Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Leonid Andreev…e altre novelle

Qualche settimana fa mi ho pubblicato un post sul Lazzaro di Leonid Andreev (qui). Quel formidabile racconto era però inserito, prestandovi il titolo, in una raccolta più ampia di novelle che, a pensarci bene, non meritano di essere lasciate da parte senza dirne almeno una parola. In Lazzaro e altre novelle sono contenuti, oltre al Lazzaro (che apre la raccolta stessa), cinque racconti, diversi per lunghezza ed effettiva riuscita e tuttavia coerenti per tematica, che è perlopiù di natura religiosa. Li passerò in rassegna molto velocemente per poi soffermarmi su quello che chiude la raccolta stessa, Ben-Tovìt. Racconto, quest’ultimo, fra i più interessanti e a mio avviso riusciti della raccolta, un racconto che offre una diversa prospettiva ed ottica rispetto alla Passione di Cristo, evento che in un altro post viene riproposto a partire dalla figura di Barabba (qui).

Il racconto Cristiani si svolge tutto in un’aula di tribunale, lì dove le normali, stanche ed usurate procedure della Legge vengono messe in crisi dal rifiuto di una testimone di prestare giuramento, impedendo così il regolare svolgimento di un processo. Si tratta d’una donna, di una certa Pelagheia Vassilievna Karaulova. Di mezza età, bella, i capelli neri, vestita alla moda, con “buccole zingaresche alle orecchie”, la donna rimane ferma nella sua contrarietà a prestar giuramento. Inizia un piccolo dibattito in cui, oltre al giudice, intervengono, avvocati e procuratori, ognuno con una propria interpretazione e richiesta di spiegazioni. Molte sono le parole, ma tutte senza senso, perché la spiegazione è un’altra, inaspettata, ed offerta dopo molta esitazione e con un filo di voce dalla testimone stessa: “Sono prostituta”. La donna, in quanto prostituta, non si reputa vera cristiana e, in quanto non-cristiana, non degna di prestare valido giuramento. Intervengono tutti nuovamente, e persino il parroco viene chiamato in causa. Il prete si lancia per una lunghissima e contorta paternale per convincere la testimone a prestare giuramento una volta e per tutte, dato che la cosa più importante non sembra essere, appunto, verificar il senso del “prestar giuramento” ma, piuttosto, di far andare avanti il procedimento per mezzo di formule: “La cosa diventava incresciosa. Sciocchezzuole, bizzosa cocciutaggine da donnicciuola – eppure intralciavano tutto il processo: e invece del fluente esatto armonico battito del congegno giuridico, ne risultava un assurdo guazzabuglio”. In un crescendo di discussione e di generale confusione, dove grottescamente si confrontano legge umana e quella divina, si giunge alla fine a sentenza senza che la Karaulova abbia prestato vero giuramento, senza che si possa far affidamento alla sua coscienza, confidando che dica la verità: “Dirò ciò che so”, asserisce lei, lapidaria.

Seguono poi i racconti Marsigliese e Straniero (forse i meno riusciti della raccolta), dove Andreev ci propone dei ritratti ironici, ma anche intrisi di sincera commozione e partecipazione, dell’inquietudine della gioventù russa della sua epoca. Tratteggia vite, pensieri e caratteri di ragazzi impauriti e vigliacchi o presi nella morsa di un idealismo che non riesce ad incidere sulla realtà o, ancora, la condizione di un giovani che vengono da altri paesi o che non si sentono veri figli della loro patria, proprio come il giovane studente Cistiakòf, che prova pietà per sé e per i suoi compagni di studi, che paiono privi di ogni slancio ed impegnati solo in colossali bevute e sbronze e risse: “pietà che bevesser così, che tutta la vita loro sarebbe stata opaca, inappagata, come quella degli altri, senza riuscire in nulla in quel bene da essi talvolta vagheggiato. Una strana vita-incubo senza nesso, somigliante a uno squallido sogno, trangugerà essi come migliaia d’altri ha divorato, e inani saranno i loro tentativi di foggiarne un’altra migliore”.

In questa serie di racconti spicca, certamente per triste attualità, Fantasmi, che narra in modo interessante la condizione dei malati psichici quando ancora non erano neppure pensati per loro dei percorsi alternativi di riabilitazione: “Quando si palesò in modo ormai incontestabile che Egòr Timofèevic Pomerànzef, capostanza in ufficio prefettizio, aveva perduto la ragione, i congiunti lontani, fatta tra loro e presso gente ricca una colletta, lo consegnarono a una casa privata di malattie mentali”. In modo forse ovattato e a tratti ironico, emerge però tutta la tragicità della condizione di queste persone: la solitudine, l’estromissione dalla vita sociale, l’onta per la famiglia, sono gli ingredienti del destino di questi malati, che sono raccolti in un luogo isolato e recintato, lontano da occhi indiscreti e orecchie capaci di udir urla e versi.

Ed ecco che con un salto mortale si giunge al racconto che chiude la raccolta, Ben-Tovìt.

In quel terribile giorno, quando si consumò la mondiale ingiustizia e sul Golgota in mezzo ai ladroni fu crocifisso Gesù Cristo – di mattino prestissimo cominciarono a dolere insopportabilmente i denti a Ben-Tovìt, mercante di Gerusalemme.

Con questo racconto seguiamo la semplice ed individualissima vicenda di un uomo come tanti altri. Un uomo comune che non pensa ai grandi eventi della Storia e che in nulla pare concorrere al suo svolgimento. Ben-Tovìt, tuttavia, vive ed opera in un momento ed in un luogo dove, al contrario, si sta consumando uno degli eventi più importanti della storia dell’umanità. Purtroppo, però, questo uomo è troppo impegnato con il suo mal di denti per accorgersene. Minutamente vengono descritte le sensazioni di questo piccolo commerciante. Il lieve dolore alla mascella, sulla parte destra; la fitta che produce la lingua che va lì dove “il dente duole”; la sensazione insopportabile di dover “a forza masticar mille puntuti chiodi arroventati fino all’incandescenza”. E benché fosse un uomo buono e giusto, perché questo era, tuttavia si lagnava terribilmente con la moglie, che sopportava gli ingiusti rimproveri con grande pazienza e, intanto, preparava intrugli con escrementi di topo che lenivano appena il dolore di questo povero uomo. L’unico conforto glielo dava un buon affare che aveva appena concluso. Intanto, nella casa e fuori per le strade giravano voci su di un certo Gesù Nazareno che era stato mandato a morte, ma lui non voleva sentir parlare di quelle sciocchezze, tanto soffriva. Anzi, molto si lamentava, perché nessuno si interessava del suo dolore. Voci gli arrivano dalla strada: “Dà un occhio, ecco che menano i ladroni. Questo forse ti distrarrà”. Ma lui nulla. Pure la moglie lo incalza, parlando di quello strano uomo che si diceva “sanasse i ciechi” e che forse poteva sanare pure il suo mal di denti. Era una distrazione davvero, per Ben-Tovìt, lo spettacolo della Passione.

Nel mezzo, piegando sotto il peso delle croci, si muovevano i delinquenti, e sopr’essi le sferze dei soldati romani si snodavano come nere serpi. Uno – quello che aveva lunghe chiome e dilacerata tonaca insanguinata – s’inciampò in una pietra fra i piedi lanciatagli…le grida si levaron più alte.

Ma questo mal di denti miracolosamente scompare e Ben-Tovìt si lascia convincere dalla moglie a recarsi sul Golgota per “dare un’occhiatella ai crocifissi”. Passeggiando con un il conciapelli Samuele, il piccolo commerciante racconta dell’incredibile patire che gli è toccato a causa dei denti. Ne parla e riparla anche mentre sono sul posto, mentre il sole, “dannato a rischiarare il mondo in questo terribile giorno” lento comincia a tramontare, gettando luce obliqua sulle croci, dove, “al piede di quella mediana, confuse biancheggiavano figure genuflesse a terra”.

Lo spettacolo viene presto a noia e così Ben-Tovìt, con moglie e compare, decidono di tornare indietro, verso casa. E lui ancora lì a parlare di quel suo brutto mal di denti, mentre accanto a loro, invisibile, si consuma la Storia. È un buon uomo, questo Ben-Tovìt, ma è cieco e, senza che lui se ne accorga, qualcosa di enorme sta sfuggendo alla sua comprensione. Ciò che è piccino ed insignificante diviene Tutto, per lui, chiuso in un orizzonte di senso dove un mal-di-denti assume un valore assoluto, mentre, al contrario, ciò è assoluto viene incredibilmente ridotto a spettacolo di scarso interesse. Dove si consuma la Storia? Dietro quale angolo o in quale recesso cui non si presta alcuna attenzione? Accanto a quale inutile preoccupazione che impedisce la vista sta accadendo qualcosa di incredibile? Nel volto e nelle parole di quale sconosciuto che si può incrociare per strada si affaccia un’idea o un pensiero che un giorno, forse, saranno in grado di scuotere noi o quelli che dopo di noi verranno? 

4 commenti su “Leonid Andreev…e altre novelle

  1. ilmestieredileggereblog
    settembre 16, 2017

    mi avevi già incuriosito parlando di Lazzaro ma in effetti direi che c’è molto altro

    • tommasoaramaico
      settembre 16, 2017

      Sì, molto altro. Andreev non è autore “imprescindibile”, ma leggerlo è comunque fonte di molte suggestioni!

  2. Alessandra
    settembre 16, 2017

    Quanti, però, che vivono così, passando il tempo a lamentarsi per delle piccole cose, mentre fuori infuria la tempesta… ma quella no, quella non li tocca. Non li riguarda, anche se comporta cose ben più gravi. Interessante questo autore (altrettanto il tuo post), farei bene a dedicarci del tempo.

    • tommasoaramaico
      settembre 16, 2017

      Esattamente, mi pare un racconto che, aldilà della sua ispirazione religiosa, prende criticamente di mira la tendenza dell’uomo a ritenere se stesso il centro di ogni cosa. P.s. andreev è russo, e per gli scrittori russi non si può che nutrire un pregiudizio a loro favore!

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Questa voce è stata pubblicata il settembre 16, 2017 da con tag , , .

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