Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Io, Giuda Iscariota, nato a Gerusalemme da padre mercante, cresciuto all’ombra del Tempio, istruito nella Legge e nelle Scritture, osservante delle norme e dei precetti, legato agli zeloti per cospirazione e fuggito dalla città santa per scampare alla croce, percorrevo le terre d’Israele ansioso che l’Eterno Adonai si manifestasse mostrandomi un segno della sua potenza, o della sua vanità. Ero giovane, e impaziente […]. Ero tentato di chiedermi dove fosse l’Eterno, e se ci fosse davvero un eterno o non piuttosto un infinito vuoto.
Dato alle stampe nel 1978, poco prima della morte del suo autore, La gloria è un romanzo di incredibile potenza, un libro ingiustamente poco letto, conosciuto e citato, un’opera degna almeno della stessa considerazione del ben più celebre Il male oscuro. Ne La gloria si dispiega la coscienza inquieta di Giuda Iscariota, giovane studioso al tempo stesso riflessivo e pieno di ardore rivoluzionario, uomo disgustato dalla miseria del mondo, tormentato dalla ricerca di Dio, insoddisfatto di una religiosità (quella dei padri) persa in sterili esercizi di esegesi, in un messianesimo passivo che lascia il popolo ebraico in balia dei romani. La gloria deve (può) essere letta come una grandiosa arringa difensiva che è, al tempo stesso, il formidabile racconto di come veramente sono andati i fatti. Il risultato è un affresco dai colori vivissimi, fatto di uomini reali e non idealizzati, di uomini che sono tutto tranne che eroi: uomini in balia dell’ignoranza delle cose del mondo, apostoli irrimediabilmente incapaci di comprendere il messaggio in cui dicono di credere, uomini scossi da rivalità, piccolezze, invidie ed errori da cui neppure lo stesso Gesù è immune. Giuda restituisce corpo e carne all’intera vicenda, consegnandocela, a suo dire a differenza delle altre testimonianze, in tutta la sua complessità: “…convenzionali sono i racconti di Marco e Matteo: Giuda non vi ha la complessità d’un uomo, ma l’astrattezza d’un simbolo. Il simbolo del male, appunto“.
Il Gesù di Giuda viene da un villaggio ordinario da cui nulla di buono era mai uscito prima, Nazaret. Gesù stesso non pare un essere straordinario, almeno al principio. Sembra piuttosto uno dei tanti esaltati che battono le strade di Gerusalemme autoproclamandosi l’Unto del Signore, un giovane invasato che pare destinato, come gli altri, a darsi alla fuga o a venire lapidato o a scomparire in seguito a chissà quale oscura fine. Gesù, però, regge alla prova del tempo, acquista credibilità. Da lui traspaiono regalità ed autorevolezza, così come una fede incrollabile nella propria missione. Giuda ne narra la nascita, le vicende, tenta di comprendere le ragioni profonde della sua condotta, va alla ricerca di spiegazioni di natura psicologica, psicoanalitica, si perde in citazioni di Camus, col suo sguardo critico tenta di ridurre il messaggio (di per sé universale) ad una dimensione umana, particolare, individuale, a tormenti privati. Come nella vicenda della nascita di Gesù e la fuga per salvarlo dalla strage di bambini ebrei ordinata da Erode.
Te, però, non Ti presero: avvertito in sogno dal messaggero del Signore, Giuseppe era scappato con Maria, portandoTi in salvo. Questa straordinaria avventura – la fuga in Egitto – chissà quante volte Ti sarà stata raccontata quand’eri bambino: prova d’una particolare vigilanza dell’Eterno su di te. Ma tu, crescendo, forse avrai cominciato a chiederTi se, per mostrarti la sua sollecitudine, era proprio necessario che l’Eterno facesse una strage d’innocenti, e può esserne nato un complesso di colpa, il pensiero che qualcuno dovesse pagare per una così misteriosa ingiustizia.
Gesù parla un linguaggio complesso, a tratti del tutto oscuro, tale da mandare in confusione le semplici menti di uomini ignoranti ed impauriti dal male del mondo, dalle sue ingiustizie e sopraffazioni. Parla un linguaggio troppo difficile per coloro che cercano conforto e qualcosa in cui credere e così rappresenta, al tempo stesso, l’unico accesso e il grande ostacolo alla vera fede, alla salvezza, alla vita eterna. Gesù, per come Giuda lo presenta, vuole che le masse lo seguano e per far questo si serve anche di giochetti ed astuzie non propriamente degne dell’Unto del Signore. Dispensa miracoli per farsi credere perché troppo spesso le sue parole, così come le sue celebri parabole, vanno a vuoto. Non sono poche le volte che Gesù è addirittura costretto a darsela a gambe per non rischiare di essere malmenato da una folla che non capisce le sue parole e che si sente tradita nella sua volontà di credere e seguire qualcuno. Ma Giuda è anche altro, è colui che vorrebbe essere l’Unto, colui che è mosso da vanità: “Avrei dovuto esultare, dato che andavo di terra in terra in cerca, appunto, d’un Rabbi, e invece mi sentivo amaro, non tanto per rivalità e delusione, quanto per l’avvertimento d’essere stato sfiorato dallo spirito del maligno nella mia vanagloria“. Qui il peccato di Giuda (e in generale il peccato dei peccati, quello che fa da terra feconda per tutti gli altri), e cioè l’orgoglio che si mischia a vanità, il suo sentirsi eletto o prossimo a Gesù, l’unico a comprenderne il messaggio. Questo, forse, lo consegna al ruolo di traditore, perché con questo peccato (la vanità) tradisce il senso più proprio del messaggio, della buona novella, l’esaltazione dell’umiltà. Perché l’altro, il tradimento passato alla storia e divenuto celebre, proverbiale, non è stato, in realtà, un tradimento, ma, al contrario, l’esito di un patto, di un destino, di una volontà superiore.
Vi sono forme d’amore sconfinato – quando si ama un’ideologia – e tuttavia prudenti – quando l’ideologia è incarnata, parola fatta uomo -. M’ero offerto di morire per Te, in qualsiasi momento Tu me l’avessi chiesto avrei mantenuto, spesso sognavo che me lo chiedessi all’istante per provarTi la mia dedizione, però, appena potevo, Ti consideravo con sospetto.
Giuda non è un traditore nel senso comune del termine. La sua missione, il suo amore, la prova della sua fede, il suo contributo all’Evento, trovano il più alto e splendente frutto in un tradimento che, quindi, dispiega il suo vero senso solo nel rovescio, solo se inteso in quanto atto di fedeltà, amore, sottomissione ad una volontà superiore. Il tradimento del suo Messia è la croce di Giuda, il suo martirio.
Incredibilmente moderna è la voce di Giuda. Vicina, vicinissima a noi la sua consapevolezza dell’onnipresenza del male e del peccato. Si potrebbe dire che Giuda è consapevole fino alla blasfemia, alla bestemmia, fino allo sfondamento fino all’eresia, di come non esista un confine certo fra bene e male, e che il male può (forse generando un brivido nell’Eterno) lambire persino Dio stesso o da Dio in qualche modo procedere. La modernità di questo Giuda e del suo racconto sta nel senso dell’urgenza, nell’ansia di trovare il senso, il fine, lo scopo, perché troppo grande ed insopportabile è la percezione del non-senso, del vuoto, del caos. È la coscienza di chi non sa aspettare, un’impazienza che rischia di gettarlo fra le braccia di chiunque, tanto è grande la volontà di affidarsi all’uomo che dirà di essere il Salvatore. Pronto quasi a seguire un falso Messia pur di seguire qualcuno, credere in qualcosa, poter cambiare il mondo, la sorte degli ebrei e degli uomini in quanto tali. Pronto a gettarsi nelle mani di Satana, dell’antagonista del Signore, dell’eternamente opposto, dell’eternamente prossimo (in questa lotta), in un destino condiviso gravido di ambiguità. Giuda ci fa toccare con mano, attraverso la sua stessa vicenda, la divina sofferenza che è nell’uomo, così come ci fa conoscere, attraverso il racconto dello scandalo della croce, tutta l’umanità della sofferenza che investì il divino, il Messia. Non ci fu sconto nella Passione, non fu risparmiato alcun dolore, nessuna convulsione, nessun collasso. Il calice fu vuotato sino in fondo. Allo stesso modo nulla fu risparmiato a Giuda, cui toccò in sorte di tradire chi gli diede la visione della vita eterna. Giuda consegna la fonte dell’amore, della fede, del sapere, della salvezza, enorme è il peso della croce che a lui toccava portare, enorme lo sforzo per liberarsi da tutto l’orgoglio che poteva distoglierlo dal suo compito, lui che, proprio per essere fedele, avrebbe avuto eterna fama di traditore ed uomo spregevole ed attaccato al denaro. A lui che dovette assistere al dolore del Messia bisogna guardare con occhi nuovi.
Per Te soffrivo, come Tu avevi sofferto per me condannandomi a tradire, ma la volontà dall’alto doveva esser fatta. Con angoscia andavi verso la morte, ma la Tua fermezza nella sofferenza era amara e grandiosa: non dovevo ostacolare il destino che T’eri scelto. Ti vedevo, con disperazione, sfinito, smorto, insanguinato, mi sforzavo di pensare che non provavi dolore – come può provare dolore il figlio di Dio, uno che può comandare a legioni d’angeli – ma la tua pena era così evidente che non poteva non essere reale.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
E così si può leggere con altri occhi anche il bellissimo “Giuda” di Amos Oz…
Assolutamente si. Grazie per il suggerimento.
Berto è davvero un autore ingiustamente trascurato, anche da me che, avendo trovato ne Il male oscuro uno dei miei libri della vita, chissà perché non ho letto altro di questo autore. Grazie della segnalazione e della recensione
Grazia a te. Si, nemmeno io riesco a capacitarmi di quanto tempo mi ci sia voluto per decidermi a leggere questi libri che da anni erano lì abbandonati dietro altri altri libri, non tutti all’altezza de Il male oscuro o de La gloria. Libri assolutamente da leggere.
Anch’io mi sono fermata a “Il male oscuro”, questo “La gloria” lo sto scoprendo adesso. Mi piacciono molto questi libri che gettano uno sguardo diverso su certi personaggi, eventi, storie che sembrano essere codificate una volta e per tutte. E siccome libro chiama libro, un altro romanzo che mi è venuto in mente leggendo questo post e che ho sempre trovato straordinario è “Il Vangelo secondo Gesu” di Saramago
Si. La gloria è (per quello che ne posso dire) un libro da leggere, è uno di quei libri che affascinano fin dalle prime righe e che lasciano l’impressione di aver letto qualcosa di importante, che ha bisogno di tempo per essere assimilato nella sua interezza. Il Gesù di Saramago è, devo ammetterlo, una lettura per me datata. Ricordo che ne ero stato affascinato. Non sarebbe male, in effetti, rileggerlo adesso, magari accostarlo anche al “Giuda” di Oz (che non conoscevo) segnalato da gabrilu, e tentare di mettere su un “ventaglio” di romanzi che trattano un argomento simile, ma in modi diversi.
Forse è una delle funzioni fondamentali delle letteratura. Pulire via dal mondo antiche incrostazioni e restituirlo con nuove parole, nuove prospettive. Il Gesù di Saramago l’ho letto molto tempo fa, ma l’impressione di una figura restituita “in carne ed ossa” è ancora viva. Ma, devo ammetterlo, è il “Giuda” di Oz, adesso, ad intrigarmi. Devo prenderlo assolutamente.
Condivido quello che ti hanno scritto Ivana e Gabriella: Berto merita di essere recuperato (anch’io non ho ancora letto La gloria) e il Gesù umanizzato di Saramago è a dir poco stupendo. Ho sempre apprezzato gli scrittori che hanno avuto il coraggio, ognuno a suo modo e con il proprio stile, di ridimensionare la figura del Cristo, liberandola da tutti quegli orpelli che gli sono stati cuciti addosso dalla Chiesa nel corso dei secoli.
Inutile aggiungere che la tua analisi del libro è superba, visto che il risultato parla da solo… ma te lo dico lo stesso 🙂
Grazie. Facile, però, scrivere qualcosa di passabile, prendendo spunti così belli. Sono questi testi a fare tutto il lavoro, per il resto si è come nani sulle spalle di giganti…
Vero: ridimensionare. Cioè collocarlo nella giusta dimensione, quella umana. Solo così il messaggio del Vangelo può caricarsi di senso…e non solo per i credenti, ma anche per chi non crede. Grazie, come sempre, per le tue osservazioni.
Penso proprio che il “Giuda” di Oz possa interessarti molto. Non è un libro privo di qualche difetto, a mio parere. O meglio, più che difetto qualche squilibrio interno, nel senso che le parti pù squisitamente romanzesche e narrative non sempre si amalgamano perfettamente con le (poderose) parti riflessive, secondo me, ma rimane comunque un libro decisamente importante e da leggere. Vedrai come Oz tratta rivoltandolo come un calzino (se mi si passa la metafora poco seriosa 🙂 il grande tema del tradimento di Giuda, Giuda il traditore…
Ciao e grazie per il bello scambio (Oz in cambio di Berto, Berto in cambio di Oz 😉
Oz lo leggo. Già. Gran bello scambio!
Splendida analisi di un libro che mi dispiace tanto non aver ancora letto. E davvero preziosa l’attenzione che riesci a risvegliare verso un autore così importante e così poco conosciuto, nonostante la risonanza del suo titolo più famoso.
Grazie. Devo ammettere che era tempo che non leggevo un romanzo tanto bello. Bello non solo perché splendidamente scritto, e nemmeno perché riscrive e rende nuovo un evento capitale (indipendentemente dal credere che sia vero o inventato per creare il mito) a tutti noto, ma soprattutto perché Berto, insieme a tutto questo, è riuscito a scrivere qualcosa di veramente coinvolgente, qualcosa che obbliga a ripensare a cosa sia o non sia la fede, a quanto siano stretti i rapporti fra sapere ed ignoranza, fra bene e male, fra mezzi infami e luminosi fini. Insomma, un gran libro che nulla, secondo me, ha da invidiare al ben più noto Il male oscuro.
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