Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Se uno ti salva la vita poi ti ama per sempre. È come quella antica usanza cinese per cui se qualcuno ti salva la vita sarà responsabile di te per sempre. Come se da quel momento in poi tu fossi suo figlio. Per il resto dei loro giorni queste persone mi scriveranno. Mi manderanno bigliettini per l’anniversario. Biglietti d’auguri. È triste vedere a quante persone viene la stessa idea. Ti telefoneranno. Per sapere se stai bene. Casomai avessi bisogno di un po’ di conforto. O di soldi.
Al centro di Soffocare c’è la vicenda di Victor Mancini, giovane studente di medicina che per pagare le spese ospedaliere della madre, ha escogitato un sistema assurdo. Passare da un ristorante all’altro e fingere di soffocare, farsi salvare e, così, instaurare un legame indissolubile col suo benefattore, che di lì in poi, grato per avergli permesso di essere in qualche modo un eroe, continuerà a scrivergli per anni e, all’occorrenza, a mandargli assegni e piccole somme di denaro.
Questa, però, è solo la trama, la scusa per offrire al lettore lo strepitoso affresco di un giovane spiantato che lavora presso un parco a tema, impersonando un servo irlandese a contratto nell’America coloniale del Settecento, che vive nella vecchia casa materna e che è schiacciato dal peso della sua sessodipendenza. Victor frequenta, o tenta di frequentare, dei corsi per disintossicarsi, è alla ricerca di una liberazione, ma via via che si va avanti con la lettura del romanzo si capisce che questa impossibilità, questa difficoltà, è insormontabile perchè legata al suo assurdo rapporto con la madre, figura quasi mitologica, a metà fra il relitto e il rivoluzionario. E questo è tanto vero, che la Madre di Victor Mancini sembra quasi aver preso il testimone di Tyler Durden, l’ambiguo eroe al centro di Fight Club. In Soffocare Palahniuk abbandona i toni apocalittici di Fight Club, ma mantiene tutta la carica critica del precedente romanzo grazie a questa donna che vive braccata dalle forze dell’ordine, che passa il suo tempo ad entrare e ad uscire di galera per le sue azioni destabilizzanti contro l’ordine costituito, contro una società vissuta essenzialmente come totalitaria e soffocante. Una madre il cui fine è far saltare il tappo e lasciar emergere, nuovamente, il lato caotico dell’esistenza. Una madre che per il figlio, per Victor, non esiste, o che, quando c’è, assurge a spettro destabilizzante e spaesante; tutto il contrario della “madre”, figura che solo con difficoltà il giovane Victor riesce a trovare nelle donne cui viene affidato.
La mamma con lui si scusava in continuazione. Gli diceva che per anni la gente si era fatta in quattro per trasformare il mondo in un luogo sicuro e organizzato. Nessuno si era reso conto di che noia sarebbe stata. Una volta che il mondo fosse stato suddiviso in proprietà, sottoposto a limiti di velocità e piani regolatori e tassato e irrigimentato, una volta che tutti fossero stati esaminati e registrati e provvisti di un indirizzo e di documenti
Il rapporto ambiguo, forse malato, di Victor Mancini con la madre affonda le sue radici nel passato. Lì si annida il primo focolaio di quella follia che poi lentamente inizierà a risucchiare questa donna (che verrà ricoverata a causa della sua demenza) che è sempre meno autonoma, fino a perdere la capacità di alimentarsi, fino a richiedere che sia nutrita con un sondino gastrico, perchè ormai incapace di mangiare, perchè ha disimparato questa naturale operazione necessaria alla sopravvivenza, perché mangiare, per lei, significa correre il rischio di soffocare. Quindi il soffocare di Victor è qualcosa di più di un mero trucco per trovare di che vivere: è anche il rischio (destino ultimo, imminente) in cui incorre questa donna che ormai, in preda alla demenza, vaneggia di antiche colpe ed antichi errori e che da tempo non riconosce più questo figlio cui dovrebbe confidare un segreto incoffessabile. Così come il rischio di soffocare di questa donna diviene il rischio (calcolato) di soffocare del figlio, allo stesso modo la follia della donna diventa il rischio (questa volta non calcolato) che l’equilibrio psichico di Victor venga travolto e messo a repentaglio da idee sempre più eccentriche, da convinzioni (su di sé, sulle sue origini, sulla sessualità, sul mondo stesso) sempre meno aderenti alla realtà.
Tutta l’incredibile e variopinta carrellata di descrizioni di debolezze, ossessioni, coazioni a ripetere ci sono offerte come un ricco archivio di perversioni, ma non è questo l’importante. Queste sono solo il contorno, il vapore sputato fuori da una vecchia pentola a pressione al limite dell’esplosione. Bisogna aprire quella pentola, tirare via il coperchio e guardarci dentro. Lasciarsi investire da quel vapore, dai suoi umori, dagli odori di scarto, di muffa, di chiuso, dall’odore della solitudine e del dolore.
Fra le molteplici ed assurde vicende di Victor Mancini – dall’altalena esistenziale che lo porta a vestire i panni di un bambino dato in affidamento, di attore in un parco a tema, di un giovane patetico che finge di soffocare nei ristoranti, di un sessodipendente che mendica relazioni sessuali per tentare di arginare l’angoscia – si arriva fino all’idea che lui possa essere il prodotto di un pazzesco, quando segretissimo (e arduo a credersi) esperimento scientifico che lo vorrebbe diretto discendente di Gesù Cristo, dopo che la madre era riuscita a generarlo grazie ad un frammento di DNA prelevato direttamente dal prepuzio del Messia. Victor viene preso in un vortice che, senza dire altro della trama, ha in sé, però, un dato fondamentale. Discendenza o meno da Gesù Cristo, Victor, forse per la prima vola nella sua vita, si trova a pensare se stesso non solo e semplicemente come ad un mezzo depravato, economicamente fallito, che vive da parassita alle spalle di gente che ha subdolamente ingannato; no, Victor sente che anche in lui può esserci del buono, addirittura qualcosa di sacro. Ed è questo, forse, il boccone amaro che non sale, né scende, che fa soffocare: pensare che le ingiustizie del mondo si siano abbattute su di un ragazzino innocente, e che quel ragazzino, pur pensando di essere un emarginato ed un reietto, vale qualcosa. Ed è esattamente questo vale qualcosa, credo, a fermarsi nella strozza e a far soffocare e pensare “chi, io (valgo qualcosa)?”, che è poi un “veramente?” (di gioia ed incredulità). Domande, queste, che si fondono ad un “perchè (mi sono accadute tutte quelle cose)?” (pieno di angoscia). Ecco la contraddizione che prende casa nella gola, lì a metà strada fra la testa ed il cuore, fra l’incapacità di capire e spiegare e l’impossibilità di accettare il tumulto di sentimenti che ne derivano. Le due istanze non sanno comunicare, perchè la via, il sentiero è interrotto. Perchè il trauma dell’esistenza è quel macigno che interrompe la strada, che fa soffocare chi si trova perso nella contraddizione di Victor. Come poter essere felici e se stessi al tempo stesso? Come non soffocare sotto il peso della vita contemporanea, preso nella morsa asfissiante della civiltà e del disagio che comporta? Tutto sta nella possibilità di sbriciolarlo e portarlo via e ricostruire un sentiero possibile…
È un po’ inquietante, però eccoci qui: i Padri Pellegrini, gli scoppiati della nostra epoca. Cerchiamo di creare la nostra realtà alternativa. Di costruire un mondo partendo dalle pietre e dal caos. Cosa ne verrà fuori non ne ho idea. E dopo tanto correre di qua e di là, eccoci qui: nel cuore del nulla e della notte. E forse saperlo serve a poco. Qui, in mezzo alle rovine e al buio, quello che stiamo costruendo potrebbe essere qualsiasi cosa.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
Mi sembra ci siano spunti-chiave molto creativi, ma nel contempo d’effetto, un caso limite. Rappresenta veramente la caduta dell’Impero d’Occidente? O è una visione relegabile all’immaginario dell’autore?
Credo sia una via di mezzo. Palahniuk affonda il coltello nelle contraddizioni che tengono su un pezzo di mondo palesemente sulla via del tramonto, ma, al tempo stesso, ad una ricerca generale affianca il tentativo di entrare nelle carni dell’individuo preso in carne ed ossa. Palahniuk lascia molte cose in sospeso. Non è necessariamente un male, anzi, lascia al lettore ampi spazi per giocare coi suoi testi, smontarli e leggerli liberamente. Del resto il mio stesso post è un chiaro esempio di forzatura del testo…
Questo intendo iniziarlo a breve, forse tra una settimana se ce la faccio, quindi tornerò a leggerti e a commentare appena l’ho finito. Il “mi piace”, nel frattempo, te lo do sulla fiducia, non solo perché adoro il tuo modo di recensire un libro, ma anche per il fatto che mi sento sempre (o quasi) in sintonia con le tue valutazioni…
Grazie, come sempre. Questo è un testo forte, spinto, in molti punti, fino alla pornografia. Eppure, benché Palahniuk sia celebre soprattutto per questi aspetti, alla base dei suoi romanzi si può rinvenire un’intenzione molto seria e che va ben oltre i facili entusiasmi di lettori alla ricerca di trovate ad effetto. Aspetto un tuo giudizio a cose (a letture) fatte!!!
Sono arrivata a pag.85 del libro, e non immagini quante volte sono stata combattuta tra la curiosità di andare avanti e la tentazione di gettarlo alle ortiche. Non posso dire che non ci sia qualcosa di geniale nella trama e per come è stata sviluppata, ma ci sono veramente dei passaggi che fanno venire il voltastomaco. Mi sembra di aver intravisto il messaggio che l’autore vuole trasmettere, al di là del volgare e del grottesco, e cercherò quindi di andare avanti per farmene meglio un’idea. La tua rece l’ho letta solo fino a metà, non voglio farmi condizionare, visto che mi sembra di aver capito che a te questo scrittore piace molto… 🙂
Ah, ma io ti avevo messa in guardia sugli aspetti scabrosi, respingenti e pornografici di questo romanzo. A molti piace più questo che altro. Per quanto mi concerne, esattamente come te ho dovuto attraversare quasi in apnea determinati passaggi, ma alla fine sono stato ripagato. Altrimenti non ne avrei scritto. Palahniuk non è fra i miei autori preferiti, però ha scritto cose che, a mio avviso, vanno lette.
Stupendo commento, quasi quasi mi convincevi a leggerlo. Peccato che mi freni il solito trito e ritrito personaggio maschio alla deriva per colpa della mamma soffocante e della società decadente. Che due balle. Poi grandissimo talento Palahniuk, ma su questo passo.
Grazie. Vero, tematiche tante volte affrontate, solo che Palahniuk lo fa in un modo tutto suo. Secondo me è da leggere. Meglio, di certo, di Fight Club.
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