Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Da tempo immemorabile, le feste dell’albero di Natale erano organizzate dagli Sventickij in questo modo: alle dieci, quando i bambini se ne andavano, si accendeva un secondo albero, per i giovani e gli adulti, e la festa durava fino al mattino. Per tutta la notte, i più anziani giocavano a carte nel salotto pompeiano, una prosecuzione della sala, da cui era diviso da un pesante, fitto tendaggio sospeso a grossi anelli di bronzo. All’alba aveva luogo la cena, con tutti quanti.
Fra le diverse versioni del Natale che ho passato in rassegna – da Pirandello a Cechov, passando per Collodi, Tolstoj, Rodari ed altri ancora (sono qui) – questa è certamente la più diversa. Del Natale pare non aver nulla, se non il tempo in cui la vicenda viene raccontata. Quello che si svolge nella casa degli Sventickij è un capitolo tratto dal celebre Il dottor Živago di Borìs Pasternàk.
Nel turbine di personaggi ed eventi della Russia del primo Novecento, alcuni destini, apparentemente destinati a svanire nel grande calderone della Storia, vengono ad incrociarsi dando vita ad una vicenda straordinaria. Una vicenda epica, ma che gli stessi protagonisti neppure sospettano – perché ignari del prima e del dopo e, dunque, anche del presente. Sono quattro giovani, diversissimi fra loro, due ragazzi e due ragazze che il caso – o forse il destino? – ha voluto mettere insieme. Meglio, sono due coppie di giovani che paiono destinate al matrimonio, ma che – forse per un disegno provvidenziale – dovranno riconoscere la forza di leggi superiori ed irresistibili. Da un lato il giovane Jurij Andrèevic Živago, iscritto all’università di medicina, ma fatalmente attratto dall’arte, che sente una vicinanza sempre più grande con Tonja – destinata ad essere sua sposa; dall’altro la giovane, inquieta, bellissima ed infelice Lara, che vede nel matrimonio con il giovane Pavel Pàvlovič l’unica possibilità di scampare ad una altrimenti certa rovina.
Il Natale è il momento in cui i destini di questibgiovani uomini e donne si incrociano e poi ancora si rovesciano ed annodano indissolubilmente. Anna Ivànovna, la madre di Tonja, è gravemente ammalata. È terrorizzata all’idea di dover morire e per questo si rivolge al giovane Jura che, benché sia ancora solo uno studente, è il solo a poterle dare conforto. La donna non vuole sapere del proprio stato di salute nel corpo, ma parlare del destino dell’anima. Cosi le risponde il giovane Živago.
E, ora, state bene attenta. L’uomo negli altri, ecco che cos’è l’anima dell’uomo. Ecco che cosa siete voi, ecco di che cosa ha respirato, si è nutrita, si è abbeverata per tutta la vita la vostra coscienza. Della vostra anima, della vostra immortalità, della vostra vita negli altri. E allora? Negli altri siete vissuta, negli altri resterete. Che differenza fa per voi se ciò si chiamerà memoria? Sarete ancora voi, entrata a far parte del futuro.
Non da medico risponde quindi Jura, ma da filosofo, teologo, da artista. Ma alla donna non basta, a lei serve un’altra garanzia, l’unica che forse potrebbe farle sopportare una morte che sente imminente.
Anna Ivànovna fu assalita da un nuovo accesso di tosse, così lungo questa volta, che non le dava modo di riprendere il respiro…Jura e Tonja accorsero insieme verso di lei e si misero spalla a spalla accanto al suo letto. Continuando a tossire, Anna Ivànovna afferrò loro le mani che si toccavano e le tenne per un certo tempo unite. Poi, riacquistati la voce e il respiro, disse: “Se muoio, non separatevi. Ecco, vi ho fidanzati”, soggiunse e si mise a piangere.
Nello stesso momento, non molto lontano, si consumano le giornate inquiete di Lara. Senza padre, con una madre incapace di difendersi (e difenderla) dagli uomini, un fratello cadetto che le chiede in prestito del denaro dopo una grossa perdita di gioco: Lara lavora, sta per concludere con successo gli studi ginnasiali e al tempo stesso tenta di sottrarsi – diversamente dall’ingenua madre – alle pressioni di uomini che la vedono bella ed affascinante, già donna, ma debole della debolezza della giovinetta che non ha nessuno che possa veramente difenderla. Desiderosa e al tempo stesso angosciata dalle attenzioni altrui, Lara vive in un estremo stato di tensione. Spesso tetra, non manca tuttavia di partecipare ai divertimenti che le offre la società, incapace di risolvere le contraddizioni in cui si dibatte.
La vita le era venuta a noia. Le pareva d’impazzire: avrebbe voluto gettare a mare tutto quello che aveva provato e conosciuto per intraprendere qualcosa di nuovo. In questo stato d’animo, nel Natale dell’11, prese una decisione fatale….”Senti, Patulja”, disse Lara, “Sono in difficoltà. Devi aiutarmi a uscirne fuori. Non spaventarti e non interrogarmi, ma renditi conto che noi non siamo come tutti gli altri. E non sentirti tanto sicuro. Io sono sempre in pericolo. Se mi vuoi bene e vuoi salvarmi dalla rovina, non dobbiamo più rimandare, dobbiamo sposarci subito”.
Ancora un dettaglio, su questa drammatica scena: “La stanza si riempì di una luce morbida. Sul vetro gelato della finestra, all’altezza della candela, cominciò a sciogliersi un piccolo occhio nero“.
Due matrimoni vengono sanciti, promessi o, ancora, implorati. Uno a partire da una donna morente, l’altro da una giovane che ha timore di perdersi. Ma, come detto, oltre alle volontà individuali agiscono forze più alte, generali e potenti, forze che muovono i singoli e che dispongono fatti, singoli eventi/tasselli che paiono insignificanti se presi individualmente, ma che formano un disegno preciso, se guardati nella loro unità ed interezza. È qualcosa come un puzzle. Un tassello preso e guardato in sé non è nulla, solo macchie, linee, colori. Ma questo stesso tassello, se viene collocato entro la cornice del puzzle, troverà il suo senso grazie al disegno generale. Niente altro che la parte che può avere senso solo all’interno del tutto.
Quando nel 1957 Il dottor Živago venne pubblicato, venne sollevato un gran polverone. Fra i tanti motivi di discussione, c’è il fatto che questo romanzo è costellato di innumerevoli coincidenze, colpi di scena, personaggi che scompaiono ed appaiono in modo che parrebbe non credibile, o incredibile (nelle diverse accezioni del termine). Discussione oziosa, come sempre in questi casi. I colpi di scena in quest’opera hanno un senso, veicolano senso e, al tempo stesso, coinvolgono il lettore. Ma attenzione, questa non è caratteristica propria solo della letteratura più classica o tradizionale, ma anche di quella più ardita e sperimentale, di quella che parrebbe avulsa o al riparo da ogni forma di complicità con il lettore. Si pensi ai romanzi di Pynchon, Gaddis o anche di Wallace, Gadda e Manganelli, ma senza dimenticare il Beckett di Molone muore o de L’innominabile o Joyce. Si parla di quel genere di opere come di opere respingenti, che prosciugherebbero il piacere della lettura perché chiedono molta fatica e grandi sforzi senza però promettere ricompensa alcuna. Ma chi ha letto veramente queste opere conosce benissimo il piacere che offrono, nonché quanto possano essere avvincenti, piene di colpi di scena, coincidenze sorprendenti e incredibili (nel senso di non-credibili e di strabilianti), o ancora di dettagli elevati a vere e proprie architravi – basti pensare alla palla da baseball che torna e ritorna in Underworld di DeLillo. In questi romanzi, al contrario, i colpi scena sono spesso persino più clamorosi, le coincidenze spesso bizzarre e del tutto inverosimili – ma in fondo assolvono alla stessa funzione delle accelerazioni improvvise cui si assiste ne Il conte di Montecristo di Dumas. La principale differenza sta nel fatto che in queste opere il lettore non è semplice spettatore, ma è artefice di questi innumerevoli colpi di scena, e lo è in quanto parte in causa, in quanto è lui, attraverso una lettura minuziosa ed attenta, a renderli possibili. Fra i protagonisti si muovono l’istinto del lettore, l’uso che fa della ragione e delle passioni. Diventa lui stesso il detective, il poliziotto, il mascalzone o il perdigiorno che si perde nei meandri di storie viscose e che si sporca mani e pensieri, impegnato com’è nel tentativo di acciuffare un senso che sempre vuol fuggire.
Il senso di questa breve digressione dovrebbe essere chiarita dal seguente passo. Jura e Tonja sono in carrozza, diretti alla casa degli Sventickij. Si guardano appena, ma fra loro sta prendendo forma la consapevolezza di una unione indissolubile, già scritta. Ma al di là delle loro volontà ed intenzioni qualcosa opera.
Passarono per il Kamergerskij. Jura osservò un nero occhio formatosi nella crosta di ghiaccio di una finestra. Attraverso quell’occhio filtrava la luce di una candela che giungeva fino in istrada, quasi consapevole del proprio sguardo, come se spiasse loro che passavano e attendesse qualcuno.
Quell’occhio nero disegnato nel ghiaccio è, vago ma denso di futuro, il punto di contatto fra Jura e Lara, anticipatore del loro imminente incontro alla cena in casa degli Sventickij. Dal gelo delle strade buie si passa dunque allo sfarzo, al tepore e al buonumore della casa in cui si erge un magnifico albero di Natale. Ma ad un certo punto uno sparo interrompe bruscamente la festa. Sarà Lara a sparare. Inutile spiegare in questo contesto l’obiettivo del colpo di pistola, basti sapere che è il gesto disperato di una giovane donna che sente di essere in trappola. Prima il silenzio, poi la confusione. Jura interviene per visitare il procuratore, che era stato ferito solo di striscio e infine si volge verso Lara: “Com’è fieramente bella!“, pensa. Vorrebbe avvicinarsi, ma Tonja sta già accorrendo verso di lui, nel panico, perché era appena giunta notizia di un nuova, terribile crisi che aveva colpito Anna Ivànovna.
Teatro di slanci e svolte, propositi e ripensamenti, questo Natale è fatto dei molteplici tentativi di costruire un senso, di dar corpo a quell’anima e a quella trascendenza di cui parlava Jura…è fatto di tentativi che possono riuscire, prima e al di là di ogni consapevolezza, solo al termine di una incessante ricerca del riconoscimento dell’altro…riconoscimento da intendere nel duplice senso che si porta dentro: come riconoscimento del tu da parte dell’io e dell’io da parte del tu.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Quanti modi di vivere e raccontare il Natale! A conferma, in ogni caso, che è una parte di noi, credenti o meno, e imprescindibile nonostante la globalizzazione e il suo mischiare e fagocitare.
Esatto, più che un periodo dell’anno o festa religiosa è una categoria dello spirito.
apprezzo molto questo tuo racconto del natale e, soprattutto, l’immersione affilata come una spada nel cuore di un romanzo-mito. approfitto per augurarti serenità e armonia con le persone che hai intorno, in quanto – almeno per me – credo questo sia un buon modo di vivere il natale, indipendentemente da credo o convinzioni…
La penso proprio come te. Al di là di ogni credenza – come dicevo a Guido – il Natale è categoria dello spirito. Si pone al di là del recinto della fede, confina con il mito e, per questo, è universale. Grazie. Lieto e sereno Natale a te.
Questa rassegna letterario-natalizia che si ripete ogni anno è semplicemente deliziosa. Il post mi ha intrigata molto, dovrò per forza leggere il romanzo. Serene Feste.
Grazie. Questo romanzo è una vera e propria epopea. Non ho mai trovato il coraggio per scriverne – non saprei proprio da dove iniziare – però è da leggere. Serene feste a te.
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