano al mangiare, sporcando i vestiti, le bocche, gli accenni di seno che destabilizzano i loro petti ansiosi. Ma ride e torna a ridere anche Pa, che sistema la cintura mettendosi a sedere, aprendo una seconda bottiglia di vino. Hai setuzza? gli urla contro Ma e lui rutta un cavernoso sì. Esplosioni di risa, il mondo si incrina, trivellato di acuti.
Baaastaaa, esplode Ma. Il silenzio cala, i bambini ammutoliscono, Pa spegne la televisione. È ora di alzarsi da tavola e andare a dormire. Nella nebbiolina che tutto avvolge, fra gli scarti di cibo sparsi ovunque e sulle fronti sudate per la grande umidità, aleggia per la prima volta qualcosa di umano. Il dolore. Ma guarda ancora il marito, nuovamente severa. Pa si alza in piedi e si volta verso le ragazze, che col viso lucido degli umori del cibo e i vestiti macchiati, si alzano per seguirlo.
Che freddo e che buio, in corridoio – Ci fa schifo, il corridoio, recitano insieme come ogni sera, nella passione che le conduce alla loro stanza. È vero, pare una cella frigorifera e l’aria fredda, non-viziata, ferisce le loro narici ostruite dell’infinito lavorio di Ma. In processione arrivano in camera e senza cambiarsi si buttano sui rispettivi letti, sospirando come trafitte. Viene lasciato un lumicino accesso che rischiara appena una massa di panni sporchi buttati a terra. Pa esce a va a prendere Micio, che singhiozza prendendogli la manina e cercando lo sguardo di Ma che, tutta chiusa in se stessa e come fuori dal tempo, guarda la parete imbrattata di sugo. Il bambino sale sul lettino e chiude gli occhi. E Pa si sente strano perché, come ogni sera, il suo figliolo pare morire. Torna in cucina. Ma è già rilasciata su se stessa, stesa a terra, le enormi cosce nude, il vestito stracciato. Ha lo sguardo cattivo, pieno di paura – Vattene, ringhia. Pa esce dalla cucina e col fiato corto attraversa nuovamente il corridoio, preso nella morsa del freddo che non si sa di dove venga. Esplodono delle urla, a tratti. Sono dei bambini, persi nei loro incubi. O forse lì ci vive qualcuno che lui non sa e che si diverte a tormentarli? Pa entra in camera da letto, in quel poco che ne è rimasto. Si stende e guarda il soffitto, si sente afflitto. Conta fino a dieci, cerca di resistere. Si gira sul lato destro e conta fino a venti. Non va. È troppo freddo e poi si sentono strani rumori, urla a tratti. Conta il passaggio, sulla strada, di venti macchine, poi scatta in piedi e attraversa il corridoio a occhi chiusi, veloce. Irrompe in cucina. Sono tutti lì. Ma è stesa a terra, rossa e in un bagno di sudore, i bambini tutti intorno, avvinghiati a lei, scrofa stanca e al tempo stesso pregna di una energia infinita. Pa vomita lo sformato direttamente nel lavandino. Non può farne a meno. Pare che debba tirare fuori pure l’anima, se proprio ce l’ha. Ma ride come una pazza e tutto trema. Tremano piatti e posate, bicchieri e finestre. I bambini sono immobili, persi in un sonno senza senso, sempre che dormano. Pa è stanco, si lascia cadere anche lui a terra, lì dove è umido e caldo fino a togliere il respiro, a saturare i polmoni. È lì dove nulla può essere distinto, nel magma primordiale, lì dove hanno luogo generazione corruzione, lì dove Pa non può né vuole guardare, perché lei è di nuovo seria seria, tanto da far paura. Così Pa chiude gli occhi, perché quando si tratta di Ma scappare o rimanere significa sempre ed inevitabilmente morire.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Sei stato non dico bravo ma bravissimo a rendere l’atmosfera scoppiettante di questa famiglia. Dove l’esuberante e allegra chiassosità lascia scorgere qualcosa di più delicato, di emotivamente fragile. La madre è una vera forza della natura, un vulcano che alterna fasi parossistiche ad altre più acquiescenti, lasciando attorno a sé residui che incutono timore reverenziale. Le colate di lava travolgono, inglobano, ma non sembrano spezzare gli equilibri. Certo, la sopravvivenza richiede adattamento agli umori degli altri, agli spazi domestici ristretti, ma anche tanto amore paziente 😉
Grazie Alessandra, era un po’ di tempo che mi portavo dietro un foglietto con su scritte una manciata di parole, traduzione dell’impressione profonda alla vista di una donna che rideva rumorosamente…nell’atto di dire quello che avevo visto mi sono reso conto di una cosa che non avevo ben compreso: quella donna mi aveva fatto paura…
La realtà circostante offre innumerevoli spunti narrativi, basta saper guardare…
E poi, ovviamente, saper scrivere. Hai letto Amos Oz, per fare un esempio? Sono arrivata al capitolo dove parla di sua nonna (Una storia d’amore e di tenebra), che aveva una paura folle dei microbi e faceva delle cose pazzesche per proteggersi dal rischio del contagio (che era solo nella sua testa, non reale), tipo tre bagni bollenti al giorno e altre cose simili. Beh, lo scrittore ha reso tutta la vicenda con una tale efficacia narrativa che non si stenta a credere che l’abbia visto e impresso più volte nella memoria il comportamento atipico di questa nonna, anche se all’epoca era ancora un bambino molto piccolo…
Credo che lo stato emotivo di questi scrittori sia di continuo turbamento, di una tensione che alle volte deve diventare altro, una piccola follia che dà luogo ad un’altra piccola follia. La scrittura.
Bella definizione, concordo. Se il mare dentro è agitato, capita più spesso l’occasione di cavalcare l’onda migliore. L’importante è non lasciarsi sopraffare dai flutti.
Tommaso, direi che sei riuscito a trasmettere, almeno a me, la paura per quella donna e per tutto il contesto…
Alessandra, sei presa da un libro memorabile. Ne ricaverai- sono sicura- emozioni e conoscenze.
Grazie. Tanta paura. Il libro di Oz mi manca. Lo cercherò.
Ti rapisce fin dalla prima pagina… Descrizioni molto vivide, ricche di profumi e colori, impregnate di umanità e sottile ironia. Promette molto bene 🙂
Mi tocca!
Una prosa davvero bella, densa ed avvolgente, a volte ravvivata da una sottile ironia, che tra una rievocazione e l’altra propone anche interessanti e inaspettate riflessioni… Devo ringraziarti Renza, visto che eri stata proprio tu a suggerirmi la lettura di questo magnifico libro.
Tommaso, grazie per la disponibilità con cui accogli ulteriori spunti, scambi e confronti. Sei un perfetto padrone di casa.
In realtà assai approssimativo…diciamo che cerco di compensare con la mia naturale predisposizione all’ascolto…ma voi mi rendete la vita facile e questa casa piena di vita, anziché di fantasmi…
Alessandra, un libro di grande ricchezze. Sullo sfondo di quella lieve malinconia- guidata da uno sguardo lucido e razionale- che sempre accompagna la ricostruzione del proprio ( e altrui) passato, Oz ci narra di un mondo personale e collettivo, di una lunga storia che viene da lontano. Poi, le pagine su quel bambino che giocava da solo a ricostruire le grandi battaglie , e i lunghi momenti di silenzio e noia nel cortile. Queste ultime note solo per accentuare la curiosità di Tommaso- ospite gentile- sul tema dell’ infanzia che lo interessa sempre. ( Noia e solitudine che sembrano pericoli da fuggire e sono invece condizioni necessarie e fruttuose). Un saluto a entrambi.
Grazie Renza per la tua presentazione-lampo. È deciso, lo prendo. Batterò un colpo non appena avrò avuto modo di leggerlo.
Come sempre, Tommaso, devo prendermi il tempo di rileggere e rileggere i tuoi pezzi. Alla prima lettura, bellissimi, ma non basta.
Nel mentre ringrazio tutti dell’interessante dibattito su di un libro, e un autore, che non ho mai letto, non ancora.
Grazie, Ivana. E, unendomi a te, ribadisco l’interesse per un testo che pare importante.