Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Joe R. Lansdale, Freddo a luglio

“Ho la terribile sensazione che finirà molto male, piccolo”. Non le dissi che condividevo totalmente la sua sensazione. Mi sentivo come un soldatino meccanico indirizzato su una traiettoria che non poteva mutare. Non avevo altra scelta che andar avanti finché non mi scaricavo. Questo pensiero di essere guidato mi faceva pensare a Russel, al suo disagio esistenziale, alla sensazione di un buco in corpo attraverso il quale gli sfuggiva l’anima, senza sapere se sarebbe mai riuscito a riaverla indietro. Com’era accaduto? E sarebbe successo anche a me?

Joe R. Lansdale è noto per aver scritto romanzi avvincenti che si snodano attraverso vicende intricate, clamorosi colpi di scena, eventi che si susseguono tracciando percorsi che sembrano destinati ad avere un approdo necessario e che, d’un tratto, con improvvisi rimescolamenti di carte, gettano il lettore in sempre nuovi ed inquietanti percorsi. Già incontrato con La sottile linea scura (qui), Freddo a luglio di Lansdale si svolge in una tranquilla ed anonima cittadina del Texas. Nel pieno della notte, all’improvviso, un rumore. Richard Dane viene svegliato dalla moglie. Un rumore ancora attraversa l’appartamento e così Richard si alza dal letto per andare a prendere una vecchia pistola conservata in una scatola di scarpe nascosta nel guardaroba. Poi tutto accade in un istante, così velocemente che ogni resoconto, per quanto fedele, non può che apparire inadeguato. Richard sorprende un ladro in soggiorno. Vengono esplosi due colpi di pistola, uno a testa, e così la tranquilla vita di un piccolo artigiano, buon marito e padre responsabile, viene a trovarsi improvvisamente faccia a faccia con il male, obbligato a farci i conti.

Avanzai con la pistola spianata, quasi mi aspettassi che il ladro potesse scattare in piedi da un momento all’altro per aggredirmi. Non si mosse. Si limitò a starsene seduto, con un’aria molto serena e molto viva. Tranne che per l’occhio destro, che rovinava l’effetto realistico. Non c’era più. Al suo posto spiccava un buco nero e umido, dai cui bordi traboccava del sangue che scendeva in rivoli lungo le guance, come un fiume di lacrime scarlatte.

Poi tutto sembra procedere come da copione. Sopralluogo della polizia, famiglia sconvolta, deposizione e rassicurazioni. Legittima difesa, di questo indubbiamente si tratta. L’uomo rimasto ucciso nello scontro a fuoco si era introdotto in casa sua e, armato, aveva sparato, mentre Richard si era limitato a rispondere, a difendere se stesso, la sua proprietà e la sua famiglia. Il caso è chiuso con un onesto padre di famiglia incolume ed un avanzo di galera recidivo cui, in fondo, era stato fatto un favore, perché uccidendolo gli si risparmiava di continuare a vivere una vita forse non degna d’esser vissuta. Sembra tutto riportato all’ordine. Al più, come fastidiosi residui, rimangono un senso di disagio e di spaesamento legati al fatto di aver ucciso un altro uomo. Richard Dane torna subito a lavoro, alle sue cornici, al suo negozio – desideroso di riprendere la vita di sempre, fatta delle cose di ogni giorno, di operosità e buoni affari. Cerca di tornare alla normalità e fa di tutto affinché la notizia di quanto accaduto non trapeli. Lo fa anche se è in Texas, lì dove uccidere un uomo che si è infilato nella tua proprietà non è di certo qualcosa di disdicevole, anzi…

E però la notizia inizia a circolare e qualcosa accade. Il padre dell’uomo rimasto ucciso durante la rapina, un personaggio dal passato turbolento e da poco uscito di galera, viene a sapere dell’accaduto e vuole vendicarsi. Vuole uccidere Richard e, soprattutto, vuole ucciderne il figlio così da fargli patire la stessa perdita che lui ha dovuto subire. Senza svelare ulteriori dettagli di un romanzo che poggia tutto sulla trama e le sue innumerevoli sorprese, si può dire che quest’opera affronta molti temi, quali quelli del rapporto padre-figlio, dell’onore, della ricerca della verità e, come traccia sotterranea, il problema della violenza e della sua forza inestirpabile, del suo annidarsi nel cuore di ognuno di noi, sempre pronta a risvegliarsi e volgere il pungiglione mortale all’esterno, così come all’interno. Il male è l’abisso che attira lo sguardo, che chiama. Il male è ciò a cui può accadere di dover volge lo sguardo con tale e tanta intensità da sentirsene guardati, subendo in un rovesciamento che dà i brividi, che fa sentire freddo persino a luglio, nel bel mezzo di una torrida estate in Texas.

Indipendentemente dalla vicenda, Freddo a luglio mostra in maniera esemplare la contraddizione che inevitabilmente si cela in tutto quello che sembra in perfetto ordine. È un monito, una sorta di regola aurea per chiunque non voglia rischiare di rimanere inesorabilmente chiuso all’interno della caverna, schiacciato sulla superficie delle cose: è quando tutto pare in ordine, è proprio quando tutto pare compiuto – e dunque spiegato – che è necessario aguzzare lo sguardo. La volontà di soffermarsi su ciò che appare compiuto è la chiave di volta di un’opera dove tutto, improvvisamente ed inaspettatamente, crolla come un castello di carte. E questo perché vi sarà sempre un dettaglio, un tassello, qualcosa che è al posto sbagliato o, ancora, al posto giusto. Perché quello che non sta al posto giusto, in quest’ottica, è ciò che permette di ribaltare il piano del discorso ed affermare che ciò che è fuori-posto è, in realtà, l’unica cosa al posto giusto, obbligando a ripensare tutto e a riprendere da zero.

È questa disponibilità a guardare al dettaglio che stona, senza ridurlo a mera e momentanea interferenza, che permette di far emergere quello che puzza in vicende che paiono idilliache, oppure che lascia intravvedere una via di fuga lì dove sembra finita. Questa disponibilità deve però essere sempre disponibilità a non voltarsi dall’altra parte rispetto a ciò che puzza in noi.

“Alla larga dalle ombre” proclamai ad alta voce, e poi, mentre varcavo la porta d’ingresso, ripetei quella frase come se fosse un incantesimo contro il male. “Alla larga dalle ombre”.

5 commenti su “Joe R. Lansdale, Freddo a luglio

  1. Guido Sperandio
    aprile 25, 2018

    Mi viene in mente (sarà il titolo?) «A sangue freddo» di Truman Capote. Non tanto per il caso trattato, quanto per l’analisi di protagonisti e scenari relativi, e dettagli. Mi viene da dire che c’è tutto un modo “americano” di raccontare e vedere, sanguigno, immediato e vivo.

    • tommasoaramaico
      aprile 25, 2018

      È vero, benché diversi, li accomuna un bagliore. Sono testi in cui vita e morte si legano indissolubilmente. E il lettore ne rimane inevitabilmente scosso.

  2. Ivana Daccò
    aprile 26, 2018

    Confesso che non amo Lansdale. Ho letto La sottile linea scura, l’ho apprezzato, non l’ho amato, e ho escluso l’autore dei miei interessi. Talvolta lo ripenso, valuto se riaccoglierlo tra le possibilità. Ora ci ripenso..

    • tommasoaramaico
      aprile 27, 2018

      Concordo. Neppure io amo particolarmente Lansdale. Le sue opere sono troppo “strutturate”, o a schema fisso. Ogni tanto però è una piacevole lettura, magari di passaggio fra testi che richiedono maggior impegno.

  3. Pingback: Joe R. Lansdale, L’anno dell’uragano | Tommaso Aramaico

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Questa voce è stata pubblicata il aprile 25, 2018 da con tag , , , .

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