Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Nelle Harper Lee appartiene a quella (a dire il vero folta) schiera di scrittori che sembravano destinati a dire tutto quello che hanno da dire in un unico romanzo. In questo caso mi riferisco al giustamente celebre, Il buio oltre la siepe. Qui Harper Lee mette tutta se stessa, la sua formazione in una famiglia influente dell’Alabama, il padre avvocato, tutto quello che ha visto, sentito dire ed imparato nella sua vita di ragazza del sud. Il romanzo, fortemente autobiografico, viene scritto dopo che la giovane scrittrice, dietro consiglio dell’amico di infanzia Truman Capote (le cui fattezze traspaiono nel romanzo nel giovanissimo Dill, amico dei due protagonisti), abbandona gli studi universitari per dedicarsi alla stesura di questo romanzo, lavorando presso l’ufficio prenotazioni di una compagnia aerea, dovendo sostentarsi da sola dopo che la famiglia, disapprovando le sue scelte, gli aveva tolto ogni sostegno economico. Scrittrice di un solo libro, dicevo semplificando la questione, perché dopo il clamoroso successo e il premio Pulitzer del 1961, Harper Lee, pur essendosi cimentata nella scrittura di altri testi, che non riuscirà a portare a compimento, pubblicherà solo pochi articoli e molte cose rimarranno nel cassetto.
Mi è già capitato di scrivere di argomenti simili con Così si muore a God’s Pocket di Pete Dexter, con La sottile linea scura di Joe R. Lansdale e, anche se da una angolatura diversa, con Il cielo è dei violenti di Flannery O’Connor, ma qui è diverso, dato che siamo di fronte ad un romanzo che definirei “fondativo”. Una narrazione unica per comprendere quella mentalità profondamente strutturata e radicata che ancora oggi ribolle al fondo di una nazione che si dibatte fra spinte rivolte al futuro e contro-spinte che mirano al passato.
Sebbene la Guerra civile avesse lasciato del tutto fuori la città di Maycomb, il periodo della ricostruzione e la rovina economica forzarono la città a dilatarsi; ma lo fece entro i propri confini: gente nuova non vi affluì che di rado e le famiglie si imparentavano fra loro, tanto che fra tutti gli abitanti si poteva riscontrare una vaga somiglianza. Talvolta qualcuno ritornava da Montgomery o da Mobile con una sposa forestiera, ma il nuovo sangue portava solamente una piccola increspatura nel quieto torrente delle rassomiglianze familiari. Durante la mia infanzia le cose rimasero più o meno inalterate.
La vicenda è raccontata in prima persona dalla piccola Scout, la figlia di Atticus Finch, avvocato di Maycomb che dovrà difendere Tom Robinson, un nero, dalla falsa accusa di aver violentato una ragazza bianca. Oltre a questo uomo incredibile, nell’immaginario di Scout ci sono Jem, il fratello più grande – una sorta intermediario-bambino fra lei ed il complicato mondo degli adulti – e Calpunia, donna di colore che si occupa di mandare avanti la casa, di mantenerne gli equilibri, e a tratti persino di contribuire all’educazione di questi bambini orfani di madre.
Scout e Jem giocano tranquilli per le poche strade polverose che disegnano il confine invalicabile di un mondo che al principio non pare loro né tanto angusto, né così brutto. È sì pieno di asperità e difficoltà, ma è anche luogo di uno sterminato numero di suggestioni. C’è la casa dei Radley, le porte e finestre sempre sbarrate, e l’enigmatica figura di Boo Radley, che nessuno, da decenni, aveva più visto uscire di casa. Attorno a questa figura e al tentativo dei bambini di farlo uscire fuori poterlo vedere, parlargli, sapere perché se ne stava sempre chiuso in casa senza farsi vedere da nessuno, ruoterà parte della vicenda. Senza saperlo, i due bambini stavano gettando le basi per un rapporto che avrebbe salvato loro la vita. Ci sono l’entrata nel mondo della scuola, le grandi differenze fra i bambini di città e quelli delle campagne, la presenza dei bifolchi, la coercizione dei maestri entro metodi stupidi e repressivi. Ci sono i giochi e le lotte, la lettura di libri di avventura e la loro rappresentazione, ma poi, ad un certo punto, la realtà fa irruzione e la quieta Maycomb, fatta di persone perbene, benpensanti, timorati di Dio e rispettosi delle leggi, assume un nuovo volto, più feroce. È il momento in cui ad Atticus viene dato l’incarico di difendere Tom Robinson, afroamericano, dalle accuse degli Ewell, una famiglia di disgraziati e delinquenti, ma bianchi, che lo accusano di aver violentato Mayella Ewell, una ragazza di diciannove anni che non è mai stata a a scuola, che vive tra i rifiuti in una casa di cartone con una decina di fratelli ed un padre che si dibatte fra mille espedienti, che prende i sussidi e beve tutte le volte che può. Da quando la voce inizia a fare il giro di Maycomb per i due ragazzi iniziano i primi problemi, di cui, però, capiscono ben poco data la loro educazione. Atticus viene accusato di essere “negrofilo”…i ragazzi soffrono, ma Atticus ha una ricetta tanto semplice quanto difficile da applicare e, soprattutto da spiegare a dei bambini: “Se vuoi capire una persona, devi cercare di considerare le cose dal suo punto di vista“. Ma su tutto, Atticus è l’esemplificazione della coerenza e della volontà che il suo pensiero passi ai figli attraverso le azioni, senza la mediazione delle parole, che rischiano sempre di trasformarsi in vuote formule. Atticus è un uomo mosso dalla giustizia e questo è quello che spiega alla figlia, che non capisce perché il padre abbia accettato questo caso così complesso.
…Vedi, Scout, a un avvocato succede almeno una volta nella sua carriera, proprio per la natura del suo lavoro, che un caso abbia una ripercussione diretta sulla sua vita. Evidentemente è venuta la mia volta. Può darsi che a scuola tu senta dire cose orribili di questa faccenda, ma se vuoi aiutarmi devi fare una cosa sola: tenere la testa alta e le mani a posto. Non badare a quello che ti dicono, non diventare il loro bersaglio. Cerca di batterti con il cervello e non con i pugni…
Non bisogna però credere che Atticus sia figura esangue ed ideale. Atticus è un vedovo, un uomo che deve badare ai figli e che sente il peso della vita a tal punto da sembrare più vecchio dei suoi coetanei e genitori dei bambini che stanno a scuola con Scout e Jem. Atticus è spesso silenzioso, ha le spalle curve, si muove lentamente. Pare, a tratti, essere attraversato dal dubbio anche se in lui è ben netta la linea che separa ciò che è giusto da ciò che non lo è. Non è un’anima bella nel senso deteriore del termine: sa comprendere le ragioni dell’altro, ma le avversa e le combatte. Atticus, a differenza dei cittadini di Maycomb, non vuole però distruggere il proprio avversario. Prima vuole comprenderlo e poi cercare di aprire delle crepe in un edificio fatto di convinzioni che hanno fondamenta non nella razionalità, ma nella chiusura, nella paura del diverso. Atticus sa di essere in minoranza. Non è solo, dato che altri a Maycomb lo sostengono, anche se non sempre con il coraggio di farlo apertamente; però è certamente il cittadino più esposto, l’unico capace di andare avanti anche se consapevole delle incredibili, forse insormontabili, difficoltà che incontrerà. Atticus non è un eroe.
Nostro padre non faceva niente. Lavora in ufficio, non in una drogheria. Non guidava l’autocarro della nettezza urbana, non era sceriffo, non lavorava la terra né faceva il meccanico: non faceva nulla per cui si potesse ammirarlo, per un verso o per l’altro…non andava a caccia, non giocava a poker, non pescava, non beveva né fumava. Stava seduto nel soggiorno e leggeva.
Atticus ha rinunciato a molte cose, su tutto ha rinunciato alla violenza, lui che era stato forse il miglior tiratore della contea, ma che per principio non portava né possedeva alcuna arma. È questo il suo insegnamento sulla vera natura della forza e del coraggio, insegnamento che impartisce ai figli per mezzo dell’esempio dato dalla signora Dubose, una vecchia gravemente malata che viveva nella casa a fianco e che aveva rinunciato alla morfina e sopportato dolori inimmaginabili pur di rimanere cosciente fino all’ultimo istante della sua vita.
…era una signora. Aveva le sue idee, sulle cose, idee molto diverse dalle mie, forse…ti avrei mandato ugualmente a casa sua…volevo che tu vedessi cosa è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo con il fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede.
Atticus sta spiegando al figlio il senso del suo stesso agire, del processo e della difesa di Tom Robinson, la parola di un negro contro la parola di un bianco. Pur sapendo di esser destinato a perdere e di star mettendo in pericolo tanto se stesso quanto i figli, allo stesso modo non si tira indietro, va avanti. Sta qui, forse, il senso del romanzo, così come il gravoso compito che Atticus dà ai figli, e cioè quello di appropriarsi e di farsi carico di una enorme eredità, di un peso indicibile, capace di strapparli dallo stesso tessuto sociale in cui sono stati allevati. Dei “negrofili” pure loro che già adesso scompaginano tutte le convenzioni, andando a messa nelle chiese dei neri, volendo andare a casa di Calpunia, sedendo, durante il processo a Tom Robinson, fra le fila dei neri, cercando di non farsi vedere da Atticus, impegnato nella sua splendida arringa difensiva, ma ben visibili a tutti gli abitanti di Maycomb accorsi in massa ed accalcati nella grande aula del tribunale, per assistere a quello che è un vero e proprio spettacolo. E poi ci sono la condanna e la crisi di Jem, che coglie l’immane ingiustizia di quanto accaduto, e la confusione della piccola Scout, che vede tutto attraverso il filtro degli occhi del padre e del dolore del fratello maggiore. Le cose possono andare come vogliono, ma Atticus ha sganciato i propri figli da un contesto di pregiudizi, ma facendolo, oltre a dare loro una possibilità unica, li ha messi in pericolo…il pericolo arriverà dagli Ewell, dal brusio delle chiacchiere, da ogni angolo di ogni strada della piccola cittadina. Per chi ha già letto il romanzo è tutto noto, ma per chi non lo ha ancora fatto, cercherò di dire-senza-dire. Il pericolo è simbolico, ma anche reale, e questi ragazzi, simbolicamente ai margini, si troveranno soli ed esposti alla violenza da parte di chi, sempre dai confini della società, cercherà di eliminarli, eliminando così coloro che – con la loro stessa presenza – ne denunciano il degrado morale. Sempre dal confine arriverà (in una restituzione di cura) la salvezza – almeno momentanea – e la condanna, questa sì definitiva, di chi aveva dato il via alla catena dei soprusi, almeno nella piccolissima Maycomb…
…quasi tutti sono simpatici, Scout, quando finalmente si riesce a capirli…
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Hai reso molto bene questa storia che alla sua uscita all’epoca rappresentò un evento. Combinazione, l’ho letto un paio d’anni fa, per la prima volta, ed è stato piacevole ritrovarlo nelle tue righe.
Non posso che non essere d’accordo su questa che è in sostanza la chiave: “siamo di fronte ad un romanzo che definirei “fondativo”. Una narrazione unica per comprendere quella mentalità profondamente strutturata e radicata che ancora oggi ribolle al fondo di una nazione che si dibatte fra spinte rivolte al futuro e contro-spinte che mirano al passato.”
Sì, in un romanzo, a volte, c’è più di mille trattati.
Come scrivevo un attimo fa ad Alessandra. Semplicemente da leggere.
Uno di quei romanzi celebri che stranamente non ho ancora letto. Se alla base della storia c’è quindi il pregiudizio verso chi è diverso, verso l’altro o l’estraneo da sé o comunque lo si voglia chiamare, penso che per certi versi il tema si riveli ancora attuale, nonostante le epoche ben diverse. I preconcetti che stigmatizzano ed escludono le persone sono ancora oggi duri a morire. Non esagero se dico che la tua analisi, tra tutte quelle che ho letto, brilla per limpidezza e accuratezza.
Grazie. È un romanzo strabiliante. Io scrivo solo delle cose che mi sono piaciute, del resto taccio. In questo senso tutti i libri di cui scrivo li consiglio, ma questo in particolare mi sento di consigliarlo vivamente. Per lo stile, i temi, l’idea di fondo, per la capacità che ha di avvincere pur essendo noto. Sconvolgi i tuoi piani di lettura e fammi sapere cosa ne pensi.
Una scoperta tardiva anche per me, ma profondamente rivelatrice di molti aspetti della cultura e della mentalità dell’America profonda, che tu giustamente metti in risalto, e che si può forse condensare nella necessità irrinunciabile di individuare sempre e comunque un capro espiatorio (e qui , mutatis mutandis ,mi viene in mente un testo che forse è in parte una riscrittura di questo, vale a dire “ Il miglio verde ” di Stephen King.
La penso come te. Anche per questo arrivo a dire (sicuramente forzando un po’ la questione) che è un romanzo fondativo. Molti altri romanzi importanti – compreso il King che citi – prendono inevitabilmente le mosse da qui.
Una recensione molto bella. Anche per me è stata una lettura tardiva, ma una folgorazione. Romanzo intenso e robusto e ben scritto e la tua analisi mi aiuta a ricomporne il senso. Certo un romanzo fondativo, ma direi formativo, un esempio anche di quella verticalità di relazioni, del passaggio di testimone dai padri ai figli di cui si parlava nel post sulla figura del figlio ( Ho letto il saggio sulla ” Società orizzontale” , ma non mi ha convinta). Oggi mancano proprio quei padri, in senso lato, capaci di trasmettere silenziosamente con l’ esempio …
Vero. Concordo in tutto, romanzo di formazione per eccellenza. La figura di Atticus, il suo lavorio paziente e silenzioso, così esposto al fraintendimento, è un vero esempio anche nella sua capacità di non dividere il mondo in modo manicheo, separando in modo assoluto i giusti dagli ingiusti. Atticus cerca innanzitutto di comprendere…e anche in questo sta il senso della citazione a conclusione del post.