Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Ma, in fondo, la vera tragedia è che sono qui, solo, con nemmeno tanti soldi in tasca, a girare come un disperato nel traffico della città, a sentire che tutti si augurano “buon Natale” e “buon anno”, e io ancora non ho imparato bene questa benedetta lingua. La guerra, la vera guerra, dice Klaus, è questa: non l’odio che getta le persone l’una contro l’altra, ma soltanto la distanza che separa le persone che si amano. Stasera, stanotte, in questa vigilia natalizia, non sono che un povero studente italiano di ventiquattro anni perduto nella metropoli, senza un amico, senza una ragazza, senza un tacchino farcito da divorare bevendo sekt. Per questo, in un certo senso, io sono in guerra.
Dopo Dickens (qui) e Rodari (qui) volevo chiudere la parentesi natalizia – benché il 25 sia passato già da qualche giorno – con un omaggio ad un autore italiano poco letto e conosciuto, prematuramente scomparso dopo una breve, e folgorante, parabola intellettuale, artistica ed esistenziale: Pier Vittorio Tondelli, con il suo breve racconto Ragazzi a Natale.
Un quindicenne in vacanza in montagna, ansioso di liberarsi della famiglia per andare ad una festa, lì dove lo aspetta Marisa, una sua coetanea alla ricerca, proprio come lui, di un bacio; un ragazzo del nord che sta facendo il servizio militare a Roma e che non riesce a trovare il colonnello che dovrebbe firmargli il foglio di autorizzazione per lasciare la caserma ed andare alla festa di una certa Clara; uno studente universitario a Berlino, solo, la notte della vigilia di Natale perso nel gelo delle strade di Berlino e fra i segni ancora visibili della “follia distruttrice della guerra“. Il quindicenne si libererà della famiglia per andare alla tanto agognata festa; il militare, che invece non riuscirà a farsi firmare il foglio di permesso, rimarrà steso nella sua branda, d’umore nero mentre romani, calabresi, abruzzesi riempiranno la camerata con urla e canti e brindisi, alimentando il suo senso di solitudine, così come l’odio e di disprezzo che prova verso tutti loro, “imbecilli terroni“; lo studente fuori sede rimarrà solo e senza amici, quelli con cui divide l’appartamento sono partiti verso le rispettive case o impegnati in cene famigliari alle quali lui non poteva proprio partecipare. In questo senso i ragazzi di questo racconto sono tutti in “guerra“, separati, anche se in modo diverso e con diverse intensità, obiettivi e speranze – da ciò che desiderano. La pace, per i tre ragazzi, la possibilità della pace, per questi tre ragazzi, si darà, però, anche e soprattutto nella disponibilità che dimostreranno ad accogliere l’offerta di pace che inaspettatamente verrà dall’altro, non importa di chi o da dove venga.
Usciamo di corsa dalla casa, tenendoci per mano. Guardo Marisa: ha le guance rosse; i suoi occhi azzurri luccicano ai bagliori della notte. Ho quindici anni e so quel che un uomo deve fare in queste occasioni.
I siciliani, i napoletani, gli abruzzesi, i casertani, i sardi, i calabresi e i pugliesi fanno un casino della madonna…bevono e mangiano, ballano e brindano. Li odio!…poi si avvicina alla branda un tipo e, porgendo un bicchiere dice: “Perché non bevi con noi?”. È tutto strano, così strano. Mi sembra di non aver aspettato altro. È incredibile come rispondo, timido:”Si”. Improvvisamente sento caldo, e la rabbia tende a sfumare.
Un autobus si arresta davanti alla pensilina. È quasi vuoto. Mi va l’idea di farmi un giro solitario per Berlino…”Buon Natale” mi dice il conducente…e mi invita a una festa…D’improvviso non mi sento più in guerra. E so che questo sentimento non ha a che vedere con il Natale…
Tre ragazzi (o forse, a dispetto del titolo, uno solo che attraversa diverse tappe – dall’adolescenza alla prima maturità), tre natali, tre luoghi, tre dimensioni esistenziali, un unico filo che li lega. Lo spavento che procura la solitudine strisciante nelle grandi città, lì dove la libertà promessa apre necessariamente al rischio dello spaesamento e dell’abbandono, ad una guerra permanente e silenziosa e per questo più dolorosa, perché inconfessabile…eppure, questa apertura, insieme ai rischi che comporta, conserva e mantiene la possibilità dell’incontro, di una pace che può prendere le sembianze di una ragazzina dai capelli color cenere, di un commilitone terrone che offre da bere, di un conducente d’autobus a Berlino Ovest. Il Natale non è il momento in cui si è felici o più buoni, ma una sorta di spazio emotivo in cui si concentra e si esalta, fino a farsi bruciante e corrosivo, il bisogno insopprimibile di essere in comunione, non importa se laica o religiosa…
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
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Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Toccante, e vero.
Il post.
Quanto a Tondelli, è un nome che mi segue da tempo, di lui lessi parecchio tempo fa un brano, non ricordo bene, ricordo solo che riguardava Rimini e m’era piaciuto.
Piacere che ho ritrovato nei brani da te riportati.
Bene hai fatto a ricordare Tondelli, che ritengo però più conosciuto di quanto ti sembri. È un nome che mi capita di ritrovare spesso, da giudicarlo riferimento per una certa generazione come lo è stato, in altro modo ovviamente, Bukowski. Prima ancora Hemingway o Calvino e via,via risalendo gli anni.
Mi viene da pensare che ogni generazione abbia i suoi scrittori e che passata quella generazione e quel tempo, morto lo scrittore, siano poi in veramente pochi a ricordarlo. Certo, qualcosa resta, il tempo screma. Ma anche il tempo non è detto che sia sempre un buon giudice.
In altro campo, e valga per tutti, è sintomatico il barattolo di Manzoni intitolato “Merda d’artista”. Quello sì restato miliare nel tempo e battuto a valori crescenti alle aste 🙂
Scusa la divagazione, ma non ce l’ho fatta a resistere 🙂
Grazie per la divagazione. Per quanto ne so, Tondelli è uno di quegli autori conosciuti ma poco letti (oggi, a differenza di venti anni fa). Personalmente è uno di quelli di cui bisogna seguire il percorso nella sua totalità. L’adesione alla religione, le prese di distanza, la militanza politica, un nuovo tentativo di riavvicinarsi alla fede. E poi la parabola artistica, la sua personale interpretazione del postmoderno. Quindi, a torto ricordato da pochi.
Sì, hai ragione.
È tanto vero quanto affermi che, per esempio, io per primo ignoravo l’intensità umana e intellettuale dell’iter, della vita seppur breve, di Tondelli.
Ogni volta mi incanti. Molto bella, tra le altre, la tua ultima riflessione. Per Guido: da parte mia, lo sai, ti perdono la divagazione, anche perché se non l’avessi fatta stenterei a riconoscerti 😉 😉
Alessandra, un abbraccio!
Grazie mille. Per quanto concerne le divagazioni di Guido, che dire, sono preziosissime postille che arricchiscono non solo me, ma anche chi passa da queste parti.
Sei un “signore”.
(Abbi pazienza se non mi riesce di trovare un’espressione meno da Bar Sport)
Beh, fra “signori”…
Battuta splendida, m’hai fatto ridere!
Ci si prova!
“Il Natale non è il momento in cui si è felici o più buoni, ma una sorta di spazio emotivo in cui si concentra e si esalta, fino a farsi bruciante e corrosivo, il bisogno insopprimibile di essere in comunione, non importa se laica o religiosa.”
Non si poteva dirlo meglio di così!!! 🙂
Grazie. Non so se sia il migliore, certamente è quanto Tondelli è riuscito a mio avviso ad esprimere in questo bellissimo racconto.