Lì dove è pieno di nomi propri, c'è un nome che di nessuno è proprio. Chi l'ha scelto? Chi lo subisce? E perché? Meschino.
Simone abbassò il capo, tenendo gli occhi ben chiusi, poi li riparò con la mano. Non c’erano ombre sotto gli alberi, ma dappertutto una calma perlacea, e ciò ch’era reale sembrava un’illusione, qualcosa di vago. Il mucchio delle budella era un grumo nero di mosche che ronzavano come una sega. Dopo un po’ le mosche scoprirono Simone e, ormai sazie, si posarono lungo i suoi rivoletti di sudore, a bere. Gli fecero il solletico sotto le narici, gli saltellarono sulle cosce. Erano innumerevoli, nere e d’un verde iridescente; e di fronte a Simone il Signore delle Mosche ghignava, infilzato sul bastone. Alla fine Simone cedette e riaprì gli occhi: vide i denti bianchi, gli occhi velati, il sangue…e restò affascinato, riconoscendo qualcosa di antico, di inevitabile. Sulla tempia destra di Simone, una vena cominciò a pulsare, sul cervello.
Si racconta che William Golding, tornato all’insegnamento dopo aver partecipato alla Seconda guerra mondiale, prenda parte ad un esperimento molto semplice. Su iniziativa del direttore dell’Istituto le classi di quarta elementare vengono divise in due gruppi che, sotto la supervisione di un adulto, devono dibattere su questioni di vario genere. Un giorno Golding decide di abbandonare l’aula e lasciare i ragazzi in totale libertà. Dopo poco è obbligato a rientrare per impedire che il dibattito si trasformi in rissa. L’esperienza del secondo conflitto mondiale (giocata su larga scala e con gli adulti come protagonisti) e le preziose osservazioni raccolte durante il periodo di insegnamento (che hanno al centro dei bambini riuniti in un’aula) fanno da sfondo alla scrittura de Il Signore delle Mosche che, pubblicato nel 1954, ottiene presto (e principalmente negli Stati Uniti) un grande successo. Basti pensare che insieme a Il giovane Holden, pubblicato pochi anni prima, diviene una delle opere più lette dagli studenti universitari.
La trama è nota. In seguito ad un incidente aereo un gruppo di ragazzi inglesi finisce abbandonato a se stesso in un’isola tropicale. I ragazzi tentano di organizzare una convivenza basata sul rispetto di poche e semplici regole (o leggi) nella speranza che qualcuno arrivi presto a salvarli. Presto, però, prendono piede delle pulsioni distruttive e alla razionalità di cui sarebbero portatori questi giovani e ben educati ragazzi europei, presto si sostituiscono aggressività e volontà di dominio. Iniziano così a formarsi gruppi che prediligono la “legge del più forte”, dove chi non è amico è, per definizione, nemico, e dove, hobbesianamente, l’uomo diviene lupo per l’uomo uomo. Presto si delinea uno scenario disastroso in cui il microcosmo di un’isola deserta lasciata in mano a dei bambini diviene la metafora (o banco di prova) dello scenario apocalittico costruito dagli adulti che in quello stesso momento, in un teatro di dimensioni mondiali, stanno dando vita ad una guerra ideologica, fondata sulla demonizzazione e distruzione del nemico.
Trama a parte, quello che è più interessante in questo romanzo non è tanto da dove si parte (ingenua fiducia nella naturale bontà dell’uomo, nel progresso della tecnica e della scienza) e dove si vuole arrivare (pessimismo antropologico), bensì il percorso che Golding riesce a tracciare, e cioè il passaggio, che poi è un regresso, dal dominio della Civiltà a quello della Natura. Questo passaggio si presenta a questi ragazzi in vari modi, prima come una sorta di strano presentimento, poi nella forma di incubi notturni e, infine, come allucinata certezza della presenza, sull’isola, di un essere malvagio. Incapaci di pensare al male come a qualcosa di inerente alla loro stessa natura, il male, che adesso (fuori dal controllo degli adulti e fuori dalle istituzioni che ne regolavano la vita) preme per liberarsi, viene proiettato all’esterno.
“Non c’è niente di vero, naturalmente. Solo un’impressione. Ma sembra che invece di andare noi a caccia, ci sia…qualcuno che dà la caccia a noi. Come se ci fosse sempre qualcuno che c’insegue, nella giungla”.
Tutta l’esperienza di questa piccola comunità segue un percorso molto preciso. Inizialmente tutti sembrano concordi nel voler applicare il modello razionale e democratico di organizzazione della vita di cui sono imbevuti. Tutto il progetto si regge sul fuoco, che deve essere sempre tenuto acceso e vivo, giorno e notte. È l’unico modo per sperare di poter essere salvati, l’unica possibilità di farsi avvistare dalle navi di passaggio. E però questo fuoco, simbolo per eccellenza della Civiltà, ad un certo momento si spegne e così una nave di passaggio, non vedendo alcun segnale, si allontana all’orizzonte. Il fuoco che si spegne è una palese violazione della regola fondamentale che questa comunità si era data. È proprio questa trasgressione della legge findamentale a fare da punto di rottura nella vicenda. Subito dopo, infatti, Jack (colui che in qualche modo rappresenta la parte dell’animo più refrattaria ed ostile alle regole) torna con il volto pitturato di creta e un maiale ucciso. Le sue mani (le mani di un ragazzino) sono sporche di sangue. L’intero gruppo viene attraversato da un fremito, dall’estasi per la violenza, dall’eccitazione alla vista del sangue. A nulla vale il tentativo dell’altro protagonista, Ralph, di riportare la piccola comunità a rispettare delle regole per sopravvivere. Non varrà a nulla perchè la maggioranza sarà ineluttabilmente attratta dall’altra opzione, quella della violenza. La fedeltà alla Civiltà di cui sembravano eredi, lascia spazio alla fascinazione per un sistema di relazioni basate su dominio e sottomissione, gioco e crudeltà. Il Signore della Mosche richiama dal centro della foresta. Ma dove è questo centro? Lontano nella foresta, o Natura? O vicinissimo, come cuore nero che pulsa al centro del nostro essere? Chi ha il coraggio di incontrare la Bestia? Chi ha il coraggio di incrontare il Signore delle mosche? Simone, un ragazzo psichicamente instabile, è l’unico ad incontrarla in modo diretto. Non è un caso che Golding scelga un ragazzo con queste caratteristiche. Incontrare la Bestia significa incontrare la follia di cui si è portatori.
“Che idea, pensare che la Bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere!” disse la testa di maiale. Per un po’ la foresta e tutti gli altri posti che si potevano appena vedere risuonarono della parodia di una risata. “Lo sapevi, no?…che io sono una parte di te? Vicino vicino, vicino, vicino! Che io sono la ragione per cui non c’è niente da fare? Per cui le cose vanno come vanno?”.
Il fatto che alla fine questi ragazzi (non tutti) si salvino e che vengano portati a casa non significa nulla. Il cammino che ha portato l’uomo ad emanciparsi dalla Natura per approdare alla Civiltà è stato lungo e complesso, ma passaggio inverso (quello dalla civiltà alla violenza) è incredibilmente breve. Il potere della Bestia (o Satana o Signore delle mosche o come lo si preferisce chiamare) è il fondamento stesso dell’apparente socievolezza delle relazioni umane, è quel fondamento che può improvvisamente risalire alla superficie per riproporre in tutta la sua brutalità la legge del più forte, per raggruppare gli uomini secondo le categiorie amico-nemico, per vanificare l’idea dell’altro come colui che ha diritto di esercitare la propria alterità senza che questo implichi pericolo e muova alla guerra e alla sete di distruzione. Quella di Golding è una prospettiva precisa e priva di ombre. A molti può essere una posizione riduttiva (e forse lo è), semplicistica e, forse, immediatamente riconducibile alle esperienze personali dell’Autore, alla visione delle atrocità della Seconda guerra mondiale. Certo, ai dubbiosi si potrebbe facilmente ribattere invitandoli a sfogliare qualche manuale di storia e scorrere l’interminabile catena di ferocia e disumanità di cui sono pieni. Anche a questo invito, però, i più refrattari a tale visione dell’uomo potrebbero ribattere indicando tutti quegli uomini che (senza finire sui manuali di storia) ogni giorno e in ogni momento fanno del bene, o semplicemente si astengono dal male. Eppure…c’è una disponibilità a fare del male che indubbiamente si annida nell’animo umano. È lì che Golding ci invita a portare lo sguardo e l’attenzione, a quell’angolino umido e buio e pieno di ragnatele ed animali notturni, lì da dove viene un sinistro ronzio. Quell’angolino c’è e non può essere ripulito da nessun intervento dell’uomo, da nessuna cultura, civiltà, sapere, religione, politica. Golding, a proposito, non aveva dubbi e, premio Nobel per la Letteratura, così riassumeva tale incrollabile certezza.
L’uomo produce il male come le api producono il miele.
STORIE SELVATICHE DI FIABE, MITI E TESTI SACRI CHE APRONO LE PORTE ALLA RICCHEZZA
Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. (Carl Gustav Jung)
Blog della Biblioteca di Filosofia, Università degli studi di Milano
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Un po' al di qua e un po' al di là del limite
Per un romanzo diffuso dell'Antropocene
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