Tommaso Aramaico

Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.

Moody, Tempesta di ghiaccio

Lasciate dunque che vi presenti la storia di una famiglia che ho conosciuto durante la mia adolescenza. In questa storia c’è una parte di me, come sempre quando si chiacchiera, ma di questo parleremo in seguito. Primo: la stanza degli ospiti, con l’ordinato squallore di tutte le stanze degli ospiti. In questa camera c’è Benjamin Paul Hood – il padre. In una casa che non è sua ma che appartiene a Janey e Jim Williams, a un centinaio di metri dalla comoda dimora in cui abita invece Hood. Nel quartiere della più gradevole e apparentemente tranquilla periferia. Nello stato più prospero del Nord-est. Nella nazione più ricca del mondo. Nel giorno del Ringraziamento appena finito e già dimenticato. Tre anni scarsi dopo l’esplosione di follia consumistica che è stato il Bicentenario.

Questo l’incipit di Tempesta di ghiaccio, secondo romanzo di Rick Moody e, in qualche modo, tappa fondamentale in vista della creazione di Rosso Americano, il suo lavoro più compiuto e riuscito. Se quello della famiglia è uno dei temi dominanti della poetica di Moody, anche qui, come già in Rosso Americano, al centro abbiamo il tema della fuga dalle catene dei legami famigliari, l’incapacità di farsi carico fino in fondo di un impegno preso nel passato e che si risolve in un atto di volontà votato allo scacco; anche qui questo tema funge da molla della vicenda e da piano da lavoro, da tavolo operatorio per una spietata analisi della famiglia e del suo declino come modello, della nascita di una nuova tavola di valori.

Era una storia che non portava da nessuna parte. Solo qualcosa che era successo. Qualcosa cui pensare nel mausoleo dei rimpianti famigliari.

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Ambientata nel 1973, in piena rivoluzione sessuale, è la storia della disgregazione di due coppie borghesi, quella degli Hood e quella dei Williams, la storia dello scontro di questi stessi genitori con i loro figli, così come della difficoltà, per questi ragazzi, di affrontare il duro passaggio dall’infanzia all’adolescenza e, ancora, all’età matura. Sullo sfondo di questa crisi, quella più ampia, generale e profonda, di un paese rimasto impantanato nelle secche del Vietnam, che perde se stesso negli scandali che travolgono il presidente Nixon. Nessuno è al sicuro, la massima opulenza mai raggiunta da un popolo nella storia dell’umanità non riesce a mettere al riparo dal dolore, anzi, quella stessa società che comanda il piacere, il godimento, la realizzazione personale, contribuisce, in realtà, ad aprire enormi spazi di solitudine e dolore. Li dove l’imperativo obbliga alla ricerca del nuovo, al fare esperienze di cose nuove (in questo romanzo esemplificato da un key party, e dall’idea dello scambio di coppie nella casa degli Halford), il rischio è quello di condannare ogni legame affettivo allo svuotamento ed alla perdita di senso e valore in misura direttamente proporzionale alla sua durata, lì dove la fedeltà non è un ideale, ma prigione, lì dove la dedizione all’altro viene svalutata a dimenticanza di sé e dei propri interessi, travolta dal mito di una “crescita personale” dove ogni rapporto viene pericolosamente distorto a favore di una celebrazione del narcisismo.

Solo nelle giovani generazioni sembrano ancora esservi un disagio ed un dolore inconsolabili per tutto questo, per aver avuto in sorte genitori insoddisfatti, incapaci di essere all’altezza dei valori borghesi di cui s’erano fatti carico e, al tempo stesso, troppo deboli, patetici, vigliacchi, per incarnare un cambiamento di cui non capiscono le componenti essenziali, ma che ne influenza l’esistenza, precipitandoli nell’angoscia. Solo questi ragazzi sono presi da un consapevole, struggente, bruciante anelito verso una vera esperienza del mondo, anche per mezzo dell’incontro di natura iniziatico-sessuale. Solo loro paiono consapevoli dei mali che affliggono il mondo, del fatto che questi mali non possono essere più sopportati.

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Wendy avrebbe voluto sapere perché le conversazioni si bloccano, come si fa a insegnare la compassione e perché la gente smette di amare: voleva saperlo prima di arrivare a casa. Avrebbe voluto che suo padre si desse da fare perché al liceo diminuissero le discriminazioni e perché una volta per tutte smettessero di bombardare lontane nazioni neutrali e perché non si limitassero i poteri del presidente e si studiasse un piano che prevedesse che a New Canaan ogni ragazzo al di sotto dei diciotto anni fosse tenuto a passare un pomeriggio alla settimana con la sorella di Dan Holmes, Sarah Joe, o con quell’altro tipo, Will Fuller, che tutti chiamavano “finocchio”. Wendy voleva che suo padre espiasse la confusione e l’aridità affettiva e il vizio del bere.

Lo spaesamento dei genitori e quello dei figli trova la sua piena rappresentazione nella straordinaria ondata di neve e gelo che si abbatte sul Connecticut nel dicembre del 1973. I genitori dimenticano i figli e questi, lasciati a se stessi, per sfuggire alla furia degli elementi e alla fragilità dei legami famigliari, si cercano fra loro, mendicano calore, un rifugio. Quello che tratteggia Moody non è l’isolamento di chi non hanno avuto accesso al sogno americano, ma, al contrario, il vuoto che scava dall’interno questo stesso sogno, il tarlo dell’indifferenza e del cinismo, della freddezza emotiva, della mancanza di coraggio. Tempesta di ghiaccio probabilmente non è all’altezza di Rosso Americano, ma è comunque un affascinante affresco che affonda il bisturi in un contesto, quello famigliare, che pagina dopo pagina prende sempre più le sembianze di una pozza, di acqua stagnante, di un fluido denso e pastoso dove affondano, si cercano, si evitano e si allontanano uomini, donne e giovani alla ricerca della felicità senza, però, aver mai avuto una chiara idea di cosa questa felicità fosse.

Insomma, non è poi una cosa tanto complicata. È un po’ come succede a voi, quando per una settimana volete il ketchup sugli hamburger e la settimana dopo volete la maionese. Semplice. Oppure come un sabato vi va di andare al McDonald’s, e il sabato dopo invece al Darien Pizza Restaurant. Il matrimonio diventa stretto: si, proprio così. Si rimpicciolisce. È difficile tornare al momento in cui ci si piace reciprocamente, oppure ci si ama l’un l’altro, di un amore forte; semplicemente non si prova più lo stesso interesse reciproco di un tempo. E la società oggi ci insegna che non è necessariamente un male volere…volere un pizzico di sapore, di pepe. È una cosa giusta.

2 commenti su “Moody, Tempesta di ghiaccio

  1. Guido Sperandio
    giugno 7, 2015

    Non conoscevo questo scrittore, e ho trovato i due lavori che hai presentato interessanti. Riguardano fatti e situazioni “americane”, ma non circoscrivibili a quella nazione e a quel momento. Il pregio: d’essere estensibili alla condizione in generale umana.
    Trovo anche interessante il tipo di scrittura, e l’incipit di Rosso Americano.
    Ho apprezzato il tuo riporto.

    • tommasoaramaico
      giugno 7, 2015

      Grazie. Come scrivevo nel post, Rosso Americano è un libro a mio avviso superiore a Tempesta di ghiaccio, che rimane comunque un bel libro. E poi, quello che li rende grandi libri è precisamente quello che tu scrivi: il contesto americano è solo un punto di partenza per un’indagine che va ben oltre i confini di un solo paese.

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Questa voce è stata pubblicata il giugno 7, 2015 da con tag , , , , .

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