Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Qualche giorno fa, scendendo la ripida rampa che porta ai garage del palazzo dove ho vissuto per quasi tre decenni e dove andavo alla ricerca di una vecchia bicicletta abbandonata, mi è capitato di imbattermi nel signor Candis. Era seduto su di uno sgabello, di lato ad un grande tavolo tutto rigato. Se ne stava lì con le mani in mano e il volto tirato – perso in un atteggiamento che mai prima avevo notato in lui. Nel salutarmi il signor Candis era riuscito a cavare da sé un mezzo sorriso ed un cenno del capo, nulla di più di quello che aveva mai fatto da quando lo conosco, ma al tempo stesso molto meno di quello che ha sempre fatto da che lo conosco. Non era quel sorriso pieno, diretto, individualizzato cui ero sempre stato abituato…e qui per individualizzato intendo propriamente “diretto a me” in piena opposizione ad un generico-segno-convenzionale. Quello che mi aspettavo era un segno di riconoscimento prima che ritornasse alle sue attività, anzi, alla sua passione, lavorare il legno – passione tanto bruciante che tutti lo chiamavano Il falegname. Non so quanto questa sua attività (che fra le altre cose ha portato nella mia stanza di adolescente arrogante una magnifica libreria fatta su misura e per la quale non l’ho mai veramente ringraziato se non con gli innumerevoli cenni del capo a lui rivolti tutte le volte che ci siamo incontrati) sia dovuta alla fede (religiosa) su cui ha costruito la sua intera esistenza, ma, di certo, quella di lavorare il legno negli innumerevoli modi in cui ne è capace, non può avere per lui la sola funzione di riempitivo, di passa-tempo. Mi sono sempre detto che deve avere una funzione ulteriore, che deve essere una forma di disciplina, di rispetto per le cose e per le sue stesse mani. Il signor Candis è calvo, silenzioso, porta spessi occhiali e ha sempre avuto un’aria concentrata, l’aria che hanno quelle (rarissime) persone che danno l’idea di essere sempre presenti a se stesse. L’esatto opposto della moglie, una donna vivace, buona, loquace fino allo sfinimento – sempre pronta a dire (in un dire che è quasi un cantare) la sua incrollabile fede. Del signor Candis, invece, ricordo a malapena il suono della voce (ma l’ho mai sentito pronunciar parola? A tratti perdo questa certezza, anche se con certezza so che quell’uomo mi ha rivolto molte volte la parola, anche se per dire solamente “buongiorno”, “buonasera”, “salve” e “prego“, le rare volte che è riuscito a cedermi il passo, prendendomi alla sprovvista).
Il signor Candis è un ex-militare in pensione, ma la sua vita non deve essere letta come strutturata a partire da una rigidità di fondo, bensì come innervata da una naturale fermezza. È un uomo più basso della media. Un vero e proprio concentrato di moralità. Suona anche il flauto traverso e dicono sia un virtuoso, anche se io non ho mai avuto il piacere di assistere ad una sua esibizione. Nell’incontrarlo a quel modo (perso fra i suoi attrezzi), così diverso da come l’ho sempre visto, mi sono figurato un uomo su cui si fossero abbattute una sciagura dopo l’altra. Nel suo piccolo, mi ha riportato alla mente la vicenda di Giobbe, del giusto e del timorato di Dio su cui si abbatte la pesante mano del male (qualcosa come una rivisitazione del Giobbe di Joseph Roth).
Nella regione di Uz viveva un uomo di nome Giobbe, perfetto esempio di uomo timorato di Dio. Lungo è l’elenco delle doti e delle fortune di questo uomo. Pecore, cammelli, terre, ma anche e soprattutto i figli adorati, l’amata moglie. Su tutto, però, svetta il suo timore di Dio, l’onore che a Dio rende giorno dopo giorno. Un giorno, però, fra gli angeli che si presentano al cospetto del Signore c’è anche Satana. Si stava beando, il Signore, della fedeltà di Giobbe, quando Satana cerca di istillare in Lui il dubbio (si potrebbe dire che Lo induce in tentazione). Certo che ti glorifica e benedice, argomenta Satana, tutto nella vita di Giobbe cresce e prolifera. Fai però calare su di lui la durezza del Tuo potere e vedrai, una volta in rovina, come ti maledirà e rinnegherà. Il Signore concede a Satana la disponibilità su tutto quello che è di Giobbe, solo che non tocchi la sua stessa vita. Il libro continua con una sequenza di sventure che si abbattono su colui che non ha pari sulla Terra quanto a fede, onestà, estraneità al male. Prima i suoi averi e le sue cose, poi i suoi figli – tutto viene ridotto a nulla. Sulla testa di Giobbe cala l’ombra della morte e della distruzione…
Ripeto, senza voler esagerare, ma pieno di dubbi, ho cercato di capire se fosse accaduto qualcosa al signor Candis. Marito, pensionato, padre di quattro figli, circondato da sette nipoti. Che qualcosa stesse iniziando ad incrinarsi nella sua esistenza? Qualcosa come una oscura mano che si posava sulla sua esistenza? Mi sono immediatamente figurato malattie e lutti improvvisi, tracolli finanziari, violenze subite e chissà che altro. Tutte cose per definizione aliene tanto al signor Candis, quanto a tutti i componenti della sua famiglia (e mi riferisco a figli, moglie e giovanissimi nipoti). Niente di tutto questo. Perché, allora, quello sguardo sperduto, quel saluto stentato, perché quel senso di incrollabile certezza che l’aveva sempre accompagnato era svanito nel nulla? Niente a che fare col destino del Servo sofferente, nulla da scontare – e in quel palazzo al civico 22 le notizie, tutte, si diffondono velocemente. Con una scusa, lo scorso sabato, ho sceso nuovamente la rampa che porta ai garage, sapendo che lui, il signor Candis, era lì. E infatti c’era, sempre seduto senza lavorare. Facendomi forza, per la prima volta da che conosco – adesso uomo e non più bambino o adolescente o studente, ma in qualche modo tornato nuovamente giovanissimo – mi sono avvicinato chiedendogli con un filo di voce come procedesse il suo lavoro e cosa stesse costruendo questa volta. Niente. Non aveva nulla da fare.
Non ero mai entrato lì dentro al suo garage se non parzialmente, e cioè con lo sguardo. Vi regnava un ordine non maniacale, specchio del profondo rispetto per quell’attività, della passione che vi metteva. Il signor Candis mi chiede se mi piace ed io, come bambino, rispondo di sì, meravigliato, lo sguardo che si arrampica su per le pareti rivestite ci legno e tutte piene di mensole cariche di strumenti più o meno grandi e a me sconosciuti. Mi chiede anche se so usare qualcuno di quegli strumenti, e rispondo di no – assolutamente no. Aggiungo che sarebbe bello saperli maneggiare, ma lui bonariamente mi mette in riga inducendomi ad essere serio, dicendomi che in cose del genere servono molto impegno e pazienza. Non abbiamo altro da dirci, così lo saluto e nell’uscire lo ringrazio, dato che non l’avevo mai ringraziato prima in modo diretto. E lui, a distanza di più di venti anni, senza che io avessi bisogno di aggiungere altro, mi risponde che non c’era da ringraziarlo, che gli aveva fatto piacere costruire una libreria per uno studioso come me. Così ha detto, uno studioso…e nel dire studioso per un attimo quella fermezza e gentilezza che sempre l’avevano contraddistinto erano nuovamente emerse, prima di venir nuovamente risucchiate – ma da cosa e per andare dove?.
Giobbe, nel corso della sua assurda vicenda, si ritrova a doversi difendere da tutta una serie di accuse che discendono direttamente dalla necessità di difendere (giustificare) Dio dal problema della presenza del male nel mondo, dal fatto che spesso si vede prosperare l’ingiusto e soccombere il giusto. Giobbe (in questa ottica di difesa razionale e ad oltranza del Creatore) deve aver commesso peccato – questo sostengono i suoi detrattori. Dio altrimenti non l’avrebbe punito a quel modo, squassando la sua esistenza con tali e tante disgrazie. La moglie stessa lo invita a maledire Dio e a morire una volta e per tutte. Ma Giobbe non perde fiducia né in sé (nella sua vita vissuta nella rettitudine) né in Dio (confidando nella Sua volontà) anche se gli pare imperscrutabile.
Il signor Candis e Giobbe hanno poco da spartire, a meno che non si voglia avanzare una diversa idea. Che sul giusto possa abbattersi una diversa forma di privazione. Non la privazione di ciò che ha dato gioia e luce agli occhi, ma la sottrazione della capacità stessa di sentire e partecipare del bene che lo circondano. Inaridire la pianta, il cuore, la capacità di vedere/cogliere il bene che non è tolto, né intaccato, ma precluso. È un tema antico, è un tema sempre nuovo. È la possibilità che chi ci sta accanto sia sferzato da un vento potentissimo, ma per gli altri non percepibile se non nel riflesso degli occhi, in una flessione nuova della voce, nel vibrare della parola su tonalità inedite…è la possibilità di incrociare ed imbattersi nel male, così come il male, proprio al principio del libro di Giobbe, si presenta e si definisce in seguito alla domanda del creatore, Da dove vieni?
Dal percorrere la terra e dall’aggirarmi su di essa
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Ogni volta mi incolli al video fino all’ultima frase. Bello questo pezzo, bello il parallelo tra il Giobbe biblico/letterario e quello umano. Dovrò decidermi a leggere Roth.
Grazie – ancora una volta. Sì, Roth va letto. Per me è una lettura vecchia ed indubbiamente da vivificare. In questo senso, “dovrò decidermi” a leggerlo nuovamente…
Non ricordo se te l’avevo già chiesto, ma con quale dei suoi romanzi mi consiglieresti di iniziare? Qualcosa che mi permetta subito di capirne e apprezzarne lo stile, i contenuti…
Io ho letto, oltre a “Giobbe”, “La marcia di Radetsky” e “La cripta dei cappuccini”. Non saprei dirti da dove iniziare, sono tutti molto belli. La mia preferenza per “Giobbe” è semplicemente personale, ossia è un romanzo che risponde a questioni più ampie che mi hanno sempre interessato e che ho affrontato (anche se a partire da una diversa ottica) nei miei assai limitati studi!
Roth, dopo che lo si è letto – e Giobbe in particolare – è un autore che ritorna, che impone il venir ripreso, man mano che la vita si fa, le esperienze, talvolta le prove, sembrano incombere, chiedendo che venga mantenuta una rotta, la si chiami Dio, va bene, o se ne ricerchi un nome, per poterla guardare, e seguire..
Molto bello davvero il tuo scritto..
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Grazie. Mi piace come hai reso il senso del post con quel “mantenere la rotta”, perché di quello in fondo si tratta, a prescindere dalla cornice in cui ho inserito io la vicenda.
Un incontro molto felice tra attenzione umana e descrizione letteraria. Il signor Candis ha, come il Giobbe di Roth ( indimenticabile), incontrato molti lutti o solo uno,” la sottrazione della capacità stessa di sentire e partecipare del bene che lo circondano” ? Si è incrociato con il male dell’ inaridimento?
In lui mi sembra di vedere il personaggio di Ken Loach , Daniel Blake, omonimo protagonista del film. Falegname che ama lavorare il legno e che costruisce una libreria per una giovane donna, come invito a diventare <>studiosa <>
Ma mi ha ricordato anche il bel saggio di Richard Sennett, <>L’ uomo artigiano<>, dove, tra i mille stimoli, si rammenta anche Platone, per cui l’ abilità tecnica si ricollega al<> poiein<> al fare e da<> poiein<> deriva la parola poesia ( strumenti tuoi, questi…).
Come a Totò Merumeni al signor Candis forse<> Un lento male
indomo/ inaridì le fonti prime del sentimento<>, diversamente da lui, è stato oggetto non di ironia ma di umana compassione.
Innanzitutto grazie per questo commento così ricco e pieno di suggestioni. In secondo luogo, sì hai colto perfettamente la mia intenzione di partenza – sono riuscito a rendere il senso di questo inaridimento. Non conoscevo questo saggio di R. Sennett, cercherò qualche informazione a proposito.