Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
La cosa funziona più o meno così: si parte dal bisogno di tenere sotto controllo le cose che ci circondano. E magari in certi casi ci si riesce pure, ma poi si inizia inevitabilmente a generalizzare e, dunque, ad applicare la strategia che pare aver funzionato una volta, e per una situazione specifica, a tutte le difficoltà che si incontrano. Lo si fa perché si nutre l’intima convinzione di poter mantenere, grazie a quella strategia, il controllo di ogni altra situazione, quale che sia. Può capitare, a lungo andare, che esca fuori dal nostro controllo la volontà stessa di tenere la situazione sotto controllo. In questo modo iniziano i guai…
Manlio Catena ha settant’anni spaccati e tutte le sere, anche se già da sei è in pensione, non può fare a meno di puntare la sveglia alle 05.40 del mattino successivo. Per quasi quarant’anni si era alzato a quell’ora e non gli era mai capitato nulla di nefasto, così aveva pensato che non c’era proprio nulla di male se avesse continuato con quell’abitudine che, fra le altre cose, non lo aveva mai infastidito. Manlio aveva impostato immancabilmente la sveglia a quel modo anche per la domenica, il giorno di Natale e il primo dell’anno – dove sarebbe il problema? Adesso sono le 04.55 e lui è già sveglio. Sta controllando che la sua sveglia funzioni correttamente. Non può assolutamente permettersi che, per qualche motivo, non suoni la sua antica melodia fatta di tre bip ravvicinati, pausa, due bip ravvicinati, pausa, e ancora tre bip, ma con dei brevi stacchi fra l’uno e l’altro, per poi riprendere la melodia da capo. Passa tre quarti d’ora nel vano tentativo di distinguere qualcosa nell’oscurità della stanza. Accende la luce quando finalmente la sveglia suona. Guarda appena la moglie, giusto per sincerarsi che respiri ancora. Infila i piedi nelle vecchie pantofole e va in cucina. Prepara il suo solito caffè annacquato e riscalda un po’ di latte a lunga conservazione nel bricco annerito da migliaia di brucianti incontri con il fuoco. In sottofondo le notizie vengono sussurrate dalla radiolina che accompagna i suoi risvegli da prima che nascessero i figli. Immerge nel latte, una dopo l’altra, quattro fette biscottate, poi si alza e lava tutto. Spegne la radiolina e la luce della cucina e porta il caffè alla moglie. Lascia la tazzina sul comodino. La guarda un attimo. Sì, respira. Va in bagno. Si rade e si cambia, in camera. La scuote fino a svegliarla – Vero che non sto morendo? Wanda fa cenno di no e si volta dall’altra parte. La scuote ancora – Bevi il caffè. Lei si tira su a sedere, vuota la tazzina e si stende nuovamente. La scuote ancora – Ho di nuovo dolore al fianco. Wanda è sveglia, Manlio lo sa, ma non gli risponde neppure. È la stessa scena che più o meno da trent’anni si ripete tutte le mattine. Siede dalla sua parte, apre il primo cassetto e si misura la pressione e il battito cardiaco. Prende carta, penna e calcolatrice, inforca gli occhiali e fa qualche calcolo per fare il punto su tutta una serie di investimenti che da anni, giorno dopo giorno, confermano la loro timida, ma costante fruttuosità. Manlio non ha nessuna intenzione di morire, ma se proprio dovesse accadere, allora Wanda avrebbe una buona rendita e i figli, fra casa e risparmi, potrebbero contare su una discreta eredità. Manlio ha fatto di tutto per i soldi, perfino vivere come se non ne avesse mai avuti.
Si misura nuovamente la frequenza del battito del cuore. Applica la molletta alla punta dell’indice. Adesso pare accelerato. Riprova, tutto bene. Prova ancora e quasi si spaventa. Si sta fermando? Purtroppo si concentra troppo sul proprio respiro nel tentativo di calmarsi e immancabilmente va in apnea. Scuote ancora Wanda, che si gira dall’altra parte, senza uno sguardo, una parola. La odia – Ti odio, sussurra. Lei deve averlo sentito, perché la sente digrignare i denti. Vuole solo ed unicamente una parola e quella parole è un sonoro – No. Non vuole sentire cose del tipo “Non sono un medico”, oppure “Vai dal dottore e fatti prescrivere delle gocce così ti dai una calmata” o chissà che altro. Risposta secca a domanda secca – Sto per morire come un cane? La risposta è – No. Fine. Ma Wanda non lo vuole aiutare. Accende la televisione e chiude gli occhi. È già sfinito. Proprio nel momento in cui sta per addormentarsi apre gli occhi di scatto, impaurito, perché sente mancargli il respiro. Si alza. La giornata deve iniziare e già ne sente tutto il peso, che poi è quello della ripetizione necessaria. Dovrebbe uscire ed andare dal medico per farsi dire una volta e per tutte che non ha nulla. E a cosa penserebbe dopo? Come potrebbe occupare le ore di cui sono fatti i giorni? Dovrebbe andare al mercato, comprare la frutta e darne un po’ a quell’africano che spazza via dal marciapiede cartacce, terra e mozziconi di sigarette e che ripete semplicemente che i suoi bambini hanno fame. E poi? Avranno nuovamente fame. Dovrebbe andare a suonare a casa del suo primogenito, ma non per dirgli qualcosa in particolare, ma solo perché sono quasi due anni che non parlano e lui non ricorda più nemmeno il perché. Dovrebbe suonare e farsi trovare davanti alla soglia della sua casa, nella speranza che lo lasci entrare, così da poter posare gli occhi sul nipote. E perché poi? Per iniziare il conto alla rovescia che lo porterà all’ennesimo errore ed all’ennesima lite e fuga? Dovrebbe, ma non si alza. È Wanda, invece, ad alzarsi. Negli anni si è appesantita ed inasprita nel carattere. Fai un caffè, le dice. Ma è solo una scusa, quella del caffè, perché subito le chiede se i figli passeranno a casa. Wanda si blocca e si volta. Lo guarda e fra i suoi lineamenti, in filigrana, sta scritto di No. E la torta?, chiede lamentoso. E da quando vuoi la torta? Manlio non ha una risposta pronta, però che cazzo (Manlio non dice mai volgarità e solo molto raramente si permette di pensarne), oggi compie settant’anni, potrebbe morire da un giorno all’altro e si sente particolarmente agitato e così gli piacerebbe mangiare una fetta di torta e offrirne una fetta ai figli e, su tutti, al nipote. Manlio guarda alla televisione, sintonizzata sul canale per mocciosi che vedeva sempre il nipote. Sono quattro mesi che non ne sente la voce, che non cade sotto i suoi occhi lacrimosi di vecchio. E quell’ultima volta l’aveva visto solo per sbaglio, solo perché, in via assolutamente straordinaria, era tornato a casa alle cinque e mezza invece che alle sette. Aveva fatto di tutto per non tornare, ma aveva iniziato a sbarellare di brutto, per strada, e non aveva potuto farne a meno. E così adesso non può fare a meno di applicare un’altra volta la molletta alla punta dell’indice per misurare il battito del cuore. Wanda gli dice di smetterla. Chiama i tuoi figli, dice. Se li vuole a casa deve chiamarli e se vuole la torta gli conviene vestirsi e andare a prendersela da solo, perché lei non farà nulla al posto suo. Dopo la breve sfuriata lo lascia lì da solo. Manlio tira su le coperte fino al mento e chiude gli occhi. Non è cosa…
Liberamente ispirato dalla lettura di Psicotrappole di Giorgio Nardone, Ponte alle grazie.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
E caro Tommaso, sto riflettendo sull’amaro destino di partire a vent’anni preda di furori amorosi per una qualche fascinosa pollastrella ma che, questione, di tempo, ti ritrovi grassa, astiosa, indifferente anzi perfida nemica e brutta con ancora i bigodini a giornata inoltrata.
SIGH!
Mi viene in mente una banale canzonetta di anni fa: «primavera la espera, verano la mano, otoño un retoño, el invierno un infierno, eso es el amor» 🙂
Se è vero che la letteratura è vita, il tuo racconto non poteva non produrmi il suo effetto.
.
Chiaramente l’eventuale lettrice avrà i suoi punti di vista specularmente opposti.
Esa es la vida.
Guido, bigodini o no, io parteggio per la moglie… poverina, da trent’anni si sorbisce tutte le mattine il rituale ossessivo del marito. Eh dai! 😉 😀
Naturale (e ampiamente prevista) la reazione del SUSF, Sindacato Universale Solidarietà Femminile, ente sovrannazionale che pur privo di riconoscimento giuridico, esiste di fatto ed è attivamente operante.
Il marito… e per forza, a condividere ogni notte che fa dio, con un essere che dal tacco 12 degrada giorno dopo giorno a ciabattona, per forza non può finire che in delirio e paranoie.
(Ti aspettavo al varco, Alessandro, e sogghigno… Non riesco a trovare l’emoticon che renda!)
*opps! AlessandrA
Ahi, chissà cosa si cela dietro quel lapsus calami! Se dobbiamo dare retta a Freud, la vocale scambiata non è solo frutto di una disattenzione 😉 Mon Dieu, tu es terrible! Devo stare all’occhio 😀 😉 (perdonaci Tommaso!! … siamo i soliti birbanti!)
Qualcuno parlerebbe di determinismo psichico, mia cara Alessandra, quindi qualcosa bolle in pentola. Non so cosa, ma qualcosa c’è!!!!
Davanti all’evidenza, AlessandrAAAA (A!), non ti resta che aggrapparti al cavillo: lapsus calami, Freud ecc. ecc.
Mentre Tommaso (se ho ben capito) salomonicamente vede intrappolati sia il marito paranoico che la moglie ciabattona.
Ipotesi che nel nostro volare di stracci, mi sa che alla fine sia quella vera. SIGH! Non c’è scampo
Sintesi perfetta!
E infatti…chissà se lei, però, sorniona (magari inconsapevolmente), non abbia alimentato questa trappola per poter meglio alimentare la propria…
Se di trappole si parla, trappola ha da essere – e lo è!!!
Interessante il tema delle psicotrappole, che poi è facile cascarci senza accorgersene, chi più chi meno, chi in un senso chi nell’altro. Anni fa ero stata attratta da un titolo di Nardone, Cavalcare la tigre, ma poi ho desistito… Forse mi avrebbe fatto bene. Bello il tuo racconto, che fa proprio l’esempio di come le sofferenze ce le costruiamo spesso da soli.
Problema reale. L’approccio di Nardone in realtà non mi è congeniale. Interessanti le analisi, meno l’approccio. Tuttavia, alcune cose di cui sono stato spettatore ben si adattavano alla sua impostazione e, come ben sai, fa.cosa nasce cosa…
Ma volete mettere, tra vecchi coniugi, ognuno che guarda l’altro e lo vede divenuto ciabattone, ipocondriaco (dovendo ammettere che, con la vecchiaia, un po’ di ipocondria ci sta, e quando è troppa, beh, a qualcosa servirà pure), se non ci fosse questo gioco delle parti, e la soddisfazione, che ognuno lascia al’altro, di ricoprire il ruolo sia del persecutore sia del perseguitato, volete mettere la noia! Tutto il resto, insieme, è già stato dato, fatto, consunto, trascorso. Resta una grande grandissima abiità nel gioco a due, va bene anche nella follia a due.
Non sono ben sicura che sia il caso, davvero, di uscire dalle psicotrappole che abbiamo costruito con tanto impegno e passione. Se l’abbiamo fatto, un motivo ci sarà pure.stato.
Da un’entusiasta – molto tempo è passato – di Watzlawick e compagni.
È vero, costruire di queste trappole significa faticare molto e, spesso, per tutta una vita. Bisogna capire se quei motivi di fondo sono mortiferi o fecondi.