Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Sentivo da un pezzo sul capo inclinato tra le braccia come l’impressione d’una mano lieve, in atto tra di carezza e di protezione. Ma l’anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza, dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento, non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors’anche per un minuto, la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.
Inizia così il viaggio onirico di questo protagonista che, mosso dalla nostalgia della sua fanciullezza, inizia a vagare per le vie, le chiese e le case dove si va festeggiando il Natale. Ma nel mezzo di questa sorta di viaggio, come per miracolo, si imbatte nello spirito visibile di Gesù stesso che, come lui, sta andando per le strade. Il sognatore è preso da un grande stupore, ma non tanto (o non solo) per quell’incontro che ha dello straordinario, bensì per l’aspetto di colui che quella notte viene festeggiato e che, come lui, si muove per le vie deserte: “Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d’un cordoglio intenso, in preda ad una tristezza infinita“. Da questo momento inizia una sorta di danza fatta di identificazioni e separazioni fra il sognatore e Gesù stesso, indugiano per le città, ma dietro alle porte, nelle case, per le vie, Gesù non coglie alcuna devozione, ma solo gozzoviglie o parole d’odio e di rancore: “Anche per costoro son morto…“. Gesù chiede ospitalità nel corpo del sognatore ed entrano in una chiesa, dove trovano solo fasto, marmi, oro e nuvole di incenso che avvolgono gli officianti, ma neppure lì pare trovare una vera sede, la possibilità di nascere nuovamente o veramente rivivere. Si rivolge allora al sognatore, interpellandolo: “non sarebbe forse troppo angusta per me l’anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via“. Davanti al sognatore, che rimane come impietrito di fronte a tale richiesta, Gesù gli ricorda gli sta promettendo qualcosa di enorme e di inimmaginabile: deve solo rinunciare a quanto gli sembra di grande valore e che, in realtà, è poca cosa, solo l’ostinazione e il sogno di un uomo che vuol rimanere attaccato alle piccole cose del mondo. Rinunciare alla casa, alla famiglia, alle sue aspirazioni? Il sognatore non ha il coraggio per accettare: la promessa di ciò che è infinitamente più grande di quello che ha non è sufficiente per convincerlo ad abbandonare quanto è più piccolo. Allora il sogno finisce e l’uomo si sveglia.
Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l’impressione sul mio capo inchinato, m’avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. È qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa.
Con Pirandello abbiamo una nuova versione, molto complessa, della religiosità. Qui è Dio a cercare l’uomo. La religione è relazione (nel suo senso etimologico di re-ligare in quanto legare, tenere assieme), anzi, è libera decisione di entrare in rapporto con Dio da parte dell’uomo. Quindi, in qualche modo, Dio esiste veramente solo a partire dalla fede dell’uomo in lui, altrimenti, come viene detto, Gesù non può fare altro che prendere atto dello stato delle cose: “sono morto per lui“. Ed è questo, del resto, a spiegare l’atto finale del racconto, quando il sognatore non accetta l’alleanza: non può farlo. Può rinunciare al molto per il poco perché in realtà lui in quel molto non crede (o non crede ormai più, a differenza di quando era bambino). L’età adulta, con le sue responsabilità, le ambizioni e le sue necessarie disillusioni (case dove si ode bestemmiare, chiese tanto ricche d’orpelli quanto povera di spiritualità) alzano un muro fra il singolo e la trascendenza divina, fra il mondo reale contro cui rompersi la testa e la fede che permette di spiccare il salto e cedere quel poco si ha (che pare molto solo all’interno della prospettiva terrena) per poi avere in cambio quel molto, o tutto, che può sembrare un nulla solo all’interno della condizione di cecità che caratterizza chi non è più capace di credere. Entro questo cortocircuito Dio muore, e il Natale (da intendere come simbolo dell’incontro fra sfera umana divina) diventa la celebrazione di un annuale funerale mascherato da festa e rinnovata nascita. In questa impostazione, però, viene fuori, però, qualcosa di decisivo: una concezione di Dio come potenza creatrice che nella sua immensa potenza riesce a rendere libera la creatura che da lui per tutto dipende. L’uomo è così libero di scegliere di vivere in un mondo vuoto di trascendenza, vuoto di Dio; di vivere come se vi sia l’uomo e niente altro di superiore, solo lui con i suoi sogni ed averi. Abbiamo così un uomo chiuso in se stesso, che non ospita (simbolicamente) Gesù, lasciandolo fuori dalla porta e per questo condannandolo all’inesistenza. In cambio non gli resta che un mondo ormai vuoto e desolato, contro cui battere la testa, senza ristoro alcuno.
stay calm within the chaos
Un piccolo giro nel mio mondo spelacchiato.
Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
La vita è l'unica opera d'arte che possediamo.
Recensioni, consigli di lettura e cose da lettori
“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne
«La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.» (Antonio Tabucchi)
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