Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Perché, cara figliola – risposi – [questa casa] è la meno dissimile dalla casa che volevo, fra tutte quelle che ho visitate. Quando si è giovani si decide di cercar d’ottenere quello che si desidera; quando si arriva all’età della discrezione si risolve di cercar di desiderare quel che si può ottenere. Si risparmia tempo.
Conosciuto principalmente per il celebre Tre uomini in barca, Jerome è uno dei più grandi umoristi inglesi e Loro ed io, opera meno nota ed ingiustamente considerata minore, ne è uno splendido esempio. Più che un romanzo vero e proprio questa è una sorta di costellazione fatta di scene, brillanti dialoghi, brevi racconti sostenuti da una morale di fondo (spesso contraddittoria e decisamente in conflitto col senso comune) in cui il lettore è invitato a passare da una vicenda esilarante all’altra, mentre Jerome si diverte a mette all’angolo l’uomo comune con i suoi piccoli desideri, le sue ridicole pretese e sciocche lamentele. In questo caso per Io, dobbiamo intendere Jerome stesso, mentre per Loro, dobbiamo intendere i suoi tre figli: Dick, quello più grande e che non sa decidersi a diventare uomo; Robina, la figlia che, al contrario, vuol saltare ogni tappa e proporsi già come donna; e, infine, Veronica, nove anni, ribelle e refrattaria ad ogni regola e restrizione, quella che, in qualche modo, sembra incarnare l’immagine dello scrittore da bambino. Alla base di tutta la vicenda un evento importante, certamente, ma in ogni caso comune, e cioè un cambio di casa. E così Jerome, senza troppi convenevoli ci invita ad entrare nella casa di campagna che ha appena acquistato e che, con enorme fatica, sta facendo visitare ai tre figli.
– Non è una casa grande, – dissi. – Noi non abbiamo bisogno di una casa grande…Più avanti, se mai diventerò ricco, potremo costruire un’altra ala. Dovrò presentare la cucina a vostra madre con una certa diplomazia. Chissà che cosa aveva in mente l’architetto che l’ha progettata.
Come dicevo, questo non è propriamente un romanzo, bensì un divertissement – anche se a tratti serissimo – e, pertanto, la questione della casa è solo un pretesto per poter più agevolmente entrare nell’intimità di ognuno di noi. I figli, alla visita della nuova casa, passano immediatamente al contrattacco: uno vuole una sala da biliardo, un’altra una grande sala per dare sfarzose feste da ballo. Jerome ascolta, ribatte, concede, capitola e punta i piedi, ma alla fine si mostra incapace di porre un vero, duro argine al desiderio dei figli. Questa sua caratteristica non si manifesta, però, qualcosa di negativo, ma più come l’espressione di un padre eccentrico, bizzarro, a tratti forse “sciocco“, e tuttavia incredibilmente amorevole e, su tutto, disposto a lasciar libera espressione – contro ogni ragionamento bigotto ed autoritario – alle ragioni dei figli. In questo senso questo padre che “fa acqua da tutte le parti” è un padre assai moderno, che anticipa molte delle discussioni e dei dibattiti contemporanei – spesso sterili, campati in aria, terribilmente esangui. Sorprende quindi a maggior ragione, questa figura, per la sua attualità e per il fatto che Loro ed io ha già più di un secolo di vita alle spalle – 1909.
Questo padre scende a patti, quando non può averla vinta, ma non soccombe e, su tutto, è sentito dai figli come degno di fiducia e confidenza. Non sono una fiducia ed una confidenza a buon mercato, però: l’asimmetria che necessariamente deve esistere nel rapporto genitori-figli non viene mai persa di vista; solo che tale asimmetria non soffoca la relazione e non riduce il linguaggio a mera trasmissione di informazioni neutre, bensì vivifica la relazione-linguaggio, facendo del padre stesso colui cui viene chiesta una parola capace di portare ordine nel groviglio di queste giovani esistenze che stanno lentamente e faticosamente cercando di trovare un senso nel caos del Reale. Degno di nota è però notare come spesso le parole di questo padre, così come le sue indicazioni e i suoi consigli siano traditi e contraddetti nel momento stesso in cui vengono proposti – ma questo non è un problema: Jerome è il padre dell’ascolto, che è ben più importante di quello della parola che si impone come necessariamente vera; Jerome è il padre del rovesciamento dei piani, ben più importante del padre fermamente convinto di possedere tutta la verità: quest’ultimo non lascia scampo e soffoca ogni desiderio di ricerca; l’altro, invece, invita a mettersi in cammino per costruire un percorso nuovo. E non bisogna mai dimenticare che questo padre è anche e sopratutto uno scrittore e che quindi ogni suo discorso sulla realtà è anche un discorso sulla scrittura e sul ruolo dello scrittore – temi che ritornano in modo assai interessante in queste pagine.
Solo perché sono uno scrittore, e devo raccontare storie per vivere, la gente crede che io non sappia nemmeno che cos’è la verità. È già abbastanza seccante che si dubiti della nostra parola quando esageriamo, ma che la nostra carne e il nostro sangue ci ridano ironicamente in faccia quando cerchiamo di attenerci alla nuda e cruda esposizione dei fatti…ebbene, dov’è l’incentivo alla sincerità? Vi sono dei momenti in cui per poco non giuro a me stesso che non dirò mai più la verità.
Il lettore può passare, dunque, per pagine esilaranti in cui Jerome cerca di farsi il figlio alleato per convincere la moglie ad apprezzare la nuova casa; pagine sugli scrittori romantici o realisti, costretti a girare per la città per prendere nota di fenomeni per loro inutili ma necessari per le eroine dei loro romanzi. Si passa per divagazioni, storie nella storia, attacchi frontali a lettori ed editori, tutti alla ricerca di storie convenzionali e rassicuranti, comprensibili ad una prima lettura e che non richiedano alcuno sforzo. Si può addirittura inciampare in una sorprendente rivendicazione della superiorità morale dello scrittore: “lo scrittore è, in linea di principio, una persona di eccezionale moralità. È troppo buono: per questo finisce con l’uscire dal seminato. Questo mondo non è all’altezza delle sue idee. Non è come sarebbe se l’avesse fatto lui. Per soddisfare la sua divorante sete di moralità, lo scrittore si mette all’opera e crea un mondo tutto suo”. Ma oltre a queste scorribande sul problema della scrittura e del ruolo dello scrittore, ci sono pagine – intrise di rigore intellettuale – sulla necessità di dare alle trote un’educazione spartana, dialoghi con mucche nel pieno della notte, cucine che esplodono, rocambolesche cadute da cavallo, corse e pianti ed urla e partite a biliardo che finiscono con vetri rotti e bestemmie.
Sono certo di aver dimenticato almeno una decina di cose importanti, ma non fa nulla. Questo non è uno di quei romanzi che vanno letti a tutti i costi, bensì uno di quelli che, se letti al momento giusto, sono capaci di regalare qualche ora piacevole facendo sorridere (degli altri e di se stessi) e facendo venire la voglia di leggerne qualche brano a qualcuno. È un libro di passaggio, di raccordo. Pare poco, ma non sono molti i libri capaci con tanta grazia di assolvere a questo compito. Non so bene se l’autore stesso possa averlo concepito a tal modo. Da certe pagine pare proprio di sì, da altre, al contrario, pare tutta un’altra storia. E, del resto, quale scrittore, nell’atto di scrivere un’opera, può esser mosso dall’intenzione di renderla un’“opera minore”? Impossibile. A dirla tutta, questa mi pare un’opera incredibilmente seria, da cui emerge, netta, una determinata concezione e figura di padre – figura che non ha nulla da invidiare ad altre che mi è capitato di incontrare (qui) – e in cui, in filigrana, e ben nascosta fra dialoghi brillanti e scene esilaranti e grottesche, fanno emergere tutta la serietà e il rigore di questo scrittore, e uomo.
Hai un’aria terribilmente solenne, papà – osservò Dick.
Penso alla Vita, – confessai, – al suo valore e al suo significato.
Sì, la vita è un problema, – ammise Dick.
Un discreto grattacapo, – convenni. Fumammo in silenzio per un po’.
Amare una donna buona dev’essere un immenso aiuto, per un uomo, – asserì Dick. Era molto bello, molto nobile, col suo viso infantile che pareva lanciare una sfida al Destino.
Immenso, Dick, – consentii.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
Sai, avendo letto Tre uomini in barca quando ero molto giovane, su consiglio della mamma che lo amava molto (diceva, forse lo pensava semplicemente adatto a me), non ho mai avuto il coraggio di dire la verità: che l’ho trovato, tutto sommato, noiosetto. Come dar torto alla mamma? Mi sono sperticata in lodi. Ne porto ancora il senso di colpa, nel timore che,invece, fosse un libro che non capivo. E non ho mai più letto Jerome, pur pensando di dovergli un’altra possibilità.
Ora, forse, la possibilità c’è, con questo libro.
Nel post non ho esplicitato un giudizio che però ne sta a fondamento È cioè che Loro ed io è più riuscito di Tre uomini in barca. Quest’ultimo non lo leggo da molti anni, ma sono deciso a riprenderlo e vedere cosa accade. Ci sono alcuni libri che vengono “sprecati” perché letti nei momenti sbagliati. Ce ne sono altri, al contrario, che non riusciremo mai a farci piacere. E questo accade soprattutto per una certa letteratura, quella che pare andar bene per i ragazzi, per quelli che devono ancora farsi le ossa prima di poter affrontare ben altri testi ed autori. Terreno scivoloso.
Credo che Jerome sia uno di quegli autori per cui più ancora che per altri è vero che andrebbe letto nella sua lingua originale. Non come Wilde, ma anche il suo umorismo è sottilmente impossibile da tradurre. Letto in inglese, Three Men in a Boat l’avevo trovato delizioso, dopo un inizio difficile, dico la verità. Mi segnerò anche questo…
A differenza di Wilde, che ho avuto modo di leggere in lingua, con Jerome sono stato meno generoso e non gli ho forse dedicato/concesso il tempo che meritava. Tre uomini in barca è stata una bella lettura, ma Loro ed io mi ha divertito di più, così come mi ha dato più spunti di riflessione.
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