Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Qualche giorno fa, dopo tempo, mi è capitato di entrare in libreria e di passarci un po’ di tempo. Scorrazzando qua e là mi sono imposto di sfogliare solo libri di autori noti e che non ho mai avuto modo di leggere prima. Fra gli innumerevoli romanzi di cui molto si parla e di cui ho letto, su giornali ed in rete, recensioni piene di entusiasmo, mi sono concentrato su uno che, a quanto pare, ha venduto un bel po’ di copie. Lo apro alla prima pagina e leggo qualche rigo, poi vado più o meno a metà e poi, ancora, verso la fine. In tutto conto una decina di “come se”. Lo sfoglio ancora e di questi “come se” ne trovo degli altri. Si avvicendano diversi personaggi: una donna che vive “come se” ogni giorno dovesse essere l’ultimo; un uomo che addenta un panino “come (se)” fosse un animale selvaggio che azzanna una preda appena catturata. C’è anche un cielo che in una pagina è grigio “come se” dovesse preparare un clamoroso pianto alla vista di quello che stava accadendo ad un bambino che stava assistendo alla morte dell’adorata nonnina; e, dopo una cinquantina di pagine, quello stesso cielo scintilla “come se” dovesse mostrare al mondo intero lo splendore degli occhi di una adolescente innamorata. Era, pensavo, “come se” quello scrittore non potesse vivere senza “come se”…
Ho riposto il libro in questione in cima alla pila dei più acquistati del mese e ne ho preso un altro, ma non a casaccio, bensì con le stesse caratteristiche di quello di prima: un equivalente in termini di nomea, editore, vendite e recensioni. Alla prima pagina trovo due “come se” in relazione ad un uomo che si osserva allo specchio, al mattino presto, mentre si prepara per andare in ufficio – questa volta ad essere evocate sono la guerra e la sorte di un carcerato. Chiudo immediatamente il libro perché non mi piace “stare addosso” ad un romanzo che non ha le caratteristiche che secondo me dovrebbe avere un buon romanzo. Tuttavia, uscendo dalla libreria ho tentato fra me e me di tematizzare questa storia dei “come se”, strumento verso cui, nel tempo (e cioè invecchiando) nutro sempre maggiori riserve, se non una certa (irrazionale) ostilità. Non che debba esser bandito da ogni romanzo che aspiri essere un buon romanzo, però mi piacerebbe stabilire, anche se è purtroppo impossibile quantificare, a che livello collocare (credibilmente) la soglia di tolleranza rispetto ai “come se”. O, per dirla in modo brutale: dopo quanti “come se” è legittimo asserire che un romanzo è come se fosse altro e non un più romanzo?
Parto dal presupposto (ovvio) che ogni buon romanzo deve essere preciso – dove per preciso non si deve intendere semplice/piano/scorrevole, bensì rigoroso. Ad occhio e croce ogni “come se” dovrebbe essere utilizzato solo come estrema ratio e sempre per specificare qualcosa che non si riuscirebbe a spiegare/presentare altrimenti in modo preciso, chiaro e distinto. Spesso accade il contrario, e così lo scrittore di turno caccia in situazioni complicate il lettore che, in tal modo, si ritrova alle prese con qualcosa di non chiaro che segue ed accompagna qualcosa di altrettanto se non più impreciso e fumoso. In questo senso il “come se” diventa un contenitore vuoto in cui pescare solo astrazioni che, di pagina in pagina, mettono il cappio alla narrazione stessa, soffocandola. Insomma, se leggo che A nel fare B è felice solo perché B è come se fosse C, dove per C dobbiamo intendere qualcosa che non aggiunge niente ad A (in termini di comprensione della questione), beh, allora tutto diventa assai complicato. In questo senso il “come se” non funziona, e non può funzionare perché si cerca di evocare qualcosa per mezzo di un’altra evocazione. È come affidarsi ad una eco prescindendo da una voce reale – e così in un post contro i “come se” ne ho utilizzato uno in modo sfrontato. Non apertura, ma vaghezza. Non è un caso che la tentazione di un uso massiccio del “come se” sia quasi irresistibile per gli scrittori, come dire, acerbi; così come di “come se” sono piene le pagine dei diari e tutte quelle poesie che, forse, proprio poesie non sono. Nella maggior parte dei casi il proliferare di “come se” rimanda a qualcosa di non adeguatamente meditato, ossia non precisato, chiarificato, maturato e ben definito.
E così nell’abuso del “come se” si corre il rischio che il lettore, nel trovarsi per l’ennesima volta di fronte al questa sorta di tic, al dire una cosa per mezzo di altro, venga scosso dal (ragionevole) dubbio che tutto, nell’opera che si trova davanti, proceda un po’ alla cieca: come se, come se, come se invece del romanzo di uno scrittore abbia fra le mani lo sfogo di un dilettante, e niente più. Ma insomma, nella vita c’è di peggio ed è meglio – anche per me – non perdere troppo tempo sulla faccenda del “come se”. In questo senso, però, un passo della corrosiva satira di Jerome potrebbe istruttivo tanto per rafforzare il talento di uno scrittore, quanto per affinare la capacità di giudizio del lettore.
Accesi la pipa e aspettai il sole. Il cielo di fronte a me era tinto d’un pallido rosa che di momento in momento si cambiava in un rosso più carico […]. Io la fissai a lungo, ma il sole si guardò bene dall’apparire. Ricaricai la pipa, e scribacchiai qualche riga, paragonando le nuvole vaganti a spose che arrossiscono all’appressarsi dello sposo. Tutto sarebbe andato benissimo, se dopo un poco le nuvole non avessero cominciato a diventar verdi. Non mi pareva un colore indicato per una sposa. Più tardi diventarono gialle, e questo guastò irrimediabilmente la similitudine. Non ci si può sentire sentimentali nei riguardi di una sposa che all’appressarsi dello sposo diventa prima verde e poi gialla: si può al massimo provare compassione per lei.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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Mi è piaciuta tanto questa tua riflessione! E hai ragione, caspita! Non so quali romanzi tu abbia sfogliato, ma, ripensandoci alla luce della tua osservazione, è un utilizzo abbastanza diffuso… Ora mi metto a leggere con piglio inquisitorio, come se fossi Bernardino Gui…. (p.s. Eco non mi pare utilizzi molto questo artificio…. ;))
Attenta, il mio è da tempo un vizio. Molti, sbagliando, ritengono Eco un accademico che si è divertito a scrivere qualche romanzo. Credo sia falso. Eco aveva uno stile e una precisa idea di cosa fosse letteratura: corpo a corpo con il linguaggio e le sue asperità.
Oh, come concordo!!!!!
L’odiato “come se”.
Ma, pazienza, il becero che lo usa allo spasimo, il bello è che leggendo le recensioni anche di conclamati critici (me ne viene in mente uno che impazza sul Corsera), trovo citati come esempi di fulgida scrittura dell’autore recensito, proprio i “come se…” del caso. Estrapolati, tra virgolette, e incensati.
Lo devo ammettere: è una delle cose che mi porta ad abbandonare un libro e a rigettare un autore in toto. È un procedere riduttivo e dogmatico, ma Non posso farci niente. Con un misto di senso di colpa e timore di essere colpito da un fulmine, ricordo ancora come, molto tempo fa, osai addirittura sottolineare a matita tutti passi dei Miserabili di Hugo che andavano a insozzare un’opera altrimenti sublime. Ma lì si parla di geni assoluti che possono permettersi pure delle pagine pompose ed indigeste, mentre qui si parla di una sorta di vizio, di una frenesia non solo senza argini, ma addirittura incoraggiata.
Già.
Incoraggiata!
So di farti del male, ma il tuo post è scritto come se esistesse ancora una letteratura mainstream degna di questo nome.
Lo so, c’è una protesta di sottofondo che ha in sé qualcosa di nostalgico, nonché qualcosa del bambino che pesta i piedi a terra. Osservazione sottile. Grazie per il commento.
Uhm. Adesso andrò a controllare i libri che non ho ancora pubblicato e provvederò a macellare i “come se”, ammesso che li usi. Per quelli già scritti, ho paura a farne ricerca. Ci penserò per un’eventuale seconda edizione, nel caso che un editore pazzo decidesse di pubblicarla.
Visto? È come se questo post potesse influenzare il lettore. Grazie per il commento!