Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
…a quell’epoca Sutpen non solo non aveva denaro da spendere per le bevute e la convivialità, ma nemmeno il tempo e la voglia: che a quell’epoca egli era completamente schiavo della sua impazienza segreta e furiosa…così lo acchiappavano, lo mettevano con le spalle al muro, nell’atrio fra il tavolo della cena e la sua porta serrata per dargli modo di dir loro chi fosse e do de venisse e che progetti avesse…
Faulkner è noto per una certa tendenza a scrivere in modo da rendere la vita difficile, se non impossibile, anche al lettore più smaliziato. Allo stesso modo, chiunque l’abbia letto sa bene quanto difficile (e forse inutile ai fini della comprensione profonda dei suoi romanzi) riassumere la trama delle sue opere. Ecco, tutto questo con Assalonne, Assalonne! raggiunge (a mio avviso) il suo apice, andando a superare di gran lunga per complessità, ampiezza, numero dei personaggi, contesto, altri suoi magnifici romanzi come L’urlo e il furore, Mentre morivo o Le palme selvagge. Assalonne, Assalonne! è la storia, che confina con la leggenda, dell’ascesa e della caduta di Thomas Sutpen, uomo che un giorno giunge dal nulla, senza radici, senza passato, senza danaro, conoscenze, a mala pena con un nome, un cavallo e qualche straccio, nella città di Jefferson, nello Stato del Mississippi. Assalonne, Assalonne! è il racconto della ferma, furiosa volontà di questo uomo di crearsi una posizione, di diventare influente, di essere rispettabile e temuto.
E poi, era nel suo volto; era lì che stava il suo potere, tuo nonno diceva: che a chiunque bastava uno sguardo per concludere: “Dati occasione e bisogno, quest’uomo è capace di tutto”.
Sutpen, senza passato, colui che è di “nessun posto”, indemoniato, preso da una smania furiosa di cui tutti ignorano le origini, è l’incarnazione di una volontà di progresso che edifica a partire dal nulla, volontà mai innocente, ma necessariamente fondata sulla violenza, sia fisica che psicologica. Dal nulla Sutpen diviene proprietario di un terreno enorme (sottratto ai nativi indiani), costruisce la più grande casa della contea, ottiene una sorta di monopolio sul commercio del cotone, tiene sotto di sé un gran numero di negri, diviene generale nella grande Guerra di Secessione, parteggiando, ovviamente, per i diritti del Sud latifondista, conservatore, razzista. Intorno all’epopea di Thomas Sutpen, però, gravitano mogli e figli e conoscenti e uomini e donne che gli sono stati vicini per legami di sangue o per affari o per spirito di corpo durante lo scontro fra il Nord ed il Sud. Impossibile qui rendere conto di tutte queste altre anime che, chi in un modo, chi in un altro, hanno partecipato e sono state influenzate, macchiate, fatalmente corrotte dal destino di questo uomo, destino che è, al tempo stesso, individuale e collettivo. Tra figli legittimi e rinnegati, tra matrimoni promessi e celebrati, tra rancori fra bianchi e quei negri tanto disprezzati eppure così vicini, così irriducibilmente fratelli, si viene travolti dall’ascesa e dalla caduta non solo di un uomo, ma di un cognome, di uno Stato, di un’intera area del paese (il Sud), di una realtà che pareva non frutto di compromessi e progressi della storia, ma qualcosa di eterno, religiosamente/metafisicamente fondato che però va improvvisamente in pezzi privando di realtà quegli stessi uomini, Sutpen in testa, che per quel mondo per anni avevano lottato.
Tutto li. Lui risalì il viale rientrando nelle nostre vite e non lasciò alcuna increspatura tranne quelle lacrime istantanee e incredibili. Perché lui stesso non era lì, e usava la stanza che gli avevamo tenuto e mangiava il cibo che noi producevamo e preparavamo come se non potesse né sentire la morbidezza del letto né far distinzione tra i cibi per qualità o gusto. Si. Lui non era lì. Qualcosa mangiava con noi; noi parlavamo a questo qualcosa ed esso rispondeva alle domande…levandosi senza preavviso da qualche profonda e stupefatta inerzia completa, parlava, non a noi, le sei orecchie, le tre menti capaci d’ascoltare, ma all’aria…
Ancora: quasi impossibile riassumere, scegliere passi. La questione della trama è qui un fatto decisamente antico, (la trama essendo) non solo uno strumento inutile, ma qualcosa che può che portare fuori strada. Ci sono blocchi di Storia. Il grande affresco della guerra di Secessione ed il razzismo imperante, quella granitica certezza già incontrata con Il cuore nero di Paris Trout di Pete Dexter e che qui assume valenza metafisiche, tanto da porsi – il problema del razzismo e dell’eventualità di mischiare sangue bianco e nero – sullo stesso piano e surclassare antichi tabù, tale da misurarsi con fantasmi ancestrali come quelli dell’incesto. Assalone, Assalone! deve esser letto e correre il rischio di non cavarne nulla se non tanta delusione e frustrazione e rabbia (delusione e rabbia e frustrazione assicurate se si è ingenuamente alla ricerca di una storia). Romanzo fatto di contrapposizioni senza sintesi, dove nessuna consolazione appare possibile. Nord e Sud, padri e figli, bianchi e neri, liberi e schiavi, ricchi e poveri, vincitori e vinti, uomini e donne, città e campagna, caldo e freddo. E poi il grande tema dell’eredità, l’ergersi di colui che costruisce ed edifica e si dà il compito di dare inizio ad una stirpe cui deve lasciare qualcosa; e poi coloro che devono caricarsi dell’onere di accettarla, questa eredità, con tutto il carico di violenza e sopruso ed odio e povertà che tale accettazione comporta.
Quel che resta dei romanzi di Faulkner, e di questo in modo particolare, non è niente altro che una >voce<, nulla più, anzi, una serie di voci senza storia. I romanzi di Faulkner sono stupendi e paurosi, incutono timore e curiosità, paiono una enorme casa vuota piena di spifferi e cigolii e scricchiolii. Tutto questo li rende così unici: perché suscitano quella paura/fascinazione che invita ad entrare; per il sospetto che non se ne possa più uscire; per la certezza di esser condannati a terminare una lettura senza aver compreso tutto, o senza aver capito proprio nulla, se non una cosa: che la casa vuota eravamo noi e quegli spifferi e cigolii non erano altro che il racconto di Faulkner che di noi si serviva per poter sussistere. Forse l’imbarazzo del lettore è quello che serpeggia nel lungo dialogo fra due giovani studenti, uno del Nord, l’altro del Sud, entrambi persi nella narrazione del mito di Thomas Sutpen, entrambi incapaci di trarre un discorso coerente dalla leggenda. Entrambi chiedono lentezza, entrambi hanno bisogno di riprendere il discorso più e più volte, nel vano tentativo di tirarne fuori una storia, senza però capire (e questo sarebbe errore grave anche per un lettore che Faulkner considererebbe avventato ed ingenuo) che qui non c’è storia, ma racconto, anzi, un raccontare. E ogni vero raccontare, per definizione, non ha inizio né svolgimento né fine.
…e credo che il nonno dicesse: “Un momento, un momento, per grazia di Dio un momento” pressapoco come stai facendo tu, finché lui da ultimo si fermò e risalì nel tempo e ricominciò daccapo con un certo riguardo almeno per la nozione di causa ed effetto anche se non per la sequenza logica e la continuità…e intanto lui raccontava tutto daccapo e pure non era ancora assolutamente chiaro – il come e il perché lui si trovasse lì e che cosa facesse – poiché non stava parlando di se stesso. Stava raccontando una storia…raccontava semplicemente una storia di qualcosa che era successo a Thomas Sutpen e sarebbe stata la stessa storia anche se l’uomo non avesse avuto nome alcuno, anche se si fosse trattato di qualsiasi uomo o di nessuno in particolare tra una sorsata e l’altra di whisky nella notte.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
«E ogni vero raccontare, per definizione, non ha inizio né svolgimento né fine.»
Sono parole tue che condivido pienamente e con entusiasmo. Perchè è una verità.
La trama è limitatrice.
Si, e sono proprio autori come Faulkner a rendere tutto questo lampante: grazie ad una scrittura che si libera dal peso di una trama da svolgere a tutti i costi. Grazie per il commento.
Grazie a te. Perchè per questa tua scelta ora vedo chiaro un concetto che mi mulinava da tempo, latente. Certo, occorre coraggio e talento. Il lettore vuole sapere come va a finire 🙂 Del resto non gliene frega niente 🙂
“Il come va a finire” è l’esca e quindi è in qualche modo necessario, ma se c’è solo quello allora si cade/sprofonda in quella letteratura che Adorno definiva amena.
Bellissima la metafora della casa vuota piena di spifferi e cigolii. Mi hai fatto venire una voglia matta di riprendere in mano un libro di Faulkner.
Grazie. È stata la sensazione che mi ha accompagnato per tutta la lettura di questo romanzo. Riprendere Faulkner? C’è Luce d’agosto lì nello scaffale ed ho dovuto faticare molto per lasciarcelo e leggere un altro autore.
Ecco, proprio quello. E’ lì che aspetta anche sul mio scaffale. Ma avevo già in programma di leggere un altro autore (oltretutto ho finito appena ieri Dostoevskij, e devo finire di metabolizzarlo), quindi temo che anche nel mio caso dovrà aspettare… magari ci capiterà di leggerlo nello stesso periodo, chissà le coincidenze…
Un Dostoevskij e un Faulkner, uno dopo l’altro? Overdose di bellezza.
Curioso, scopro oggi (tardivamente colpevole e colpevolmente tardiva) il tuo blog e il primo post che leggo è sul libro che sto leggendo…..
Lusingato che questo piccolo spazio ti piaccia. Per quanto concerne Faulkner e il mio tentativo (necessariamente votato al fallimento) di scriverne, spero che tu non debba immediatamente ricrederti. Grazie per esser passata da queste parti.
Pingback: William Faulkner, Luce d’agosto | Tommaso Aramaico
Pingback: Assalonne, Assalonne! - Wikipedia - SAPERELIBERO