Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Ian testa ci pensa su…

Ian Testa (forse lo si è capito) è uno di quelli che cerca sempre di tenere alta la guardia, uno che tenta di vigilare non tanto, o non solo, sulle cose che lo circondano, ma anche e sopratutto su se stesso, mantenendo un continuo controllo sui propri pensieri col fine di mantenerli, per quanto possibile, ad un certo livello. Non sempre ci riesce, ovviamente, anzi, il contrappasso per un tale atteggiamento (in cui, fra le altre cose, pecca quantomeno di arroganza) è una insistente ed insidiosissima tendenza alla fantasticheria. Non è che Ian, tanto vigile all’apparenza e così assorto, sempre all’apparenza, in chissà quali pensieri, si muova sempre sul fecondo terreno della concretezza, magari fosse così…al contrario, lui che vorrebbe affondare gli artigli (dell’intelletto, si intende) nella dura realtà delle cose, a ben vedere se ne allontana del tutto per gettarsi anima e corpo nelle mollezze della fantasticheria, andando a gonfiare a dismisura il debito suo nei confronti della realtà che lo circonda e di cui non si occupa veramente.

Incredibili fantasticherie lo rapiscono nel bel mezzo del suo esser-pendolare, sono giri-di-pensiero desolati e desolanti, specchio fedele della povertà della campagna abbandonata o assaltata dai grumi di cemento delle zone residenziali oltre il finestrino del treno che spesso viaggia in ritardo. È talmente fuori della realtà, a tratti, che si finge di essere qualcun altro, oppure questi altri prima li crea ad arte e poi li colloca tutti intorno a sé, serbandosi un ruolo centrale in chissà quale assurda vicenda. Ian Testa, però, ha una sua fantasticheria preferita (o ricorrente), una fantasticheria piuttosto morbosa, ma per lui a quanto pare necessaria.

Spesso Ian Testa si figura ed anticipa la propria fine (unica certezza nel mare profondo ed agitato delle molteplici possibilità che si parano di fronte ad ognuno di noi). Ultimamente la sua fine viene raccontata (Ian la racconta a se stesso) per mezzo della voce d’un qualche ragazzo che in un impeto di dolore misto a non-accettazione si alza dalla panca dove fino ad un attimo prima stava accasciato e privo di energie, per percorre la navata centrale di una chiesa non meglio delineata (ma assai grande, quasi un duomo) e fra lo stupore generale spinge di lato un parroco vestito in modo tanto sfarzoso da sembrare un vescovo, per prendere la parola e dire la verità su Ian Testa che, al tempo stesso, architetta o inscena nella propria mente tutta la storia, ed è oggetto, benché senza più vita, della vicenda stessa – si noti bene che lo Ian Testa reale, quello che si lascia andare a queste fantasticherie, si guarda bene (anche se non è operazione cosciente) dal rappresentarsi se stesso morto stecchito, nel senso che il suo corpo senza vita non entra mai in scena. È oggetto di discorso, ma mai oggetto di percezione sensibile o fantastica (nel senso che non si vede, non si tocca e così via).

…insomma, tutti piangono e la chiesa è affollata fino ad esplodere…ci sono un mucchio, ma che dire un mucchio, una moltitudine di persone, soprattutto giovani, suoi studenti – presenti, passati e, perché no, anche futuri (del resto è una fantasticheria, è tutta sua e ci fa quel che gli pare). Alcuni col volto tirato e sconvolto, altri (soprattutto studentesse) semplicemente in lacrime, perse in un piano chiuso in se stesso e che cancella il mondo circostante…qualcuno parlotta fra sé e sé e si chiede perché…come a suggerire che quella di Ian non è stata morte naturale, ma più un tragico epilogo, non una fatalità, bensì un volontario fare-un-passo-indietro rispetto ad un mondo che s’era fatto troppo complesso (e del resto il mondo complesso lo è veramente, altrimenti Ian non avrebbe bisogno di ritirarsi in queste fantasticherie).

…ed è quello che traspare dal discorso del ragazzo che ha preso la parola…anche se si rende necessaria una precisazione…non si alza una volta sola, ma più e più volte, quasi che nella mente di Ian vi sia la necessità di mettere ripetutamente alla prova il coraggio, la volontà, la determinazione e la convinzione di quel ragazzo-fantasmatico…ma non è il solo motivo…il sig. Testa (alla sua età, poi!) gode di brutto nel vedere che sempre nuovamente tutti i presenti alla cerimonia vengono presi dallo stupore, e poi indugia in un lungo (quasi-eterno) primo piano sul volto verdognolo del padre, che digrigna i denti, mentre il pomo d’Adamo fa su e giù senza soluzione di continuità. Si parla di bolo isterico, in questi casi. Fa alzare molte volte il ragazzo-fantasma e indugia sulla madre – col cazzo che te ne stai distratta davanti alla televisione, piangi bella, piangi tanto, la vita è tosta e qui comando io, sembra dire Ian. I fratelli soffrono con luminosa dignità, ma con loro è tutta un’altra storia…

Non è che il ragazzo-fantasma parli proprio un buon italiano, ma è giusto così – il suo discorso è diretto, schietto, vero. Qualcuno non vorrebbe sentirlo parlare, il dolore è veramente troppo. È uno studente di Ian, non fra i più brillanti, ad essere sinceri, uno di quelli che studia poco, un ripetente, uno che dentro ha l’argento vivo, che non riesce a stare fermo, buono, seduto, che soffre di insonnia e che spesso, a scuola, sente che gli manca l’aria…questo ragazzo col prof. Testa aveva finalmente visto la luce, era come rinato. Certo, mica si ammazzava di studio e, in generale, era uno che preferiva fare altro piuttosto che andare a scuola…però, finalmente, si presentava in classe con una certa (mai piena) serenità. È proprio questo che sta dicendo ad alta voce: dopo note disciplinari, convocazioni dei genitori, bocciature e richiami vari, il prof. Testa aveva preso atto di una cosa semplicissima: lui non riusciva a stare seduto. Quindi aveva cercato una soluzione. Chiuso, semplice. E così nelle ore di filosofia e di storia lui poteva stare in piedi, in fondo alla classe e fare avanti e indietro, parete parete, ma in silenzio e col quaderno degli appunti. Facile, secco, preciso, il ragazzo sta dicendo che per anni e anni nulla e poi lui aveva fatto una cosa paurosamente semplice che non aveva ovviamente risolto le cose, ma che le aveva indubbiamente rese più facili. Al coattello viene quasi da piangere, si trattiene a stento, si gratta il culo e si lascia scappare un “e che cazzo!” che viene amplificato oltremisura dal microfono che funziona solo a tratti – sì c’è pure il microfono! Qualcuno sorride. Anche lui, il prof, sorriderebbe, afferma il giovanotto, sicuro di sé. Dice che quando il prof. Testa entrava in classe non c’era bisogno che chiedesse o pretendesse ordine o che prendessero posto. Diceva buongiorno, “miei cari”, diceva sempre, miei cari…e tutto naturalmente tornava all’ordine. Non sono io, sosteneva con voce pacata, è il bene che è nella natura delle cose…certo, mica sempre era un piacere sentirlo, prendere appunti o sostenere interminabili interrogazioni e compiti in classe, però c’erano delle volte, ed erano tante, che Ian Testa entrava in classe e si perdeva qualche istante di troppo a guardare oltre i vetri della finestra…in chiesa i ragazzi fanno cenno di sì – lo faceva spesso e spesso chiedeva ai ragazzi dove avrebbero voluto essere in quel momenti e capitava che lo dicesse anche lui…poi iniziava a parlare in quel suo modo così caratteristico…non è che parlasse con o per se stesso, mentre guardava un punto fisso oltre i vetri della vetrata che attraversava una parete della classe, pure lui sembrava ascoltare le proprie parole…qualcosa parlava attraverso lui…erano dei momenti pazzeschi. Non c’era improvvisazione, anche se poteva sembrare, e infatti il discorso magicamente si chiudeva un attimo prima del suono della campanella, che riportava tutti alla realtà. Allora assegnava i compiti, prendeva le sue cose e con un sorriso andava in qualche altra classe a chiedere ad altri studenti dove avrebbero voluto essere in quel preciso momento…la vera vita è altrove, ripeteva sempre. Lui non sapeva dove fosse, o forse aveva una sua idea che si era sempre tenuto per sé…i ragazzi sorridono, forse stanno un poco meglio, mentre il coatto ripete la parola magica: “strutturalmente“…la vita è strutturalmente altrove, la carne e le ossa di questo altrove era cura di ognuno di loro determinarlo. Non me ne intendo, ripeteva il prof. Testa. E loro sorridevano.

La cerimonia è la stessa, la cerimonia è sempre da celebrare, la cerimonia è semplicemente infinita, non può proprio finire. Lo Ian Testa reale, quello seduto sul treno verso casa o verso il lavoro, ritorna incessantemente su ciò che è dato, ma sempre da venire. Passano le stagioni, ci sono giornate assolate, altre buie e piene di pioggia; lui può essere vestito di cotone o col cappotto…ma qualcosa rimane, il ragazzo-fantasmatico e il pianto delle persone. Ma quante sono, queste persone? Sempre poche. Quante ne desidera? Sempre più. Quante lacrime piangono? Sono sufficienti? Sembrerebbe di no. Ian non è mai pago. E innumerevoli sono le cerimonie, i testimoni, gli apologeti!

Nel mettersi il cappotto prima di scendere dal treno o nel sistemare le cose nella sua borsa da lavoro, Ian Testa torna con un minimo di spirito critico su questa sua “attività” dello spirito e si figura come uno scolapasta…sorride mentre pensa la parola magica “strutturalmente”…strutturalmente incapace di trattenere l’amore che chissà come è riuscito a guadagnarsi, le lacrime di cui è stato spettatore, le gentili parole altrui, i piccoli risultati che ha ottenuto. Tutto si disperde e a lui rimane poco o nulla, qualcosa di solido ed indigesto che gli si pianta sullo stomaco e gli rende oltremodo complesse anche certe cose assai semplici.

Scende dal treno perché deve scendere, perché lo aspettano a casa o sul posto di lavoro. E quando incontra persone che conosce non sempre gli riesce di sostenerne lo sguardo o di seguirne i discorsi non sempre interessanti. Si figura come una di quelle pentole vecchie e tutte bucate e rigate che si tirano fuori per preparare le caldarroste…chi si era accanito con chiodo e martello sul suo povero spirito, privandolo di essere, riducendolo ad un colabrodo? Non lo sa, ma spesso gli viene da pensare che è a causa di quel suo essere colabrodo che gli monta la voglia di esser da un’altra parte e la convinzione che la vera vita sia altrove…

8 commenti su “Ian testa ci pensa su…

  1. Ivana Daccò
    marzo 23, 2017

    Bello! Dopotutto, questo prof. Testa si piace, si piace molto, e questa è una buona cosa, specialmente quando non lo si sa. Molto sano. E molto vero..

    • tommasoaramaico
      marzo 24, 2017

      Grazie. Mi piace come hai rovesciato la prospettiva di lettura. Non si parte dalla miseria (o non solo), ma anche da una certa abbondanza.

  2. Alessandra
    marzo 24, 2017

    A me sembra di aver colto un’insoddisfazione di fondo nel personaggio, come se avesse una sorta di vuoto interiore (il colabrodo) che è incapace di trattenere a lungo, dentro di sé, eventuali sensazioni gratificanti che giungono dall’esterno, e che quindi necessita di inventarle/rinnovarle di continuo attraverso delle fantasticherie. Ma può darsi benissimo che questa impressione sia sbagliata.

    • tommasoaramaico
      marzo 24, 2017

      È infatti questo è il punto di partenza. Ivana rovescia – sorprendendo anche me, andando non contro ma oltre le mie intenzioni – Ian Testa è chiamato ad una ricognizione continua su di sé in quanto incapace di “trattenere” e, al tempo stesso, per non rischiare di dimenticare…quale delle due tendenze sia predominante è cosa ulteriore e non oso intervenire. Ormai I. A. si espone in tutta autonomia e la mia parola non vale né più né meno di quella di chi ne segue le vicende e le non-avventure…

  3. Ivana Daccò
    marzo 25, 2017

    Arrivo in ritardo, dopo due giorni di quasi assenza dalla tastiera. Vero, e davvero bello; Ian vive di vita propria e tu non puoi farci niente. Un grande risultato.
    Poi, leggo anche Alessandra e penso, certo, la vita interiore, la nostra psiche, non risponde al principio di non contraddizione. Ci sta tutto.
    L’immagine del colabrodo, su di me, ha creato l’idea di qualcosa che trattiene l’essenziale e lascia scorrere via tutto ciò che appesantisce inutilmente.
    Bellissimo poi (e gratificante) il sogno del funerale, e la figura del ragazzo che non riusciva a stare seduto, e la sua restituzione del professore, di quel tale capace di soluzioni relazionali geniali per semplicità, come l’uovo di Colombo. Indubitabilmente qualcuno che mantiene i propri pensieri ad un certo livello. Faticoso da realizzare. Produttivo.
    Attendo un seguito

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Questa voce è stata pubblicata il marzo 22, 2017 da con tag , .

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