Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

O’Connor, Il cielo è dei violenti

Il vecchio, che diceva di essere un profeta, aveva cresciuto il ragazzo insegnandogli ad aspettare a sua volta la chiamata del Signore, e a tenersi pronto per il giorno in cui l’avrebbe udita. L’aveva istruito sui mali che toccano a un profeta, quelli che vengono dal mondo, e sono trascurabili, e quelli che vengono dal Signore e lo purificano ardendolo, perché lui stesso era stato purificato ardendo più e più volte. Lui, aveva imparato attraverso il fuoco.

I critici si sono scervellati ed accaniti su opere, vita, talento di quella grande scrittrice che è stata Flannery O’Connor. Cosa mettere al centro delle analisi, dove trovare la chiave per accedere alle sue opere? Il ruolo della fede cattolica, il contesto geografico o, ancora, la malattia che le era stata diagnosticata quando era ancora una ragazza? Difficilmente, prendendo le mosse da un solo aspetto della sua esistenza, si riuscirà a render conto della bellezza, della profondità e delle altezze che Flannery O’Connor è riuscita a raggiungere, entrando di diritto nella schiera di quegli scrittori (Faulkner su tutti) che meglio nel Novecento hanno descritto l’America del Sud, affondando anima e corpo in quel sublime e corrosivo impasto fatto di famiglia, razza e religione. Tutto questo sta alla base de Il cielo è dei violenti, con un titolo preso da un passo del Vangelo di Matteo. Qui, come del resto in tutta l’opera di Flennery O’Connor, il filo della narrazione procede lungo il contrasto tra fede e ragione. La storia si svolge in una baracca sperduta nel profondo della Georgia e inizia con la morte del vecchio Mason Tarwater, che si crede un profeta e che per anni aveva vissuto in un rabbioso isolamento contro una società corrotta e senza fede. Accanto a lui solo il pronipote, un quattordicenne confuso che porta il suo stesso nome e che il vecchio aveva rapito dalla casa di Rayber, zio del ragazzo e a sua volta nipote del vecchio profeta. Morto il prozio il ragazzo dà fuoco a tutto e senza dare sepoltura al vecchio profeta si reca dallo zio, brillante professore che a sua volta, da ragazzo, aveva con potenza subito la fascinazione della fede intransigente di Mason Tarwater e che poi, nel tempo, ha fatto di tutto per liberarsi di quelle scorie, della violenza della religione per dedicarsi al sapere scientifico, facendosi portatore e rappresentante di una visione illuministica e laica della vita. Così questo giovane ragazzo che poca esperienza aveva avuto del mondo (e quella poca sempre filtrata dalle parole ed idee del prozio) deve finalmente saggiare nel mondo la tenuta della grandiosa e terribile narrazione del vecchio profeta e capire, a sua volta, se lui stesso sarà un profeta, se riceverà un qualche segno, se il Signore poserà su di lui la propria attenzione, il proprio pensiero, se lo farà ardere nel fuoco della verità della fede.

il cielo è dei violenti flannery o'connor

Il profeta di ieri è il matto di oggi, quello che si aggira per le strade delle grandi città parlando da solo, quello che vuole spiegarti qualcosa di importante, qualcosa di fondamentale, mentre tu non hai tempo per lui, le sue parole. Quello che ieri si diceva profeta ed oggi diciamo matto, nulla a che vedere con le signore che girano con opuscoli informativi su cosa sia il Paradiso e sul modo di ingraziarsi un Dio ridotto ad amministratore di un enorme lotto di appartamenti da urlo. Niente simpatica vecchietta, niente quarantenne ben vestito, incravattato e sorridente, ma fastidioso come una zanzara; al contrario, qui abbiamo un vecchio rabbioso che incute timore, non troppo pulito e che alle volte si concede un goccio di troppo, ma, soprattutto, portatore di un Dio capace di ardere, che incute timore e tremore. Quello che ai più pare toccato, in questo romanzo viene preso terribilmente sul serio, così come seriamente viene affrontato il conflitto tra fede e ragione. Entrambe queste istanze (mi permetto di avanzare un paio di argomenti da quattro soldi) credono di vedere l’una più dell’altra, anche se per mezzo di strumenti diversi ed inconciliabili, anche se entrambe poggiano su di un fondamento comune e per entrambe in qualche modo fatale: la fede. Da una parte la fede nell’uso della ragione, il credere che la ragione risolva e comprenda il mondo senza sragionare, facendo però poggiare il pensiero e la razionalità su qualcosa di non razionale (la fede nelle capacità del pensiero, appunto); dall’altra c’è una fede che, per esser tale, deve credere (aver fede) in se stessa, deve poter creder-si e convincersi della propria bontà e buona fede per non cadere nella mala-fede che inevitabilmente bracca il fedele nel suo rapporto con il mondo e tutto il male che vi alberga: in questo modo, la fede non ha più un rapporto immediato con il proprio oggetto (Dio), ma solo un rapporto mediato che passa per un gioco di specchi che mette a nudo la fragilità di ciò che fa da fondamento alla fede stessa, e cioè l’uomo (fine parentesi da quattro soldi).

Tutto il romanzo si gioca e si snoda su contrapposizioni che si risolvono l’una nell’altra. La dicotomia fra città (luogo del male, della perdizione, della ragione) e campagna (distanza dalle tentazioni, rapporto immediato con la creazione). Sarà la campagna che il ragazzo, dopo la morte del prozio e profeta, dovrà lasciare e di lì dovrà dirigersi proprio nel centro dove si annida tutto quanto contrasta con i valori con cui è stato allevato. Lì il ragazzo dovrà mettere alla prova le parole del vecchio, così come la sua stessa fede e comprendere se lui steso sarà profeta o semplice pazzo o se mosso da vera fede ma più debole di Satana, principe del mondo. Dio, uomo e mondo sono le tre grandi istanze. Per la religione l’uomo deve prendere le distanze dal mondo per guardare in sé (il senso stesso della riflessione è il ri-flettere, il flettersi su se stessi) e per rinvenire al proprio interno la traccia di Dio e riconoscersi sue creature, per scoprire il “marchio di fabbrica”. Ma la vera fede contempla un’uscita dalla riflessione e il metterla alla prova nel mondo, per redimerlo. Questo è quello che deve fare il ragazzo.

La testa gli si girava di scatto, a ogni figura che passava, finché cominciarono a passarne troppe, e il ragazzo si accorse che i loro occhi non ti si attaccavano addosso come gli occhi della gente di campagna…Poi si rese conto, quasi senza preavviso, che quello era un luogo malvagio: e malvage erano le teste chine, le parole borbottate, la premura d’allontanarsi. In un’illuminazione improvvisa capì che quella gente si allontanava in fretta da Dio onnipotente.

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C’è una voce che parla da dentro il ragazzo, qualcosa come una specie di genio maligno. Anche qui, come altrove nel romanzo, regna la contraddizione: quella che parla è una voce che trascende il ragazzo per guidarlo verso la verità? O è il risultato d’una frattura interna, il seme della follia, il primo stadio di un progressivo ed inarrestabile allontanamento dalla realtà che voterà il ragazzo ad ingrossare le fila di quegli esaltati che sentono voci, che bloccano per strada la gente “per bene”? La voce pianta il seme del dubbio, distrugge la memoria del vecchio Tarwater, ride all’idea che il ragazzo possa essere un profeta, lo invita a muoversi, a lasciare la baracca in cui per anni aveva vissuto per andare in città. È Dio a chiamarlo per mettere alla prova la fede del ragazzo o è Satana a parlare in lui o, ancora, è semplicemente pazzo? In ogni caso il ragazzo è chiamato nel mondo e, quindi, a scoprire l’altro modo di vivere e concepire la vita, stile incarnato dallo zio, professore, illuminista, a modo suo radicale come il vecchio Tarwater nella sua brama di ridurre e ricondurre la fede a mera superstizione o a segno di squilibrio metale. Il giovane Tarwater verrà accolto dallo zio, che è padre di un ragazzo affetto da grave ritardo mentale. Verrà accolto, si, ma come un figlio da redimere, da salvare dall’abisso di una fede che confina col delirio. Ecco che nasce una triangolazione (padre-ragione, idiota, ragazzo-fede) che esploderà in un finale che tragicamente impone una soluzione che non risponde in modo definitivo a nessuna delle domande sollevate. Le sorti dei tre si riveleranno sempre più strette, specchiando le tre grandi posizioni che si possono avere nei confronti del mondo: ragione, fede, idiozia. Tutto all’ombra dell’inquietante ed ingombrante ricordo e testimonianza del vecchio prozio ormai morto, vecchio la cui anima vaga perché non sepolto dal nipote, ma dato alle fiamme, oltraggiato nel desiderio di essere cristianamente e dignitosamente sepolto nella terra.

Se è vero che Flannery O’Connor descrive e denuncia la miseria di una ragione che vuole poggiare solo su se stessa, così come la disperazione riservata all’uomo che si vuole unico artefice del proprio destino affidandosi ad una ragione che poi è calcolo e baratto e disumanizzazione del mondo; allo stesso modo, però, ci mostra il lato oscuro della religione, quella dove la pietà e l’amore passano per la furia, l’ira, il giudizio severo ed il castigo che deve mondare dalla lordura di un peccato che non è mai completamente perdonato, mai compreso, tollerato. È la religione per i pazzi, i violenti nello spirito, gli intransigenti, gli invasati, i vagabondi; una religiosità attiva che si muove nel pericolo. E però ne Il cielo è dei violenti traspare qualcosa della religione nel suo senso più alto, una religione che non può che essere per i diseredati ed i vagabondi, per gli indigenti, per coloro che sono necessariamente gettati in tali condizioni per il semplice fatto che la casa (religione o meno, ed è proprio questo che il razionalismo non vuole “mettersi in testa”), in fondo, non è mai qui (dove fisicamente siamo), così come non è qui il cibo che veramente sazia e delizia, non è qui la verità che scaccia l’ombra del dubbio, il timore sottile e perverso che sia tutto sbagliato, finzione. Casa, cibo e verità sono, in fondo, altrove…in questa ottica si può rileggere il titolo di questo grande romanzo e decretare chi sono i violenti, a cosa si fa violenza e per quale cielo si lotta e ci si sbrana o ci si ritrova e ci si allea, mossi da paura.

A mezzanotte si era già lasciato dietro la carreggiata e il bosco in fiamme ed era tornato sullo stradone. La luna che solcava bassa il cielo, sopra il campo al suo fianco, appariva e spariva, viva come un brillante fra chiazze di oscurità. A tratti, l’ombra sfrangiata del ragazzo tagliava obliqua la strada dinanzi a lui, come se gli aprisse un sentiero vergine verso la meta. I suoi occhi strinati dal fuoco, neri nelle orbite profonde, sembravano già vedere il fato che lo aspettava, ma Tarwater proseguì senza esitazione, col viso rivolto alla città oscura, dove i figli di Dio giacevano addormentati.

 

11 commenti su “O’Connor, Il cielo è dei violenti

  1. Alessandra
    settembre 19, 2015

    Molto interessante la recensione del romanzo, così come la tua parentesi sugli eccessi della fede e della ragione 😉 In questo periodo, leggendo i racconti della O’Connor, ho avuto modo anch’io di scoprire una narratrice formidabile, capace di creare storie dal contenuto forte e realistico, talvolta anche scioccanti e dagli esiti imprevedibili. Non per nulla è diventata una scrittrice di culto, nonostante l’esigua produzione letteraria dovuta alla malattia e alla vita troppo breve. Hai per caso letto anche il suo saggio “Nel territorio del diavolo”? Lo sto trovando molto utile per comprendere meglio le sue idee sulla scrittura.

    • tommasoaramaico
      settembre 19, 2015

      Grazie. No, ho letto solo questo romanzo, ma mi sono già procurato anche l’altro e i racconti, anche se voglio tenerli da parte per non peccare di ingordigia e non rischiare di mancare un incontro più consapevole con questa incredibile scrittrice. Comunque sia, visto quello che mi dici presto mi procurerò anche i saggi e non mancherò di farti sapere.

  2. Guido Sperandio
    settembre 19, 2015

    Non si finisce di scoprire scrittori ignorati eppure degni. Non conoscevo nemmeno di nome questa scrittrice e ne hai dato una recensione illuminante. La contrapposizione religione-ragione che così bene hai evidenziato, trovo sia interessante, trascende il caso dei protagonisti, e trascende pure luoghi e tempi. Peraltro, è più che mai attuale.

    • Guido Sperandio
      settembre 19, 2015

      Aggiungo: trovo molto bello il titolo, tanto espressivo da sintetizzare il concept del libro stesso.

      • tommasoaramaico
        settembre 19, 2015

        Molto bello e, soprattutto, costruito a strati. La lettura che ne ho dato io (indipendentemente dal fatto che non ho voce in capitolo) non può che essere una indebita semplificazione. La lettura del romanzo illumina il titolo nelle sue molteplici e contraddittorie sfaccettature.

    • tommasoaramaico
      settembre 19, 2015

      Anche io ho scoperto (troppo) tardi questa scrittrice e ammetto di aver già comprato – appena finito Il cielo è dei violenti – il volume con tutti i racconti e l’altro romanzo da lei scritto, La saggezza del sangue. Il rapporti fede-ragione è sì al centro della sua narrazione e se di questo problema si vuole comprendere qualcosa bisogna, fra le altre cose, lasciar perdere i chiacchieroni di oggi e leggere libri come questi.

  3. viducoli
    novembre 12, 2015

    Bellissima recensione di un romanzo che ha colpito molto anche me. Al proposito a suo tempo avevo annotato questo:
    Stupisce e sconcerta come un’autrice profondamente cattolica e nata nel sud più conservatore degli USA, che scrive in pieno maccartismo, sappia illuminare con precisione chirurgica i recessi più reconditi dell’America profonda, le sue pulsioni segrete, e sappia dirci con tanta chiarezza come sia il fondamentalismo religioso sia lo pseudorazionalismo rappresentato dallo zio non possano che portare, in una società fondamentalmente priva di valori, alla disgregazione totale. Nessuno si salva, inatti, nel libro: non vi sono figure positive: Tarwater può riavvicinarsi alla città solo perché ha interiorizzato la violenza, ne ha fatto esperienza concreta; lo zio fallisce clamorosamente il suo tentativo di rieducare laicamente il ragazzo.

    • tommasoaramaico
      novembre 12, 2015

      Grazie. Beh, mi pare che tu sia riuscito – con grande lucidità – a concentrare in poche righe quello che io ho tentato di dire usando molte più parole. E sono pienamente d’accordo quando scrivi “non vi sono figure positive”. Sembra quasi che la O’Connor non scorga alcuna via d’uscita dal peccato, la violenza, la grettezza…forse (pazzesco per una donna bianca, cattolica, del Sud, in quel contesto politico/sociale/economico) la si può scorgere nella pietas che spinge quei “neri” a seppellire il corpo abbandonato del vecchio profeta, quel corpo che il giovane Tarwater non ha esitato ad abbandonare…

  4. Pingback: Harper Lee, Il buio oltre la siepe | Tommaso Aramaico

  5. Dragoval
    giugno 11, 2017

    Potente recensione di un romanzo potente di una scrittrice difficile -meglio direi forse: inafferrabile nella sua complessità, e comunque mai scontata né banale. La presenza di Faulkner, come tu dici,si percepisce dovunque (e attraverso di lui, quella di Melville e soprattutto di Hawthorne, poiché la letteratura americana nasce e si definisce nell’ eterna, titanica lotta con(tro) la Bibbia e i suoi miti). Quanto alla figura del folle, che qui tu citi a più riprese, sai di certo che costituisce l’ultima tappa dell’evoluzione degli archetipi junghiani: colui che tutto ha visto e tutto ma che parla già una lingua che nessuno può comprendere perché non è più di questo mondo.

    • tommasoaramaico
      giugno 11, 2017

      Grazie. A proposito del folle-profeta, in una deliziosa coincidenza, proprio oggi sfogliavo dopo tempo Introduzione alla psicoanalisi di Freud all’altezza della 17esima lezione, dove si tratta del senso dei sintomi nevrotici. Cito: “rimando…alle impressionanti chiarificazioni di sintomi totalmente oscuri nella cosiddetta dementia praecox, fornite da C.G.Jung al tempo in cui questo ricercatore era soltanto uno psicoanalista e non voleva ancora essere un profeta…”

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Questa voce è stata pubblicata il settembre 19, 2015 da con tag , , , .

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